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Il maestro ci parla ancora. Intervista a Pupi Avati

Di Caterina Giojelli
14 Maggio 2021
L’amore “per sempre” dei coniugi Sgarbi, le scorribande del Signor Diavolo, un Dante scandalosamente umano e trafitto dal dolore. Il genio anarcoide del cinema torna a fare effrazione in un mondo che si è sbarazzato del sacro e non ha fede nell’imprevedibile
Pupi Avati

«Un giorno mi chiama un suo collega, Maurizio Caverzan, lo conosce? Ecco, mi dice: “C’è questo romanzino del papà di Vittorio ed Elisabetta Sgarbi, te lo mando”. E io inizio a sfogliarlo pigramente, non è che mi appassionino le vicende autobiografiche a meno che riguardino, chessò, Bach o Mozart. Invece mi cattura subito. C’era, nella vicenda rarissima di questo 93enne farmacista Nino e del suo matrimonio con “la Rina” durato 65 anni, una stupefacente affinità con la mia, sposato da 55. C’era la prima stagione della mia vita, c’era il “per sempre”». E sull’amore “per sempre” Pupi Avati ci ha fatto un film: Lei mi parla ancora, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Sgarbi uscito nel 2014, un film scandalosamente anacronistico su un anziano che ama una sola, la stessa donna, Caterina Cavallini, per tutta la vita e continuerà ad amarla (e parlarle) anche dopo averla persa. Lo ha fatto nell’era del Covid, dei cinema chiusi, del trionfo del pericolante paradigma LoveIsLove e ...

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