Fidel Castro, Hugo Chavez e Ignacio Lula hanno disatteso il suo invito per la celebrazione del duecentesimo anniversario dell’indipendenza dell’isola; Le Monde lo attacca a tutta pagina sotto un titolo che dice “Aristide, da profeta a dittatore”; i vecchi compagni di strada dei circoli della teologia della liberazione lo hanno scaricato; il popolo, che nel 1990 lo aveva portato alla massima carica dello Stato con un responso elettorale schiacciante, non lascia passare settimana senza scendere per le strade per chiederne le dimissioni: Jean-Bertrand Aristide, messianico e spretato (era un religioso salesiano) presidente di Haiti, è l’ennesima icona terzomondista e No global che cade dal piedistallo e riceve gli sputi degli stessi che portano la responsabilità politica e morale di aver creato il personaggio. Tutto gli era perdonato al tempo in cui guidava la spallata popolare contro il regime della famiglia Duvalier alla fine degli anni Ottanta: l’incitazione all’uso della violenza, le critiche radicali e ingenerose alla Chiesa cattolica, la mancanza di un programma di governo, l’uso disinvolto del denaro a sua disposizione. Il nunzio apostolico ad Haiti, l’ordine salesiano e la Santa Sede erano stati additati al pubblico ludibrio per aver ostacolato la sua marcia trionfale. Oggi invece può accadere che alle manifestazioni di protesta che dal settembre scorso si susseguono a Port au Prince (l’ultima domenica scorsa) ed in altre località vengano esposti cartelli con su scritto “George Bush, Colin Powell, siete andati in Irak, adesso dovete venire ad Haiti” senza che nessuno si scandalizzi.
Arricchirsi in nome dei poveri
Cosa ha innescato una ritirata tanto spettacolare del politically correct? Tanti fatti. Haiti era il paese più povero dell’emisfero occidentale quando regnavano i Duvalier ed è il paese più povero oggi (480 dollari annui pro capite di reddito). In più, sono quasi scomparse le attività economiche di qualche peso: le esportazioni di caffè e rum sono quasi ridotte a zero; le industrie di assemblaggio statunitensi hanno fatto i bagagli; il turismo, che negli anni Settanta prosperava, è ridotto ad un rivolo. L’unica attività in espansione è il narcotraffico, che trova in Haiti un importante snodo. Per il resto, Aristide ha sostituito i Tontons Macoutes, le bande armate al servizio dei Duvalier padre e figlio (soprannominati Papa Doc e Baby Doc) con le Chimeres, ugualmente dedite all’intimidazione, o peggio, degli avversari del capo: oppositori politici e giornalisti. La corruzione, il clientelismo, l’incompetenza, il culto della personalità sono gli stessi dei tempi della dittatura, e i processi elettorali non suscitano fiducia: le elezioni che hanno riportato formalmente alla presidenza Aristide (che già di fatto governava attraverso un prestanome) nel 2000 sono state caratterizzate da un alto tasso di astensione e boicottate dall’opposizione; le successive elezioni parlamentari non si sono ancora tenute per l’impossibilità di un accordo sull’ente indipendente che dovrebbe organizzarle. Nel frattempo Aristide è diventato ricchissimo: si sposta sempre in elicottero e vive in una residenza principesca. è accusato di essersi arricchito stornando aiuti internazionali e privatizzando a suo vantaggio i servizi telefonici con l’estero attraverso uomini d’affari Usa vicini al partito Democratico. In coincidenza col secondo centenario dell’indipendenza di Haiti ha lanciato una campagna per ottenere dalla Francia, ex potenza coloniale sull’isola, un indennizzo di 21 miliardi di dollari. E così ha finito di mettersi contro tutti i suoi antichi simpatizzanti.