
Il discorso di Obama sembra quello di Berlusconi: deludente e noioso
Il discorso che il presidente Usa Barack Obama ha tenuto a seguito del downgrade del debito pubblico americano annunciato dalla società di rating Standard & Poor’s è definibile in un solo modo: deludente e noioso.
Il confronto tra la reazione dei paesi Ue e in particolar modo del nostro esecutivo domestico con le parole di Obama è inevitabile. Il discorso del presidente Usa, ha ricalcato il modo con cui Silvio Berlusconi si è presentato alla Camera dei Deputati mercoledì 3 agosto. I punti in comune sono almeno due. Primo fra tutti è il giudizio negativo che i due presidenti hanno avuto nei confronti dei mercati finanziari, il secondo punto riguarda la priorità di una riforma fiscale nei rispettivi paesi: togliere ai ricchi per dare ai poveri, che nella nostra Italia prende il nome di patrimoniale. In più Obama, in pieno stile keynesiano, ha rivendicato l’importanza della spesa pubblica, e in particolar modo nel suo piano vi è la brillante idea di ridurre il tasso di disoccupazione attraverso la costruzione di infrastrutture. Per fortuna, anche Obama ha definito questa soluzione banale e ci permettiamo di aggiungere obsoleta, ma il presidente tenta di salvarsi nel passare la colpa all’opposizione repubblicana. Ma non erano loro, i liberisti?
Dulcis in fundo, Obama, con tono molto scocciato, ha arringato la sala stampa dicendo che gli Stati Uniti d’America sono da tripla A. Perché? Perché loro sono americani. La logica non fa una grinza, peccato che i mercati non ragionino così, ma ascoltino, a causa del loro Dna, proposte dirette verso il consolidamento dei bilanci di Stato attraverso le logiche del libero mercato.
Berlusconi a seguito del discorso alla Camera del 3 agosto si è visto sommergere da commenti negativi provenienti da tutto l’universo politico ed economico, fino a che, accompagnato dal ministro Giulio Tremonti e dal «padrone» del palazzo Gianni Letta, ha cambiato rotta. Ha finalmente parlato di liberalizzazioni e della riforma dello statuto dei lavoratori, tuttora ancorato alla formulazione del 1970. Parole che aprono i timpani a coloro che muovono i mercati. A parte i soliti Di Pietro e Bersani che con il solito disco rotto ripetono la filastrocca delle dimissioni, come fanno i bravi bambini con le poesie di Natale, la svolta del 5 agosto ha ricevuto un forte plauso, strozzato purtroppo dalla notizia dell’abbassamento del rating del debito pubblico americano.
Qual è la morale della storia? I mercati non sono più disposti ad accettare politiche economiche basate su debito e spesa pubblica, assistenzialismi e sprechi. Alle belle e quadrate equazioni di Keynes che insegnano nelle Facoltà di Economia non ci crede più nessuno. Per analogia, se un’impresa è ben capitalizzata, non ha sprechi e guadagna, ha un buon rating, se invece è estremamente indebitata con un conto economico che fa acqua da tutte le parti il rating si abbassa. Perché per gli Stati dovrebbe essere differente? Il debito è sempre debito, da qualsiasi parte lo si guardi. Per il bene di tutti, si spera che dopo la svolta berlusconiana, anche Obama cambi direzione. I tempi si fanno stretti e le tasche sono sempre più vuote.
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