Il papa e il giornalista. Un raro caso di amicizia cristiana

Di Luigi Amicone
17 Luglio 2020
Comunque la si pensi sulla Chiesa e su Bergoglio, ecco un libro che è una lezione di giornalismo e di libertà
Papa Francesco con Lucio Brunelli

L’epopea della fase 2 / 21

Amico di lunga data di Jorge Mario Bergoglio, Lucio Brunelli è un raccomandato da Dio. Romano, 68 anni, giornalista, un curriculum da astro della comunicazione. È stato tra i fondatori del mensile internazionale 30Giorni ed editorialista principe del settimanale Il Sabato. Poi, per un ventennio (1995-2014), vaticanista del Tg2 e infine (2014-2019) direttore delle emittenti vaticane Tv2000 e Inblu. Ma per chi scrive è semplicemente il Lucio degli universitari di Cl Roma di fine anni Settanta.

Un’amicizia iniziata in un certo momento storico di “rinascita” del movimento giussaniano (e ciò per dichiarazione dello stesso don Giussani, cfr la biografia ufficiale di Alberto Savorana), legata a un sacerdote brianzolo migrato a Roma e alla sua castellanìa di stanza alle “cappellette”, sede di una mensa e convito universitario. Ma soprattutto, appunto, quartier generale di questo sacerdote del Nord che si fece più romano dei romani, don Giacomo Tantardini, e dei suoi giovani universitari.

Con in capo, appunto, Lucio Brunelli, colui che, insieme a una banda di giovani scalcinati coatti di periferia, sarà protagonista di un’epopea che darà filo da torcere ai palazzi romani. E anzi, costringerà i palazzi romani – vescovi di Roma compresi – a fare i conti con una spregiudicata forza dell’iradiddio. Che inventa giornali, trionfi elettorali, scoop ecclesiali. E finanche un sindaco. Un “signor nessuno”, magnifico rettore dell’Università di Tor Vergata, eletto in cima al Campidoglio (anno 1989) con 130 mila voti di preferenza da quel peculiare filone della teologia, politica e movimentismo che fecero capo a don Giacomo Tantardini.

Di questo fenomeno di sacerdote, il Brunelli Lucio fu fedele scudiero e, per certi versi, il traduttore del pensiero. Passati tanti anni, dopo esperienze giornalistiche diverse seguite alla storia comune al Sabato e a opposte idiosincrasie (Lucio è venuto a Milano solo per fare pranzo con me, io non sono mai più stato a Roma dopo Il Sabato se non per atti di devozione giussaniana e berlusconiana, scherzo in entrambi i casi, ma non del tutto), mi capita per le mani il suo Papa Francesco. Come l’ho conosciuto io, edizioni San Paolo. Febbraio 2020. Ovvero non potevi essere più sfortunato come autore, visto che è il mese in cui in Italia si scatena il Covid. E da allora ad oggi comanda solo la pandemia, i suoi effetti e le prime settimane di tentato ritorno alla normalità (già finita per dar luogo alla continuazione dello stato di emergenza).

Ecco, se c’è un libro pubblicato durante lo stato di eccezione da coronavirus che vale proprio la pena di leggere, è questo di Lucio Brunelli. Che più di un libro è un diario – come rivela Brunelli in introduzione – «fatto leggere ad alcuni amici che mi hanno convinto a pubblicarlo così com’era». Morale, sono 180 pagine che si divorano in un battibaleno.

Per quanto mi riguarda, io che non sono granché come lettore e per niente pasionario di questo genere letterario, ci ho impiegato una mezza mattinata e una breve appendice di pomeriggio. Insomma, cotto e mangiato nella giornata di domenica 12 luglio. Tutto merito dell’autore. Che con scrittura perfetta, palpitante di vita e al tempo stesso controllata con perizia giornalistica impeccabile – gente di mestiere così ce n’è poca in giro all’epoca in cui tutto è cacciaballismo (tanto quello che conta è l’emozione, il social pirla, l’emoticon de noantri) – ci conduce a partecipare a una storia di amicizia che è al tempo stesso, normale ed eccezionale.

Normale, perché ciascuno sa per sua propria esperienza cosa evoca la parola “amico”. Eccezionale, perché non succede proprio tutti i giorni di incontrare un uomo a cui un papa lasci messaggi in segreteria telefonica. O gli telefoni per chiedergli un consiglio. O lo vada a cercare in mezzo a una folla. O lo inviti alla sua prima messa privata, «niente autorizzazioni, di’ pure che ti ho invitato io».

La naturalezza e la verità con cui una storia di amicizia viene raccontata è il segreto della riuscita di questo volume davvero unico. E perciò imperdibile. Sia da chi considera questo papa un rivoluzionario. Sia per i suoi detrattori. Che finalmente possono accedere a una versione dell’uomo e papa Bergoglio non caricaturale. Ovvero, non filtrata dalla sarabanda mediatica o dai reazionari alla Roberto de Mattei piuttosto che dai padre Bartolomeo Sorge di turno, tanto per fare un nome dei più raffinati (ma anche un po’ tromboni oramai) sacerdoti politicizzati a sinistra.

Ci sono certamente elementi controversi anche in questo splendido atto di riconoscenza alla grazia di Dio. E sono controversie antiche. Dato che Brunelli pende a sinistra e quindi rievoca i tempi delle battaglie culturali sui cosiddetti “princìpi non negoziabili” (correva ancora l’epoca giovanpaolina di Benedetto XVI e del cardinal Ruini), con cenni stigmatizzanti “la destra cattolica”, i “teocon”, i “cristianisti”. Quest’ultimo per altro neologismo (sul calco di “islamisti”) tra i più fuori di testa che affibbiarono anche a noi di Tempi gli obamiani cattolici che non hanno elaborato il lutto per il peggior presidente della storia americana. Quello che il media system ha beatificato vietandosi di raccontare come sia diventato il patrocinatore dello Stato islamico, il manomissore delle primarie evidenze di natura, il piallatore delle diversità. In una parola, il guerrafondaio in nome delle più belle intenzioni di pace.

Brunelli non entra in questa controversia, ma si capisce che è del partito per il quale il diavolo sono i Bush padre e figlio, le battaglie culturali dei cattolici che non vogliono stare sottomessi al mainstream. E naturalmente Matteo Salvini.

Ma sono aspetti periferici. Li evoco solo per mettere in guardia il lettore da facili irenismi allorché approderà a questo volume. Che da una parte ci restituisce brani di storia degli ultimi vent’anni dall’interno del vissuto professionale di un giornalista di straordinaria serietà e abilità. Dall’altra rende finalmente giustizia a un papa che si è trovato il modo politico-mediatico di trasformare in oggetto da tifoseria hooligan.

Sul fronte della storia, davvero appassionante, sono squillanti di informazioni di prima mano i capitoli riguardanti l’emergere alla cronaca ecclesiale della figura di Bergoglio, la narrazione di aneddoti e contesti umani e geografici che restituiscono sangue piuttosto che ideologia dell’uno e dell’altro fronte, al Papa venuto dalla fine del mondo. In questo, magnificamente impastato – e non per artificio, ma perché si capisce che è andata proprio così – si srotola l’incontro tra Lucio e il sacerdote cardinale Jorge Mario, a cominciare dalla prima sera dell’anno 2005 «a casa dei miei cari amici Gianni e Stefania».

Autore di scoop che hanno fatto il giro del mondo, è Brunelli a svelare le dinamiche e i retroscena del Conclave da cui esce papa Joseph Ratzinger. Ed è Brunelli il primo vaticanista al mondo a inserire il nome di Bergoglio tra i papabili del Conclave che infine elesse l’argentino nel 2013. Infine, è Brunelli il giornalista a cui papa Francesco si relaziona con particolare affetto e premura. Tanto nelle circostanze private. Quanto in pubblico (anche se non ci credo, ha troppo il sapore di moralismo mainstream, che Francesco abbia dato parere negativo a dare la direzione di Tv2000 al nostro Lucio «perché è mio amico»).

Tra l’altro Brunelli ci offre la dimostrazione che anche un papa si può e si deve problematizzare, tanto più se si è ricevuto il dono della sua amicizia e confidenza. Così il giornalista coglie l’occasione del conferimento di un premio per esporre in una conferenza pubblica i «punti problematici» dell’epopea bergogliana. Innanzitutto «la moltiplicazione eccessiva degli interventi, omelie, discorsi, video messaggi… eccetera». Si perde la gerarchia del discorso petrino e «tutto finisce col sembrare uguale e indistinto». Secondo elemento critico: «La personalizzazione eccessiva della figura del papa». Nota bene il punto particolarmente centrato: «Un’operazione mediatica che separa l’immagine del papa dal corpo della Chiesa. Facendone quasi un leader spirituale o morale a sé stante, un personaggio che paradossalmente potrebbe stare in piedi anche a prescindere dalla fede e dal portato della tradizione cristiana». Tutto ciò, come è evidente nel punto uno, non può essere responsabilità esclusiva della “narrazione mediatica”. Tant’è, Brunelli ci informa che, messo al corrente di questo suo intervento che gli fece avere in anteprima via email, il Papa il giorno dopo lo chiama per ringraziarlo. Dicendogli di «condividere totalmente» e «in particolare i due punti critici».

In breve: bisogna leggere questo libro-diario. Primo, perché è un esempio spettacolare di cosa potrebbe essere – qualunque fede o opinione politica uno frequenti – un mestiere attaccato ai fatti, abbracciato con serietà e condotto con onestà. Secondo, perché si capisce molto bene cos’è una storia, cioè una amicizia cristiana. Perfino tra un papa e un giornalista. Un luogo fisico e spirituale di libertà. Un posto che scarseggia ormai ovunque nel mondo. Per non parlare del mondo di Chiesa. Ragion per cui, finito il tempo dei carismi, siamo all’epoca della diffusa aridità, autoreferenzialità, personalismi. Giustamente schifati dall’uomo vestito di bianco Jorge Mario Bergoglio.

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