«Il futuro del siderurgico passa solo attraverso il nucleare»
Sarà il nucleare a decarbonizzare le emissioni delle acciaierie italiane? Federacciai ne è convinta al punto di aver siglato un memorandum d’intesa con il colosso dell’energia francese Edf e la sua consociata italiana Edison, Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare per impiegare inizialmente l’energia prodotta dalle centrali d’Oltralpe e poi, in futuro, quella di piccoli reattori modulari installati in Italia per alimentare gli impianti siderurgici italiani.
Un accordo ambizioso nella misura in cui l’energia nucleare potrebbe dare un taglio netto alle emissioni della filiera dell’acciaio contribuendo in modo rilevante a centrare quegli obiettivi di riduzione dell’inquinamento che l’Unione Europea ha fissato per il 2050.
Tempi ha chiesto a Gianclaudio Torlizzi, esperto di energia fondatore di T-Commodity e advisor del Governo e di Cassa depositi e prestiti, di fare il punto sulla portata di questa intesa.
Torlizzi, come ha percepito la notizia della stipula di un memorandum a 5 fra Italia e Francia?
È una conferma che il futuro del siderurgico in Europa possa passare solo attraverso il nucleare. Se da un lato, però, la notizia è certamente positiva per le acciaierie italiane perché potranno approvvigionarsi di energia “pulita” e a basso costo, dall’altro è una sconfitta per il Paese che continua ad essere ricattato dalle lobby ambientaliste che vedono solo lo sviluppo delle rinnovabili e continuano ad ostacolare lo sviluppo del nucleare in Italia.
Ostacolare lo sviluppo del nucleare vuol dire, secondo lei, bloccare anche lo sviluppo dell’industria?
Finché noi non ci doteremo come Italia di produzione di energia nucleare non ci sarà più futuro industriale per questo paese.
Il memorandum siglato è molto chiaro e anche molto pratico su cosa fare: nel breve termine favorire l’importazione dell’energia nucleare francese, nel frattempo sviluppare la tecnologia di produzione in Italia.
È obbligatorio per le acciaierie italiane approvvigionarsi di energia nucleare, senza non si può neanche pensare di produrre l’acciaio green. Dal 2026 ci sarà un’ulteriore inasprimento delle politiche climatiche europee con la riduzione delle allocazioni gratuite delle emissioni di CO2, di cui hanno beneficiato sinora i settori più complessi da aggiornare. E contestualmente verrà introdotto il CBAM per proteggere le acciaierie europee – la normativa che dovrebbe scoraggiare le importazioni di prodotti “ad alte emissioni” in Europa da paesi meno attenti alle questioni ambientali –. La filiera siderurgica fa quindi benissimo a tutelarsi, mi dispiace solo per il fatto che le acciaierie italiane si riforniscano di energia prodotta in Francia: questo, secondo me, è una sconfitta per il Paese.
Se in Italia non abbiamo voluto e non vogliamo le centrali nucleari, però, da qualche parte dobbiamo andare a prendere l’elettricità che ci serve.
Certo, è veramente un controsenso.
Da dove proviene oggi l’energia di backup che alimenta le nostre industrie?
Principalmente proviene dal gas e oggi questa quota può essere garantita solamente da fonti fossili. Le rinnovabili non sono in grado di poter gestire regolarità di consumo e quindi si hanno situazioni in cui un eccesso di offerta di energia da rinnovabili può anche spingere il prezzo sotto zero. Sono dinamiche di cui, però, non beneficia l’industria perché l’energia non può essere regolarmente immagazzinata e viene dispersa. Tutti i sistemi hanno bisogno di una fonte capace di gestire i picchi di consumo: per l’Italia è il gas, per la Germania il carbone. Il nucleare potrebbe rappresentare un’alternativa a questo e molto altro, visto che è anche pulito.
In questo periodo si è parlato molto di “Comunità energetiche rinnovabili” come di una rivoluzione possibile. È una soluzione che coinvolge le industrie?
Non in maniera decisiva. L’industria ha bisogno di grosse quantità di energia, l’aver perso il polso della produzione sta dando spazio ad una generazione di analisti che ha perso il senso della realtà: un’industria metalmeccanica ha bisogno di tanta energia e con regolarità, il resto va tutto bene ma è fondamentalmente un accessorio. Oggi non si può prescindere dal fossile o dal nucleare, finché non arriviamo a questa conclusione continueremo ad assistere ad una progressiva deindustrializzazione dell’Europa.
E il Governo in questa partita come si sta muovendo?
Dovrebbe avere più coraggio. Sta facendo dei passi avanti sul nucleare, ma non aiuta il fatto che l’Unione Europea faccia orecchie da mercante lasciando che ogni paese, in base ai propri spazi fiscali, si gestisca la propria politica energetica. L’Italia, che questo spazio fiscale l’ha limitato, fa fatica a mettere il piede sull’acceleratore.
Un’accelerazione che, anche secondo il memorandum d’intesa, si prefigura anche come tecnologica.
Sì, ma non bisogna solo aspettare i piccoli reattori; gli impianti di terza generazione vanno benissimo anche perché, con questa scusa che bisogna aspettare la quarta generazione, assistiamo ad un ulteriore rinvio. Bisogna parlare, creare un consenso a livello della popolazione, spiegare che qui si sta prendendo un grosso abbaglio se si pensa che il futuro del Paese possa reggere solamente col turismo, con la sagra del lardo e con la festa della porchetta.
Il Governo, insomma, dovrebbe essere più coraggioso nel portare avanti la questione energetica e industriale.
Pensiamo che il benessere che abbiamo sia fondamentalmente scritto sulla pietra, garantito, scontato, ma così non è, e per questo bisogna sviluppare una politica industriale che tuteli gli approvvigionamenti di materia prima, dotandoci di una maggiore autonomia strategica attraverso il nucleare. Però mi rendo conto che i problemi fiscali ci siano, che il Governo sta seguendo un’attenta politica sul fronte del controllo dei costi e va benissimo, ma senza investimenti, senza nucleare e senza diversificare le fonti di approvvigionamento sulle materie prime e sull’energia non ci sarà un futuro industriale per il Paese. Attenzione, quindi, a giocare troppo di rimessa aspettando la prossima crisi perché poi rischiamo che sia troppo tardi.
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