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Gli imprenditori non ce la fanno più. L’hanno detto in 60 mila, se ne sono accorti in quattro

Venti "Forconi" che bloccano il traffico fanno notizia per settimane. Sessantamila imprenditori che manifestano ordinati in piazza no. Intervista a Dario Di Vico (Corriere)

Matteo Rigamonti
20/02/2014 - 4:00
Interni
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Pmi, 50 mila a Roma: «Basta tasse»
Se non erano sessantamila, come dicono loro, poco ci manca (50 mila secondo la questura). Moltissimi piccoli imprenditori provenienti da tutta Italia, soprattutto dal Nord, hanno sfilato pacificamente oggi a piazza del Popolo a Roma. Non erano né Black bloc né Forconi, ma tanti lavoratori che non ne possono più di tasse e burocrazia che soffocano le imprese. E c'è stato anche un messaggio al nuovo presidente del consiglio incaricato: «Matteo stai preoccupato. Non ci faremo più portare via il nostro futuro». Tra le sigle della manifestazione, hanno partecipato quelle di Rete Imprese Italia, Confesercenti, Casartigiani, Cna, Confartigianato e Confcommercio.
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 «I piccoli in piazza: non ce la facciamo più». Così titolava ieri il Corriere della Sera in prima pagina la notizia dei 60 mila imprenditori, artigiani e commercianti che martedì si sono dati appuntamento a Roma per manifestare le loro difficoltà. I servizi alle pagine due e tre. «Finalmente in piazza anche chi produce», ha scritto, invece, Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi, in un editoriale sul suo giornale. Poi, poco altro. La notizia è stata relegata nelle pagine interne. Se si pensa al putiferio sollevato dai media per quattro Forconi lo scorso dicembre… Come mai è successo? L’abbiamo chiesto a Dario Di Vico, firma del Corriere, attento osservatore e conoscitore delle dinamiche del mondo dell’imprenditoria italiana.

Di Vico, come mai tanta indifferenza da parte della stampa nei confronti della manifestazione di martedì?
Forse perché il mondo delle imprese è antropologicamente difficile da ritrarre secondo i canoni e gli schemi che piacciono ai giornali e i media italiani. Lo si considera – a mio parere a torto – un fenomeno minore all’interno della società, di cui parlare al massimo quando si ha a che fare con l’“evasore”, ma mai gli si dà lo spazio che si merita. Sarei tentato di scommettere che, nei prossimi giorni, nemmeno ne sentiremo più parlare nei talk show televisivi.

Cosa dovrebbero fare gli imprenditori per essere ascoltati? Spaccare le vetrine o bloccare il traffico come hanno fatto i Forconi?
Quello dei Forconi non è un fenomeno nemmeno lontanamente paragonabile alla manifestazione promossa dalle cinque organizzazioni aderenti a Rete Imprese Italia, che dietro di sé ha un mondo. Ma bastano 20 persone per bloccare una stazione e finire in un talk show a incarnare la “rabbia” del Paese. Mentre 50-60 mila imprenditori che scendono in piazza ordinati, qualcuno addirittura in cravatta, non fanno notizia. Da questo punto di vista, i Forconi si prestano sicuramente meglio agli stereotipi con cui ci hanno abituato a leggere la crisi. Ma chi è sceso in piazza martedì fa parte di un mondo che ha preferito adottare comportamenti lineari e che merita il rispetto di tutti. Anche se per i media, forse, questo mondo è ancora troppo difficile da scandagliare.

Non che la politica gli abbia finora dedicato maggiore attenzione. L’imprenditoria è una fetta di elettorato che non interessa più a nessuno?
In piazza ho visto Stefano Fassina, Lara Comi e Guido Crosetto, ma nessun esponente della segreteria del Pd, che è il partito a vocazione maggioritaria. Mi hanno detto che c’era un loro deputato, Paolo Petrini, non saprei… sicuramente, però, significa che ci troviamo di fronte a una rappresentanza che non è per nulla espressione del mondo dell’imprenditoria. Un mondo che, forse, nemmeno conosce.

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Lei ha twittato che «la domanda dei 60 mila è una: Vi decidete a rianimare il mercato interno?». Perché?
Perché il Paese ormai è spaccato in due: da una parte c’è chi esporta, che non ha quasi bisogno di nulla, perché riesce ad arrangiarsi da solo e c’è anche chi cresce; dall’altra, però, c’è la stragrande maggioranza delle Pmi che vive del mercato interno e non ce la fa più. Anche per loro ci vuole un’idea, non possiamo accontentarci di una stasi permanente.

Qualche idea?
Bisogna ridare fiato ai consumi, ma non è semplice se non si decide di ridurre la spesa pubblica.

Lei ha scritto anche che «il guaio è che il contesto politico ed economico non autorizza grandi speranze. Se anche la Confindustria fatica a fare lobby, figuriamoci Rete Imprese Italia». Cosa intendeva dire?
Che è quasi impossibile ormai fare lobby nell’epoca dell’economia a “budget zero” e in cui la maggior parte delle decisioni di bilancio sono prese a Bruxelles. Basti pensare a come la Confindustria non ha ottenuto la tanto attesa riduzione del cuneo fiscale contenuta nella Legge di stabilità: era stata data per certa, quasi fosse una cosa già scritta, ma poi non se n’è fatto più nulla.

Non trova che almeno il governo potrebbe cominciare a semplificare sul serio la vita alle imprese, lasciandole libere di lavorare, come peraltro chiedono da tempo?
Certamente, la lotta alla burocrazia e la semplificazione normativa andrebbero a vantaggio dei più piccoli, che non possono permettersi né uffici né strutture per sbrigare le pratiche amministrative. È l’idea della «lenzuolata per le Pmi» cui Daniele Vaccarino, presidente di Cna, ha fatto riferimento martedì in piazza. Ma non c’è più tempo da perdere, il 2014 sarà un anno decisivo per le imprese italiane.

@rigaz1

Tags: Dario Di Vicodepressione consumifisco e burocrazialegge di stabilitàrete imprese italiasburocratizzazionetagliare la spesa pubblicataglio cuneo fiscale
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