Il grido degli armeni nel Nagorno-Karabakh: «Abbiamo cibo solo per altri tre giorni»
Sono passati undici giorni da quando l’Azerbaigian ha bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega 120 mila armeni residenti nel Nagorno-Karabakh all’Armenia e al mondo esterno. Due giorni fa il primo paziente che necessitava di cure urgenti a Erevan è morto a Stepanakert, capitale dell’Artsakh. I cosiddetti manifestanti “ambientalisti” dell’Azerbaigian hanno impedito all’ambulanza di passare. «Saranno anche interessati all’ambiente ma non hanno alcuna umanità», dichiara a Tempi Tatev Zakaryan, preside del complesso scolastico professionale armeno-italiano “Antonia Arslan”. «Noi chiediamo solo di vivere nella nostra terra, ma il regime azero vuole portare a termine un genocidio».
«Abbiamo cibo solo per tre giorni»
Il complesso scolastico, realizzato a Stepanakert con l’aiuto di insegnanti e istituzioni locali e italiane, ospita 610 studenti ma come ogni attività nell’Artsakh a causa del blocco del Corridoio di Lachin è in forte difficoltà. «Durante i primi giorni del blocco, quando l’Azerbaigian ci ha tagliato le forniture di gas, abbiamo dovuto chiudere l’asilo perché faceva troppo freddo», racconta Zakaryan. «Ora l’abbiamo riaperto, ma presto dovremo chiudere di nuovo: non abbiamo più cibo e quello che ci resta basta solo per tre giorni».
La mancanza di generi alimentari e non solo ha costretto la scuola anche a chiudere i corsi di cucina e falegnameria, «perché mancano le materie prime con cui lavorare», continua la preside. «Molti studenti inoltre non riescono più a venire a scuola perché vivono nei villaggi circostanti. Il problema è che non c’è più benzina e gli autobus non possono più a circolare».
Il regime azero separa i figli dai genitori
Gli “ambientalisti” azeri – in realtà membri dell’esercito e dei servizi in borghese – hanno iniziato a far passare ogni giorno un veicolo della Croce rossa per dimostrare che il Corridoio di Lachin non è davvero chiuso. «Ma è solo una messinscena», replica con forza Zakaryan. «Abbiamo due insegnanti e due ragazzini di 13 e 14 anni che si erano recati in Armenia prima del blocco. Ora non possono più tornare indietro dalle loro famiglie e sono disperati. In tutto, 170 minori tra gli 8 e i 17 anni sono bloccati in Armenia: perché non li lasciano passare? Come possono fare questo alle famiglie?».
Tra pochi giorni sarà Natale e la scuola ha preparato regali per 200 bambini «perché almeno loro siano contenti». Ognuno cerca di affrontare la catastrofe umanitaria come può: «Quando torno a casa dai miei tre figli sorrido sempre, perché siano felici. Ma sono sorrisi falsi per nascondere l’angoscia», aggiunge la preside della scuola professionale “Antonia Arslan”. «Non riesco a capire come nel XXI secolo, dove si sbandiera la difesa dei diritti umani di tutti, nessuno si impegni per difendere noi armeni. L’Unione Europea fa affari con l’Azerbaigian: i soldi valgono più del nostro diritto a vivere?».
L’Azerbaigian perseguita gli armeni
Perché è solo questo che chiedono gli armeni del Nagorno-Karabakh: «Vogliamo solo vivere in pace nella nostra terra. E conserviamo la speranza che almeno i paesi cristiani interverranno in nostro aiuto. Ma nessuno si sta muovendo: nel mondo continua a prevalere la legge del più forte».
Oggi è il regime azero, sostenuto dalla Turchia, a essere più forte. Ed è per questo che, mentre fa di tutto per affamare il popolo armeno, invia ai giornali note come quella spedita a Tempi: «Non esiste un blocco sugli armeni locali e non sussiste una così detta catastrofe umanitaria». Lo vadano a dire ai 30 mila bambini, 20 mila anziani e novemila disabili che vivono in Artsakh, senza cibo, medicine e carburante.
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