
Tremende bazzecole
I soli occhi capaci di sondare la terra, il mare e le loro tragedie
«E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno, canto XXXIV)
Dopo essere sceso nella voragine infernale, Dante riemerge e ritrova la vista delle stelle. Mi chiedo che impressione abbiano avuto i minatori turchi usciti superstiti dall’inferno sotterraneo a Soma; non saranno stati pensieri così poetici, ma lamenti semicoscienti e scioccati. Si dice che alcuni di quelli rimasti intrappolati e vivi là sotto abbiano tentato il suicidio.
Fra i trecento morti c’è anche Kemal Yildiz, 15 anni; l’hanno chiamato il Rosso Malpelo di Soma, perché, come quel celebre personaggio, anche lui ha conosciuto fin da piccolo il duro mestiere di chi si spacca la schiena sottoterra. E proprio a Verga mi ero messa a pensare anch’io, constatando che nel giro di due giorni due diverse stragi parevano uscite proprio dalla voce del grande narratore siciliano.
Mare e terra, naufragi e crolli sotterranei: prima abbiamo visto l’ennesimo dramma dei migranti che sono morti al largo della Sicilia, poi dalla Turchia è arrivata la notizia del crollo in miniera. Centinaia di vittime in entrambi i casi, condizioni di vita estreme che l’occhio di Verga abbracciò semplicemente guardando la vita nella sua terra natia: il naufragio della Provvidenza, la barca dei Malavoglia, e la storia del piccolo Rosso Malpelo.
Per mare e per terra, lontano da qui, ma anche a un palmo di naso, tragedie imprevedibili e tragedie prevedibili accadono. «Volete metterci un occhio anche voi, a cotesta lente?», chiedeva Verga alla nobildonna incuriosita di conoscere la vita dei pescatori e contadini di Sicilia. E lei, schifata, non resistette in mezzo a quella gente neppure 48 ore. C’era un universo intero tra quelle zolle e onde, ma troppo duro da guardare.
Lo scrittore, invece, guarda, perché sotto sotto lui è una specie di creatore ed è attratto dai grandi elementi del creato: fuoco, aria, acqua e terra. Sappiamo che nel terzo giorno Dio separò l’acqua dalla terra: «E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona». Per quanto siano cose buone e separate, il mare e la terra sono anche abissi di dolore, s’annega e si soffoca. A distanza di un giorno la cronaca ci ha ricordato che nella grande varietà di paesaggi acquei e terrestri nessun luogo è senza pericolo, e in ogni elemento la mano dell’uomo perpetra abusi e violenze.
Questo pensavo, quando sul treno ho buttato l’occhio sul quotidiano che leggeva il tizio accanto a me. Il titolo della pagina in cui si era soffermato recitava: “Niente soldi, sponsor e genitori dipingono la scuola”. Se nessuno si adopera per sistemare una scuola, ecco che i genitori si armano di pennelli e attrezzi. E grazie a questo il mio pensiero è andato oltre. Già, perché fu così fin dal principio, da quando spiccò, tra i tanti animali del creato, uno che disegnava sulle pareti delle grotte.
Fu l’unico capace di alzare gli occhi stupiti alle stelle e rimase l’unico in grado di disegnare, raccontare, calcolare… insomma in grado di sondare con coscienza e partecipazione (non solo con abusi e violenze) il putiferio che c’è in ogni dove, per mare e per terra. Resta l’unico capace di incalzare i suoi simili a essere vigili dicendo: vuoi buttarci un occhio anche tu?
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