Caro direttore, in questo periodo in cui gli adulti ne dicono di tutti i colori (il ministro dell’istruzione che chiede agli studenti di non andare a scuola, Marco Cappato che dice che la possibilità del suicidio allarga il campo delle libertà, un prete di curia che vuole cambiare la ricetta dei ravioli quando nessuno lo chiede, lo stesso ministro che vuole togliere il crocefisso per sostituirlo con una cartina, la Cirinnà che dice che è una vita di m. quella che fa capo a Dio, patria e famiglia, e così via), in questo periodo, dunque, è bene rifarsi alla saggezza ed alla serietà dei più piccoli, come, del resto, ci invita a fare il Vangelo.
Mi è venuta in mente questa osservazione rileggendo il tema della vincitrice, per le scuole superiori, del concorso scolastico indetto dai Nonni 2.0 e intitolato “Io e miei nonni”. Rileggendo questo testo, l’ho paragonato con le ciniche parole sentite, in questi giorni, a proposito del fine vita e dell’aiuto al suicidio. Di fronte ad un tema così drammatico e delicato, troppi hanno inneggiato alla vittoria del progresso di civiltà compiuto dalla incredibile sentenza della nostra Corte Costituzionale, quando, invece, si tratta della interruzione di una vita che nessuno si è dato da sé. Soprattutto, ho sentito pochissime parole di pietà e di solidarietà verso chi si viene a trovare in difficoltà. Si è arrivati alla fine della “pietas”, che l’umanità ha vissuto nei secoli e che il cristianesimo ha indicato definitivamente come il paradigma di ogni vita che voglia dirsi umana. In questa occasione, tanti adulti hanno testimoniato, tristemente, solo cinismo e nichilismo.
Invece, quel tema scritto da una semplice ragazzina, che ha intitolato “Non ti scordar di me”, testimonia, riferendosi alla nonna, una sensibilità, un tatto ed una delicatezza che troppi grandi hanno dimenticato. Angelica descrive il rapporto con una nonna che, per non pochi anni, sembrava lontana dal mondo (e quindi i cinici la considererebbero oramai inutile), mentre per Angelica ha costituito una presenza indimenticabile. E la descrive con parole serene, anche se struggenti. «Avevi delle mani bellissime… ti vedo sulla poltrona, seduta accanto al nonno, e poi sul letto, mentre L. ti cambia. Ti sento cantare i ritornelli che avevi imparato da bambina, e mentre inutilmente cerchi tua madre». Anche se Angelica non nasconde il «senso di impotenza e la rabbia per ciò che accadeva e che trovavo così profondamente ingiusto», esprime con candore «la gioia enorme nel vederti in casa, anche se con il sondino, i baci sulla fronte e gli omogeneizzati». E poi apre il cuore confessando «di essermi potuta rendere conto di quanto una persona possa essere fondamentale anche se non si ricorda il tuo nome e non ti riconosce più». E così termina il tema, in modo sublime e commovente: «Scrivere di te è sprofondare tra ricordi che ormai mi sembrano lontanissimi, significa tornare a inquadrare nitidamente il tuo viso, provare in tutta la loro concretezza sensazioni che credevo di avere sepolto. È DOLOROSO MA È BELLISSIMO, È COME UNA PRESA DI COSCIENZA. MI HAI SEGNATA PROFONDAMENTE, ERI COMPLETAMENTE ASSENTE E ALLO STESSO TEMPO AVVERTIVO POTENTISSIMA LA TUA PRESENZA, ERI IMMOBILE EPPURE PERCEPIVO IN TE UN’ENERGIA QUASI VIOLENTA».
Queste ultime parole dovrebbero leggerle tutti i cinici di questo mondo, tutti gli adulti che, pare, siano in maggioranza favorevoli all’eutanasia. Occorre un cuore vero e semplice per proclamare che anche una apparente assenza costituisce una potente presenza e che anche una immobilità può avere una energia violenta. La violenza della vita, comunque essa sia, che vince la violenza della morte. Noi sappiamo che Qualcuno ha già compiuto per tutti noi questo miracolo, che solo i piccoli sanno vedere.
Peppino Zola
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