Il Csm: «Bruti Liberati avrebbe dovuto motivare l’assegnazione del processo Ruby a Boccassini»
La motivazione con cui il capo della procura di Milano ha giustificato l’assegnazione del processo Ruby al sostituto procuratore Ilda Boccassini (di solito impegnata in indagini antimafia), anziché al sostituto Alfredo Robledo, a capo del pool per i reati contro la pubblica amministrazione come quelli ipotizzati per Silvio Berlusconi dall’accusa nel caso Ruby, per la settima commissione del Csm sarebbe insufficiente. Bruti doveva meglio motivare la sua scelta per «scongiurare qualunque possibilità di rischio di esporre l’ufficio al pur semplice sospetto di una gestione personalistica di indagini delicate».
«PRIVO DI MOTIVAZIONE». Sono queste le parole usate dalla VII commissione del Csm, quella che si occupa di valutare la corretta organizzazione degli uffici giudiziari, nella relazione approvata dalla maggioranza che verrà presentata al prossimo plenum sullo scontro interno alla procura milanese tra Bruti e Robledo. Per la VII commissione l’assegnazione del fascicolo Ruby a Boccassini, «avvenuta nella prima fase solo verbalmente» è stata poi «confermata con un provvedimento formale» firmato da Bruti, ma tale provvedimento è «privo di motivazione della cui opportunità (se non addirittura necessità) non può dubitarsi». Anzi, prosegue la relazione della VII commissione, la motivazione della scelta di Boccassini avrebbe «dato veste formale alla ragione sostanziale che, del tutto plausibilmente, giustificava, pur dopo l’emersione di una notizia di reato rientrante nella competenza formale del II Dipartimento (quello diretto da Robledo,ndr) la permanenza dell’assegnazione ai soli magistrati che avevano fino ad allora correttamente seguito il procedimento, alla luce dello stato di avanzamento delle indagini già condotte con efficacia e tempestività». Pur essendo così necessaria, secondo la commissione del Csm una spiegazione sulle proprie scelte da parte di Bruti Liberati invece non è mai arrivata.
«MANCANZA DI DISCIPLINA». Ma la relazione della commissione prosegue ancora più duramente, annotando anche «la mancanza di una precisa disciplina relativa all’assegnazione» delle indagini ai vari magistrati. Si tratta di una annotazione particolarmente severa, perché denoterebbe una totale discrezionalità da parte di Bruti Liberati nella guida della procura più importante d’Italia. Bruti avrebbe «lasciato prosperare prassi disomogenee». Oltre al caso Ruby, ciò viene esemplificato con l’inchiesta sul crac del San Raffaele che è stato trasferito da un pool ad un altro, mentre veniva parallelamente trasferito il pm titolare dell’indagine. Invece secondo la commissione «Una chiara disciplina dei poteri e degli obblighi dei procuratori aggiunti avrebbe consentito di definire meglio le modalità di coordinamento, in particolare con il II Dipartimento (quello guidato da Alfredo Robledo, ndr) in entrambi i casi omesso, in contrasto con i criteri organizzativi che definiscono le competenze specialistiche».
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