Il caos scuola in Puglia e la beffa dei prof in sciopero «contro il liberismo»
Adelfia, comune di Bari, 17 mila abitanti, sindaco, scuole, genitori tra l’incudine e il martello. «Ieri in Dad, oggi in presenza, domani chissà», dicono le madri al giornalista di QI, quotidiano italiano che, zaino in spalla e figli di 8 e 4 anni per mano, è uscito anche lui ieri mattina senza sapere se la scuola era aperta o chiusa, né con quale motivazione e per chi sarebbe stata aperta o chiusa. Effetto dell’ordinanza – la decima da ottobre – diramata nella tarda serata del 23 febbraio dall’ufficio di presidenza del governatore della Puglia, Michele Emiliano, dopo la decisione del Tar di sospendere la precedente che imponeva la didattica a distanza al 100 per cento per ogni grado scolastico, dall’asilo alle superiori, nonostante la Regione sia classificata in zona gialla.
Il messaggio dell’ennesimo provvedimento è il seguente: ogni istituto si regoli. Sebbene «esporre a rischio di contagio (per garantire la didattica in presenza) insegnanti e personale scolastico avendo già disponibile un vaccino che potrebbe azzerare ogni complicanza anche con possibili esiti mortali in caso di contagio corrisponderebbe ad una violazione di misure di sicurezza sul lavoro disponibili in scienza e coscienza». Insomma, quando mancano pochi minuti a mezzanotte i genitori di 570 mila studenti affollano le chat di classe aspettando che all’alba del 24 febbraio si riuniscano presidi e insegnanti per interpretare il decimo provvedimento che investe oltre 600 scuole della Regione.
“Chiudere tutto in attesa del vaccino”
Nonostante il Tar, l’ordinanza conferma la linea dura di Emiliano e dell’assessore regionale alla Sanità, Pierluigi Lopalco, che vorrebbe le scuole chiuse fino a primavera, perché «prevenire è meglio che curare»: niente ritorno in classe fino al 14 marzo, data in cui le Asl dovranno completare il piano vaccinale anti Covid degli operatori scolastici. Nell’attesa è prevista la prosecuzione del 100 per cento delle attività in modalità digitale integrata, ma è riconosciuto alle scuole dell’infanzia, elementari e medie l’obbligo – e non più la “facoltà” – di ammettere «in presenza tutti gli alunni che, per ragioni non diversamente affrontabili, non abbiano la possibilità di partecipare alla didattica digitale integrata». Idem per le superiori, ma «nel limite del 50 per cento della popolazione scolastica, possibilmente per ogni singola classe». In pratica dall’opzione di scelta tra frequenza in presenza o distanza rimessa alle famiglie (opzione sciagurata prevista dalle precedenti ordinanze) la palla passa formalmente alla scuola e da lì torna alle famiglie: chi potrà e secondo quali criteri stabilire quali sono queste «ragioni non diversamente affrontabili»?
«E chi deve lavorare, non ha la nonna, non ha la babysitter?», «e poi i ragazzi con le scuole chiuse affollano i parchi», «i cittadini non stanno capendo niente», «ci chiedono sacrifici e per i nostri figli ne faremo sempre, ma non possono chiederci sacrifici per un risultato controproducente per loro: bambini di prima o seconda elementare non possono affrontare la dad senza qualcuno vicino che li aiuti», «meglio tutto aperto», «meglio tutto chiuso», «una cosa è certa: non si dovrebbe lasciare in stato confusionale chiunque abbia a che fare con la scuola in questo periodo». Sono le voci di Adelfia, ma sono anche quelle di una Regione che ha visto per l’ennesima volta il ritorno al “fai da te” e al caos che ha costretto gli istituti a pubblicare nuove circolari per riorganizzare per l’ennesima volta le attività didattiche ed educative in un contesto tutt’altro che chiaro o certo (a parte “chiudere tutto in attesa del vaccino”) per poter sviluppare una reale autonomia.
Bianchi incontra i sindacati
Nelle stesse ore i giornali davano notizia del moltiplicarsi delle chiusure delle scuole in tutta Italia per fronteggiare i contagi da varianti del virus e degli impegni assunti dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi incontrando gli agguerriti sindacati: niente prolungamento del calendario scolastico fino a fine giugno, tramonta l’ipotesi ventilata dal presidente del Consiglio Mario Draghi, niente soluzioni “calate dall’alto” ma modulate sul fabbisogno del territorio, attraverso patti di comunità col terzo settore e un gruppo di lavoro (non chiamatelo task-force) dedicato a studiare un «modello operativo per recuperare i gap di socialità e apprendimento individuale» a partire da settembre. Annunciato anche un nuovo tavolo di confronto sul nodo concorsi o sanatoria per i 213 mila insegnanti precari che attendono di essere regolarizzati.
Le scelte del nuovo governo, reo di aver osato immaginare un prolungamento delle lezioni come azione di recupero di quanto innegabilmente perso durante un anno e rotto di pandemia, restano tuttavia al centro di una sconcertante mobilitazione annunciata dal Sindacato indipendente Scuola e Ambiente (Sisa) per il 1° marzo e confermata dal ministero dell’Istruzione.
Sciopero contro «le politiche liberiste»
Come se non bastasse il Covid, o la confusione generata da ordinanze e decreti («la bussola del nuovo dpcm» quello in vigore dal 6 marzo al 6 aprile, ha annunciato il ministro Roberto Speranza, «sarà la salvaguardia del diritto alla salute»), quel giorno tutto il personale docente e dirigente, di ruolo e precario, con esclusione del personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario) non andrà al lavoro. Presidi e insegnanti Sisa sciopereranno convinti che «le politiche di stampo liberista avanzate dal costituendo governo di Mario Draghi, per altro deciso a disconoscere la Dad realizzata con enormi sacrifici di docenti e studenti, prolungando arbitrariamente le lezioni al 30 giugno, siano in totale contrasto con un progetto sociale, culturale e politico che, a partire dalla scuola sia coerente con la Costituzione nata dalla Resistenza, che invita all’inclusione sociale».
“Politiche di stampo liberista” andare scuola? Scuola “coerente con la Costituzione nata dalla Resistenza”? «Le politiche di rigore, tese a colpire lavoratori, disoccupati, pensionati, il ridimensionamento del reddito di cittadinanza, i tagli contro il pubblico impiego in generale e la scuola in particolare, al netto dei proclami sulle assunzioni dei precari, sono e saranno sempre respinti dalla nostra organizzazione sindacale». Con buona pace del diritto allo studio e dei discorsi di Draghi proprio sulla “scuola in particolare” al Senato.
Foto Ansa
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