«Haiti è discesa agli inferi. Quando finirà questo calvario?»

Di Caterina Giojelli
16 Aprile 2021
Dopo gli ultimi sequestri di preti e suore la Chiesa “sciopera”: «Non passiamo giorno senza piangere e digrignare i denti, è ora di mettere fine a questi atti disumani»
Haiti, sequestrati sette religiosi

Ieri Haiti si è fermata: nel fazzoletto più povero dell’America latina chiese, scuole, università, imprese cattoliche sono rimaste chiuse. A mezzogiorno le campane di tutto il paese hanno iniziato a suonare all’unisono mentre dalla chiesa di Saint Pierre a Pétion-Ville si levava la preghiera dei vescovi che celebravano messa per chiedere alla patrona Vergine Maria di intercedere per salvare Haiti dalla «dittatura del rapimento».

La protesta, con tanto di serrata e scioperi, è stata indetta da una Conferenza episcopale di Haiti col cuore in rivolta dopo gli ennesimi, brutali sequestri di cinque preti, due suore e tre familiari di un sacerdote che doveva insediarsi domenica mattina nella parrocchia di Croix-des-Bouquets, alla periferia della capitale Port-au-Prince. I dieci, tra di loro due religiosi di nazionalità francese (padre Michel Briand della Società dei Sacerdoti di Saint Jacques, e suor Agnès Bordeau, della Congregazione della Provvidenza di Pommeraye), non hanno mai raggiunto la chiesa: i loro aguzzini che si sospetta appartengano ai “400 Mawozo”, famigerata banda armata della zona, hanno già chiesto un riscatto di un milione di dollari.

«Ad Haiti esci e non sai se torni»

«La Chiesa di Haiti chiede che queste persone siano rilasciate vive e senza condizioni» è stata la risposta di Launay Saturné, arcivescovo di Cap-Haïtien e presidente della Conferenza episcopale haitiana che ha rilasciato all’Agenzia Sir una durissima intervista:

«In passato hanno sequestrato avvocati, medici, infermieri, pastori, commercianti, ambulanti, uomini d’affari. Persone di tutte le categorie, haitiani e non. Questa è la realtà quotidiana del popolo haitiano: quando si esce di casa non si sa se si tornerà. Ci sono quartieri che sono diventate zone senza legge, con parrocchie chiuse e impraticabili a causa dell’insicurezza (…) Non capiamo come poche persone possano sfidare l’autorità dello Stato in questo modo. Perché sono più armate delle forze dell’ordine? Dove trovano armi così sofisticate?».

Dopo aver fatto appello alle autorità chiamate ad «assumersi la responsabilità di quello che sta accadendo» e ai rapitori perché «si rendano conto del grave torto che stanno causando», monsignor Saturné si è anche rivolto ai francesi e ai paesi «che si dichiarano “amici di Haiti”»: «Devono provare di essere veramente “amici di Haiti”. E lavorare per il bene degli haitiani perché il paese è in ginocchio. Devono aiutarci a rispettare i diritti umani. E volere il bene di Haiti, come vogliono il bene delle loro nazioni e dei loro popoli».

«Nessuno è più al sicuro»

Da quasi tre anni Haiti è in ginocchio, i sequestri-lampo da molti o pochissimi dollari sono aumentati del 200 per cento negli ultimi mesi, diventando l’incubo di una popolazione sprofondata nel caos, falciata dalla crisi sociale e politica, dalla denutrizione e dalle estorsioni, dalle pallottole e dalle malattie. La violenza di decine di bande armate fino ai denti ha assunto «proporzioni senza precedenti», ha denunciato il vescovo della capitale Max Leroy Mésidor, «da tempo assistiamo ad una discesa agli inferi della società haitiana». «Questo nuovo caso è un riflesso del crollo dell’apparato di sicurezza dello Stato e del Paese. Nessuno sembra essere più al sicuro» ha denunciato all’Agenzia Fides padre Renold Antoine, «gruppi fuori legge continuano a seminare paura e tristezza nel cuore della popolazione». Ma «questo è troppo. È giunto il momento di porre fine a questi atti disumani», ha tuonato monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Miragoâne, facendo eco alla nota diffusa dalla Conferenza episcopale di Haiti che annunciava lo sciopero del 15 aprile:

«Non passiamo giorno senza piangere e digrignare i denti, i cosiddetti funzionari di questo Paese, pur aggrappati al potere, sono tanto impotenti quanto inesistenti (…) Non ce la facciamo più».

La Somalia dei Caraibi

Haiti «rischia di diventare la Somalia dei Caraibi», ha denunciato al Washington Post lo studioso Ralph P. Chevry. «Poveri contro poveri», li ha chiamati il New York Times. Qui, dove ha ricordato il Corriere gli studenti organizzano collette per liberare i propri compagni rapiti, i banditi non guardano più in faccia nessuno: piccoli alunni, venditori ambulanti, suore, preti. Uscire è vivere con la paura di sparire nella Somalia dei Caraibi, un paese in ostaggio di uomini, ragazzini e paramilitari che «agiscono con la visiera alzata, sotto gli occhi di tutti e nella totale impunità», hanno scritto i vescovi: «Quando finirà questo calvario?».

Foto Ansa

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