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Giudici lenti. E i condannati per mafia tornano liberi

La Stampa racconta oggi un caso accaduto in Calabria. Dopo due condanne, alcuni 'ndranghetisti sono stati scarcerati perché non sono state scritte le motivazioni della sentenza

Redazione
15/06/2016 - 17:59
Interni
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«Non ce n’è abbastanza perché Csm e commissione antimafia se ne occupino?» è la domanda con cui si conclude un articolo apparso oggi su la Stampa (“Il giudice in ritardo non scrive la sentenza. I mafiosi tornano liberi”). Come si comprende dall’eloquente titolo qualcosa è andato storto nelle aule dei tribunali calabresi.

L’INCHIESTA. L’estensore dell’articolo elenca diversi casi di inadempienze giudiziarie, delle quali, la più clamorosa, riguarda il processo «”Cosa Mia”, nato nel 2010 da un’indagine della procura di Reggio Calabria, allora retta da Giuseppe Pignatone oggi procuratore a Roma, sulle famiglie della piana di Gioia Tauro, protagoniste di una sanguinosa guerra di mafia negli Anni 80-90, con 52 omicidi e altri 34 tentati. L’inchiesta aveva svelato il controllo delle cosche sui lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, con una tangente del 3% imposta alle imprese sotto la voce “tassa ambientale”» o “costo sicurezza”».

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LE CONDANNE. Il processo, seppur complicato, è arrivato a sentenza: «Nel 2013 la corte d’assise commina 42 condanne per complessivi trecento anni di carcere, con una sentenza monumentale di 3200 pagine. Impianto sostanzialmente confermato nella sentenza d’appello, pronunciata a fine luglio dell’anno scorso».
Qui accade l’impensabile: «Dato che la durata massima della custodia cautelare è di sei anni e i boss furono arrestati nel giugno 2010, il calcolo è semplice. La corte d’appello avrebbe dovuto depositare le motivazioni entro 90 giorni (quindi entro fine ottobre 2015), poi gli avvocati avrebbero avuto 45 giorni per presentare il ricorso in Cassazione. Ai supremi giudici sarebbero rimasti sei mesi, fino alla scadenza del termine della carcerazione preventiva, per chiudere il processo con la sentenza definitiva. Un tempo più che sufficiente: in Cassazione è prassi anticipare i processi per i quali sta maturando la prescrizione (fu così per il caso Berlusconi, frode fiscale, nell’agosto 2013) o stanno per scadere i termini di carcerazione degli imputati».

E LE MOTIVAZIONI? E invece? E invece le carte si fermano alla «corte d’assise di Reggio Calabria» perché il giudice «non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza». Trascorso dunque il termine (90 giorni) e pure il tempo di proroga richiesto e accordato (tre mesi) gli imputati sono usciti dal carcere.

Foto Ansa

Tags: 'ndranghetamafiamagistraturaReggio Calabria
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