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Green pass al bar e obbligo vaccinale? «Servono misure proporzionate»

Quando e per quali motivi è possibile limitare i diritti? Su quali dati e con quali effetti? In Italia ci sono le condizioni? Intervista al costituzionalista Giovanni Guzzetta che le suona ai fan della libertà come agli ultras dei divieti

Matteo Rigamonti
20/07/2021 - 11:45
Interni
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Green pass, il governo lavora alla mediazione sull'obbligo nei bar e nei trasporti
Green pass, il governo lavora alla mediazione sull’obbligo nei bar e nei trasporti (foto Ansa)

Carta di libertà per circolare in pandemia o misura da Stato di polizia contro la libertà dei cittadini? Forse la verità sta nel mezzo quando si tratta di discutere di adottare il cosiddetto green pass per i vaccinati da coronavirus. Secondo il costituzionalista Giovanni Guzzetta, il punto è che ogni restrizione delle libertà costituzionalmente garantite deve essere «ragionevolmente proporzionata» all’obiettivo che si intende perseguire. Un punto sul quale le argomentazioni, così come le valutazioni tecniche che potrebbero giustificare una simile misura, potrebbero andare molto più a fondo, come ci spiega in questa intervista.

Guzzetta è ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, nonché autore del manuale di Diritto pubblico italiano ed europeo (Giappichelli, 2018) e del saggio La Repubblica transitoria (Rubettino 2018), dedicato alla “anomalia italiana” che caratterizza, fin dall’origine, la provvisorietà di un assetto politico-istituzionale a suo avviso tuttora in attesa di compimento. Esercita anche la professione di avvocato presso lo Studio Legale GMvS.

Professore, in che modo il dibattito sul green pass attualizza nuovamente la discussione circa la legittimità e l’opportunità di adottare o meno misure di restrizione delle libertà individuali in nome dell’interesse generale per ragioni di carattere sanitario?

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Non c’è dubbio che il green pass ponga, oggettivamente, un problema di limitazione dei diritti, dal momento in cui la sua adozione condizionerebbe l’esercizio di alcune attività alla vaccinazione, imponendo così, di fatto, un trattamento sanitario obbligatorio. Questo, di per sé, non è incompatibile con le libertà costituzionalmente garantite: la giurisprudenza costituzionale infatti ha chiarito che la libertà di autodeterminazione in materia di salute incontra un limite proprio nell’interesse della collettività, ma ha altresì stabilito dei paletti molto netti. Si tratta di princìpi che fondamentalmente ruotano intorno all’esigenza che l’intervento di limitazione sia sempre ragionevole e proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito. Significa che la libertà può essere sì limitata, ma solo nella misura minima in cui ciò sia necessario per la tutela dell’interesse, anch’esso costituzionalmente protetto, alla salute pubblica dei cittadini.

Concretamente, quali motivazioni potrebbero giustificare l’adozione del green pass?

Innanzitutto si tratta di una valutazione che non può certo essere condotta in astratto, né tantomeno dividendosi in tifoserie, con i fautori della libertà da una parte, i supporter della costrizione dall’altra. Una valutazione che dovrebbe tenere conto della giustificazione delle restrizioni che si intendono adottare, secondo, appunto, una misura di proporzionalità che andrebbe continuamente verificata. In tal senso una prima motivazione potrebbe essere rappresentata dalla reticenza alla vaccinazione, ma in Italia la risposta alla campagna vaccinale è stata finora molto ampia: non c’è eccesso di vaccini rispetto alla domanda, il fenomeno dei contrari – sia ideologicamente sul modello no vax sia per altre ragioni – è circoscritto e non significativo come, ad esempio, in Francia dove simili restrizioni sono state adottate.

Una seconda motivazione potrebbe essere costituita dall’impatto della mancata vaccinazione sulla letalità del virus, ma non mi risulta siano emerse evidenze di un’emergenza tale da richiedere interventi restrittivi: i decessi sono bassi, al di sotto della media di altri virus stagionali, i virologi del Cts hanno ammesso una letalità fino a dieci volte inferiore rispetto a prima delle vaccinazioni e la situazione delle terapie intensive è sotto controllo. Terza possibile motivazione in questa valutazione di proporzionalità potrebbe essere il principio di precauzione: siccome non si conoscono i rischi che si corrono, meglio adottare misure più restrittive. Mi domando, però, se questo tipo di argomentazione non debba valere anche per le controindicazioni del vaccino, in particolar modo relativamente alle diverse fasce di popolazione; mentre pare indubbia infatti la convenienza per gli anziani, per i giovani il discorso sembrerebbe più articolato: in Germania, per esempio, l’Istituto Koch ha consigliato di non vaccinare i più giovani.

Queste valutazioni spettano ai tecnici o ai politici?

È proprio qui che si apre un problema ulteriore, forse più di sostanza che di procedura: in Italia la gestione della politica del Covid ha presentato ben più di una criticità; quella forse più evidente e criticabile di tutte è rappresentata dal fatto che, proprio perché si tratta di fare riflessioni concrete, dati tecnici alla mano, sulla base delle quali adottare poi decisioni politiche, sarebbe necessario – ed è peraltro richiesto dalla stessa giurisprudenza costituzionale – che queste informazioni siano pubbliche e i dibattiti resi conoscibili all’opinione pubblica e ai rappresentanti dei cittadini. Quello che sappiamo, invece, è che il Cts decide senza che le sue decisioni siano rese pubbliche, se non alcune settimane dopo le sedute. Con il risultato, però, che il Parlamento si trova a discutere di provvedimenti del Governo senza essere a conoscenza delle motivazioni tecniche e scientifiche che ne sarebbero alla base. Questo è un vulnus per la democrazia che rende problematica l’applicazione del principio di proporzionalità, che è il cuore intorno al quale ruota la questione della limitazione dei diritti.

C’è il rischio che con il green pass bar e ristoranti si trovino a dover svolgere funzioni di controllo sulla clientela proprie forse più dell’autorità pubblica che non di un pubblico esercizio?

A mio avviso si tratta di un problema di amministrazione: più complessi sono i vincoli, più difficile condurre accertamenti. Per non parlare poi del possibile effetto boomerang. Qualora simili restrizioni non fossero percepite come proporzionate, si potrebbe addirittura incappare nel rischio paradossale di un rigetto maggiore della scelta di ricorrere alla vaccinazione rispetto a quanto non sia lasciando più libertà. Sono tanti gli elementi che il decisore pubblico, Governo e Parlamento, dovrebbe valutare forse con maggiore attenzione.

Tags: Covid-19green passvaccini
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