I pessimisti insistono sui regali nefasti del declino obamiano, soprattutto all’Iran, e sulla demolizione del capolavoro di Kissinger: la separazione tra Mosca e Pechino
Articolo tratto dal settimanale Tempi in edicola (qui la pagina degli abbonamenti) – Sopravviveremo fino alle presidenziali americane del 2016? Qualche ottimista sostiene che proprio la condizione da anatra zoppa di Barack Obama gli permetterà di realizzare alcune svolte di politica estera che segneranno positivamente gli anni successivi: in questo senso andrebbero un’intesa con l’Iran su sanzioni e nucleare, il trattato per un’area di libero scambio transpacifico (questo sembra instradato) che metterebbe sulla difensiva la Cina, e forse anche uno transatlantico che integrerebbe un po’ i tedeschi e terrebbe a bada i russi.
I pessimisti insistono sui regali nefasti dell’obamismo declinante: la pace forzata con Teheran porterebbe a un asse Pakistan-Cina-sauditi che reggerà anche dopo il 2016. Quello che uno sbadato New York Times ha definito kissingeriano di ritorno, in realtà ha disfatto il principale capolavoro del segretario di Stato di Nixon: la separazione tra Mosca e Pechino. L’Europa, a cui basta la piccola Grecia per impazzire, non firmerà il trattato transatlantico e non definirà una linea verso Mosca: dalla sua, l’attenzione dell’attuale Casa Bianca si rivela anche nei particolari di come tratta gli ostaggi europei uccisi da suoi droni. Come comportarsi? Sperare (e aiutare) gli ottimisti ma prepararsi agli scenari più pessimistici.