Il manifesto del rivoluzionario. Non si può sempre avere la macchina sfasciata e il meccanico ubriaco

La campagna elettorale m’annoia. Non ci sono effetti speciali. Non ci sono grandi idee. Lo scenario non è memorabile. Non si scontrano Andreotti, Craxi e Berlinguer. Diciamo che non è una finale di Champions League. O meglio. La posta in gioco è alta. Altissima. Ma i contendenti, ahimè, paiono poca roba.
Eppure, per quanto poco interessino i giocatori, siamo tutti qui a discutere di politica. Tutti. Anche il più pirla dei miei amici parla di politica. Quello che tutto l’anno parla solo di calcio, ecco, ora parla di politica. E fa bene. Perché sa (anche se inconsciamente) che la politica non è una cosa da lasciare ai professionisti. La politica ci riguarda. Mi riguarda. Perché la politica per sua natura è la decisione di come vorremmo stare. Di dove vorremmo andare. E del perché è meglio andar in un posto invece che in un altro.

Ma quando parliamo di politica, noi parliamo soltanto di debito, di efficienza dello Stato, delle aziende, dei tassi di interesse, delle scuole. Che sono cose fondamentali, soprattutto in Italia. Perché l’Italia, si sa, con l’efficienza non si è mai voluta sposare. Come se fosse arrivato un Don Rodrigo qualsiasi e abbia detto: “Italia, il tuo matrimonio con l’efficienza non s’ha da fare”. E sono stati tutti Bravi (manzonianamente) ad ubbidire a questa indicazione. L’Italia è per sua natura il Paese dell’inefficienza. Non perché se lo merita. Ma perché così è. Non se lo merita ma è. E quindi in fondo un po’ se lo merita anche.

E sarebbe bello se cominciasse la politica a mettere in ordine uno Stato. Non si può sempre avere la macchina sfasciata e il meccanico ubriaco. Prima o poi o butti la macchina o te la prendi col meccanico. E in Italia ce la prendiamo sempre e solo col meccanico. Giustamente. Senza mai mettere in discussione la macchina.

Ma per fare uno Stato efficiente, un welfare fantastico, una sanità senza conti in rosso, non si può prescindere da un ordine culturale (e quindi sociale) che sia all’altezza. Lo Stato, la scuola, la sanità sono creati per farci vivere meglio. Più a lungo. La prima condizione del vivere meglio, del vivere da uomini, è rispettare un contesto umano e sociale che sia tale. Smantellare la famiglia, o confonderla con ciò che famiglia non è (e che comunque va rispettato e non apostrofato), mette in crisi il primo aspetto della società. La famiglia, come diceva quel grande sociologo che è Levi-Strauss, è il nucleo fondante. Non da pratica religiosa. Non perché lo abbia detto un profeta o un maya qualunque. Perché è nell’ordine delle cose. Ed  è solo nell’ordine delle cose che si può costruire il futuro. Uno Stato efficiente che dimentichi questa precondizione diventa violento. Come violenti e beceri sono gli Stati tecnicamente efficienti ma che non hanno questo rispetto naturale. In alcuni Paesi dell’Europa il welfare è fantastico, nessuno ha bisogno di nulla. Eppure i suicidi aumentano. Perché? Perché senza un rispetto amoroso della natura umana, la tecnica, il servizio, l’efficienza diventano avvoltoi. In una società umana invece l’efficienza diventa il compimento conseguente dell’ordine naturale. Ma se non c’è l’ordine naturale non ci sarà mai un ordine tecnicamente efficiente. La prima è una condizione necessaria.

A queste elezioni, alle nostre discussioni, il mio Manifesto non è per un partito. È per un rispetto amoroso della natura. Delle cose. Di rivoluzionario c’è solo questo al mondo. Il resto è un bluff.

@pepimonteduro

 

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