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Il Jobs Act è legge, ma cosa cambia per i nuovi assunti? Poco o nulla, almeno per ora. Cinque punti per capire

Sui licenziamenti e l'articolo 18 non ci saranno novità fino a che non saranno scritti i decreti attuativi, cioè tra sei mesi. E scommettere unicamente sulle assunzioni a tempo indeterminato è antistorico

Matteo Rigamonti
05/12/2014 - 2:00
Interni
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«Con il Jobs Act arriva l’apartetheid». È il commento con cui il giuslavorista Michele Tiraboschi, direttore del centro studi Adapt, ha licenziato il testo della legge su cui mercoledì il Senato ha votato la fiducia (166 i sì e 112 i no, più un astenuto) e che delega il governo a riformare il mercato del lavoro, mettendo mano ad ammortizzatori sociali, servizi per l’impiego, adempimenti amministrativi e disciplina dei contratti. Contratto a tutele crescenti per i giovani, superamento dell’articolo 18 e la nuova Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) sono le novità più attese. Anche se, prima di poterle valutare nel merito dei contenuti, occorrerà attendere almeno sei mesi, il tempo che avrà l’esecutivo del premier Renzi per varare i decreti attuativi. Intanto, però, sono sorte le prime perplessità tra gli addetti ai lavori. Ecco le cinque principali.

1. LICENZIAMENTI IN MANO AI GIUDICI. «La promessa di superare l’articolo 18», scrive Tiraboschi su Panorama, «è solo nelle intenzioni». Infatti, «l’ambiguo compromesso parlamentare che ha consentito l’approvazione del testo di legge non supera affatto l’articolo 18» e rimane lo «spazio di intervento della magistratura, che mantiene ampi margini per ordinare al datore di lavoro la reintegra».
Oltretutto, fa notare Tiraboschi, «la scelta di mantenere il vecchio articolo 18 per chi è già assunto a tempo indeterminato finirà per ridurre la propensione a cambiare lavoro». Il che equivale a «una nuova e più odiosa forma di apartheid nel nostro mercato del lavoro tra nuovi e vecchi assunti».

2. È FINITA L’EPOCA DEL POSTO FISSO. C’è un altro aspetto, poi, su cui già montano le perplessità degli addetti ai lavori, ancor prima del varo dei decreti attuativi ed è la scelta, contenuta nel Jobs Act, di scommettere sul contratto a tempo indeterminato, quando i dati sulle nuove assunzioni sembrano andare in ben altra direzione.
«Sono appena stati diffusi i dati del ministero del lavoro sulle comunicazioni obbligatorie e quelli dell’Istat sulla disoccupazione», ha fatto notare Emmanuele Massagli, presidente di Adapt, a margine del convegno “Lavoro: cosa cambia davvero con il Jobs Act e la Garanzia Giovani”. «Ciò che emerge è che chi assume, assume a termine e i nuovi assunti sono sostanzialmente persone adulte, over 40, mentre tracollano quelle dei giovani».
«Il Jobs Act risolve questo problema, o quantomeno riesce a leggerlo?», si è chiesto Massagli. «Dati alla mano, probabilmente no. Perché, nonostante la legge contenga novità lodevoli, è costruita su un’idea “vecchia”, ovvero quella del contratto a tempo indeterminato come forma comune di coinvolgimento nel mercato del lavoro».

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3. FORMAZIONE PROFESSIONALE AL CENTRO. Secondo Oscar Giannino, ci sono lacune anche sul fronte delle politiche attive. In particolare, «poco si è fatto per favorire il collegamento tra contratto di inserimento e formazione professionale». E poi, secondo Giannino, devono essere «i privati a ricoprire il ruolo di pilastro fondamentale all’interno delle politiche attive, sia per quanto concerne la domanda sia l’offerta. Mentre il Jobs Act opta per un’unica agenzia nazionale che altro non può essere se non la somma dei vecchi dipendenti degli uffici provinciali del lavoro». Sono questi gli aspetti che, «insieme a una riforma della scuola, dell’università e della formazione professionale di secondo e terzo livello, potrebbero innalzare sul serio il livello dell’occupabilità in Italia. Più di tutto ciò che oggi leggiamo sui giornali».

4. LA LEZIONE DI GARANZIA GIOVANI. La ricercatrice di Adapt Giulia Rosolen, inoltre, fa notare come, «da dieci anni almeno in Italia si parla di riforma dei servizi per il lavoro e dell’agenzia nazionale unica, ma senza che un passo decisivo in questa direzione sia mai stato fatto. Occorre adottare misure di sostanza e per questo proponiamo di partire da Garanzia Giovani. Facciamola funzionare», chiede Rosolen, «anche per dare una risposta ai 318 mila ragazzi che si sono iscritti. Ma facciamolo orientando le iniziative ai fabbisogni professionali del territorio e investendo sulle competenze del futuro».

5 MENO TASSE E BUROCRAZIA. Parlando di riforma del mercato del lavoro e Jobs Act, rimangono, infine, d’attualità le osservazioni degli imprenditori, che ancora chiedono meno tasse e burocrazia. «Auspichiamo che il contratto di apprendistato venga ulteriormente rivistato per semplificarne le procedure e i vincoli formativi, lasciando maggiore spazio alla trattativa locale e alla relazione tra le aziende e gli enti del territorio», ha spiegato a tempi.it Lucio Tubaro, direttore risorse umane di Btcino. Perché solo così «si può giungere a un modello di alternanza scuola-lavoro efficace e rispondete alle attese delle aziende». E aggiungeva Renzo Iorio, amministratore delegato di Accro Italia: «Una riforma del mercato del lavoro – sia sotto il profilo normativo che sotto quello del costo per le aziende – è necessaria, in particolare nel settore del turismo dove, purtroppo, ancora dominano amplissime fasce di lavoro nero troppo debolmente contrastate».

@rigaz1

Tags: articolo 18Aspicontratto a tutele crescentiformazione professionalegaranzia giovaniJobs actLavorolicenziamentiMatteo Renziposto fissotempo indeterminatotutele crescenti
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