Haiti affonda in un mare d’acqua, detriti e violenza
«La tempesta è arrivata all’improvviso, si è abbattuta su Haiti con una violenza pazzesca rovesciando acqua per dodici ore filate. Qui non esistono strade, ma montagne di rifiuti che le piogge torrenziali hanno trasformato in fiumi micidiali di fango, acqua, detriti, spazzatura. Hanno travolto tutto quello che incontravano, case, macchine, persone. E il nostro pulmino, l’ultimo che ci era rimasto. Stava portando i bambini in ospedale».
Haiti flagellata dalle inondazioni
I bambini stanno tutti bene, racconta suor Marcella Catozza a Tempi, ma il mezzo è fuori uso, «lo abbiamo spinto fino alla missione, era l’ultimo rimasto, tutto scassato, gli altri ci sono stati portati via dai gruppi armati. Dovremo provare a ripararlo, non possiamo permetterci un pulmino nuovo, perché comprare una macchina nuova ad Haiti significa diventare un obiettivo, mettere a repentaglio i bambini. Se passa il messaggio che la “la suora ha i soldi” le bande armate torneranno a non darci pace, non possiamo permetterci alcun gesto avventato. Ma questo è l’ultimo dei problemi. La Kay Pe’ Giuss è stata allagata, le batterie dell’impianto fotovoltaico e gli accumulatori di corrente sono finiti sott’acqua e non c’è più elettricità nell’ala della missione dove si trovano la cucina, l’infermeria, la lavanderia e la casa dei bebè. Avevamo l’acqua al polpaccio quando abbiamo iniziato a portare fuori tutto. Qui nessuno è in grado di riparare impianto e pannelli, e nessun tecnico con le competenze per farlo si avventurerebbe mai nel nostro quartiere».
Il terremoto e il terrore delle bande armate
Come se non bastasse, martedì alle cinque del mattino, «il terremoto ci ha letteralmente scaraventato giù dai letti. Cadevano libri, piatti. Temevamo diramassero l’allerta tsunami: la missione sorge a ridosso della spiaggia. Solo dopo qualche ora abbiamo saputo che l’epicentro era in mare, ancora una volta davanti Jérémie nel sud-ovest di Haiti».
Ancora una volta: cioè dopo il sisma del 14 agosto 2021, quando le macerie restituirono ad Haiti duemila cadaveri, diecimila feriti e decine di migliaia di sfollati sui quali si sarebbe abbattuta dopo poche settimane la tempesta tropicale Grace. A separare i sopravvissuti dalle cure di pompieri, medici, dall’arrivo di farmaci, acqua, tende, viveri non furono allora le strade smottate dal terremoto e dalle piogge torrenziali, ma le spietate bande armate, bande che ancora oggi continuano ad ammazzare quanto una calamità naturale. Le inondazioni di sabato 3 giugno hanno causato 51 morti, 140 feriti, sono oltre 32mila le abitazioni allagate, mancano cibo e acqua potabile, centinaia di donne e bambini attendono soccorso medico. Ma sono 165mila gli sfollati, costretti ad abbandonare le proprie abitazioni a causa della violenza della gang.
Omicidi, stupri, rapimenti. E la legge del taglione
L’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite ad Haiti, pubblicato il 9 giugno, documenta attacchi di bande, esecuzioni extragiudiziali, rapimenti, stupri, linciaggi. Nei primi tre mesi del 2023, sono state uccise, ferite o rapite più di 1.630 persone. In un paese dove 5,2 milioni di persone sono alla fame e hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria, la gente ha iniziato a farsi giustizia da sola: «È accaduto qualcosa di impensabile ma forse prevedibile – scriveva Daniele Mastrogiacomo su Repubblica pochi giorni fa -. Vessati dall’arroganza delle gang che hanno reso Haiti un vero inferno, gli abitanti hanno deciso di reagire. Si sono organizzati in un movimento, chiamato “Bwa kale”, in gergo creolo “erezione”, e hanno iniziato a fare quello che i pochi poliziotti ancora in servizio non riuscivano a fare. Hanno applicato una sorta di legge del taglione; sono ricorsi alle leggi arcaiche che prevedevano una giustizia sommaria». Il 24 aprile hanno sottratto ai poliziotti un manipolo di presunti membri una di una banda, li hanno legati gli uni agli altri, messi in cerchio per terra, li hanno coperti con dei pneumatici impregnati di benzina e poi hanno acceso il fuoco. «L’esempio ha contagiato l’intera popolazione che si è organizzata in pattuglie armate di machete, pistole e fucili. Finora, ufficialmente, si contano 160 esecuzioni nelle sei settimane di giustizia fai da te».
«Siamo inermi, non possiamo costruire nulla»
Haiti è ancora una volta in ginocchio, «e non sappiamo veramente più cosa fare. Sei educatori hanno perso la casa e non possono venire a lavorare, intorno alla missione sono caduti alberi, tralicci, i bambini restano da soli perché non abbiamo abbastanza volontari per coprire i turni», racconta suor Marcella a Tempi. «Abbiamo già affrontato terremoti, uragani, il colera, la violenza delle bande armate, la persecuzione della Chiesa. Abbiamo perso tante volte casa, amici, mai la speranza, abbiamo ricostruito ogni volta quello che avevamo perso. Ma ora siamo inermi, non possiamo costruire nulla, solo tenere una posizione. Non dobbiamo smettere di chiederci che significato abbia tutto questo per noi».
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