I vicini di cella di Simone si uniscono alla «battaglia sull’amnistia»

Di Redazione
17 Luglio 2012
I detenuti della cella 106 (di fianco alla 107 di Antonio Simone) a San Vittore scrivono al direttore Amicone: «Speriamo che Tempi sostenga l'amnistia con tutte le forze. Anche Davide non si arrese contro Golia».

Riceviamo e pubblichiamo la lettera che i detenuti della cella numero 106 del VI raggio di San Vittore, la cella di fianco alla 107 di Antonio Simone, che ha regalato ad uno di loro “L’annuncio a Maria”, hanno inviato al direttore Luigi Amicone.

Caro Gigi,

le lettere dal carcere di Antonio Simone danno voce ad un disagio di cui troppo poco si dice e si conosce. Si finisce così per credere all’irrealtà di situazioni ed emozioni, troppo lontane dal nostro “quotidiano” per poterle non dico capire, ma anche solo immaginare. Il Destino ha però voluto ch’io mi “infilassi” nella cella numero 106 del VI raggio di San Vittore, accanto alla 107 di Antonio. Come lui, sono detenuto a titolo cautelare: non voglio qui entrare nel merito dell’adeguatezza della misura. Ritengo più opportuno aggiungere la mia voce e quella dei miei compagni di cella a quella di Antonio, per attirare l’attenzione su alcuni temi di attualità: situazione carceraria ed amnistia (pur consapevole che quest’ultima è “elettoralmente” impossibile).

Il VI raggio di San Vittore non è certo un posto per educande, ma è anche poco atto a ricevere la massa di persone che accoglie attualmente. Permettimi di esemplificare: siamo in sei in 8 metri quadrati più servizi/cucina (ovvero: una “turca” ed un minilavabo con solo acqua fredda). Tolti gli ingombri quali letti, tavolini ed armadietti, i metri quadrati disponibili sono circa 3. La doccia, comune, non si può utilizzare la domenica. La discarica dei sacchi d’immondizia è sotto le finestre delle nostre celle: ti lascio immaginare il traffico di topi e scarafaggi, che non si limitano ad affacciarsi alle finestre.

Non è posto da paese civile, ma è una bella rappresentazione dell’Italia di oggi, in cui il “provvisorio” sostituisce costantemente il “definitivo”, le “una tantum” si moltiplicano, facendo perdere di significato la parola “una”, ma rafforzando il senso di “tantum”, in cui il primo soggetto a violare la legge è lo Stato stesso e chi lo rappresenta nelle varie sedi. La nostra condizione è un’offesa e una palese violazione dei più elementari diritti umani, della normativa europea sulle carceri e dello stesso diritto alla difesa. Molti di noi sono qui in custodia cautelare: nelle celle non solo non c’è lo spazio fisico per accatastare la documentazione difensiva dei detenuti conviventi, ma non c’è neanche lo spazio fisico per consultarla. Rinchiusi in cella per 21 ore su 24, con un vitto non degno di tal nome, il deperimento fisico, assieme a quello psichico, è la strada comune che tutti noi ci troviamo a percorrere.

Dicono che almeno il 40 per cento delle custodie cautelari finiscono con un’assoluzione in giudizio, se al giudizio arrivano: qualcuno calcolerà mai il costo sociale ed economico di tutto questo? Se l’ultima sentenza sul lodo Mondadori ha sancito il principio che far perdere delle “chance” merita un indennizzo, lo Stato ripagherà mai le chance fatte perdere alle vittime degli errori della giustizia, alcuni dei quali rasentano la tortura?

Se lo Stato stesso non rispetta le proprie leggi, constatato che il sistema giudiziario è fallibile e fallace, poiché gestito da uomini fallibili e fallaci (e influenzabili, corruttibili, a volte dolosamente inclini a perseguire teoremi, piuttosto che accertare reati), l’amnistia diventa strumento principe di amministrazione della giustizia, perché ridà ai molti innocenti il diritto all’onore, prima che alla libertà. Per capire perché l’amnistia è giusta basta ricordarsi del paradosso dell’orologio: un orologio fermo è più preciso di qualunque altro, perché indica l’ora esatta due volte al giorno, mentre anche il più preciso orologio atomico porta in sé un errore che gli farà indicare l’ora esatta una volta ogni molti miliardi di anni. Così è l’amnistia: ogni vent’anni aiuta lo Stato a riparare i propri errori ed affermare una “giustizia giusta”.

La battaglia sull’amnistia, nel periodo pre-elettorale in cui di fatto ci troviamo, è pressoché persa in partenza ma non per questo è meno giusta e nobile e andrebbe accompagnata da una profonda riforma della giustizia. Mi auguro che il vostro Tempi la sostenga con tutte le forze di cui è capace. Anche Davide non si arrese contro Golia.
Un caro saluto,

Alessandro Jelmoni
Paolo Conversano
Vincenzo La Forgia
Massimo Bianchi
Luigi Orlando
Emanuele Nota

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