Ringhio ma non mordo. Che noia il Gattuso a colloquio con Veltroni

Di Piero Vietti
09 Giugno 2022
Accusato sui social di essere razzista, omofobo e sessista, l’allenatore si difende sul Corriere per riavere la patente di “presentabile”, ma finisce per parlare come un ospite di Fabio Fazio
Gattuso intervista Corriere
La pagina del Corriere della Sera di mercoledì 8 giugno con l'intervista di Veltroni a Gattuso

Alla fine ha ceduto, Rino Gattuso. Un anno fa – si dice – il suo approdo sulla panchina del Tottenham fu fatto saltare dalla rivolta social dei tifosi degli Spurs che lo accusavano di essere sessista, omofobo e razzista per alcune sue dichiarazioni del passato a tema donne, matrimoni gay e fischi ai giocatori di colore ovviamente decontestualizzate. Adesso che ha firmato un contratto biennale per allenare il Valencia, i tifosi spagnoli hanno tirato fuori le stesse dichiarazioni e chiesto – sempre sui social – che l’ex centrocampista del Milan e della Nazionale italiana non alleni la loro squadra del cuore.

Gattuso razzista, sessista e omofobo

La questione è ovviamente più complessa, tra le altre cose Gattuso non è ben visto da molti nel mondo del calcio per colpa dei suoi rapporti con il potente procuratore Jorge Mendes, ma trasformarlo nella macchietta del calabrese maschilista arretrato funziona bene sui media. Un anno fa, dopo che la trattativa con il Tottenham era saltata, Ringhio aveva detto a Repubblica che faceva «fatica a pensare che questo sia stato il motivo del mio mancato passaggio al Tottenham. Di sicuro io non sono né razzista, né sessista, né omofobo: sono state travisate vecchie dichiarazioni mie. Perché non chiedete ai miei ex compagni e ai giocatori che ho allenato del mio rapporto con loro? Io mi sono preso del terrone in tutti gli stadi, come razzista non sarei molto credibile».

Troppo poco, evidentemente, e non solo perché a Valencia non leggono Repubblica. È passato un anno e all’incazzoso e verace ex allenatore del Napoli tocca ancora rispondere alla bolla di Twitter. Bolla sapientemente pompata e ingigantita dai giornali, e a cui l’unica replica accettata è il format stucchevole delle scuse in cui si ripetono tutte le formule “giuste” per ripulirsi la coscienza nel confessionale social. Questa volta Rino ha scelto il Corriere della Sera, e solo lui sa quanto può essergli costato far riempire un’intera pagina di buoni sentimenti, frasi fatte e formule politicamente corrette.

Il colloquio con Veltroni per tornare presentabile

L’operazione per trasformare Gattuso in un opinionista di Che tempo che fa abbisognava di una penna più che buona, buonista, ed ecco servito a pagina 29 del Corriere “Il colloquio” tra Gennaro Gattuso e Walter Veltroni. C’è tutto, nell’operazione salvataggio, a partire dall’immancabile “io” dell’intervistatore, che prima paragona Ringhio a papa Francesco per la posizione contraria ai matrimoni omosessuali, ma poi si affretta a ricordare ai lettori che lui è un vero progressista e non la pensa come loro, e infine “salva” Rino facendogli dire che «ogni libertà, compresa quella dei comportamenti sessuali, è benvenuta, è segno di progresso».

Siamo nell’epoca in cui gli sportivi si giudicano innanzitutto dalle loro idee sui diritti, e poi dai risultati, Gattuso è stato costretto ad adeguarsi, cadendo nella trappola mediatica che impicca tutti per mezze frasi dette o twittate anni fa e costringe agli esami di riparazione alla scuola del politicamente corretto. Da queste parti andiamo pazzi per Ringhio, burbero dal cuore buono, picchiatore senza macchia e senza paura, uno che raramente si è nascosto dietro alle dichiarazioni di circostanza nei post partita. Ecco perché soffriamo.

Ringhio, ma non mordo

Veltroni prosegue la seduta di psicanalisi ricordando a Gattuso le frasi contro Barbara Berlusconi e le donne nel calcio, e gli fa dire che «in ogni campo le donne fanno come e meglio degli uomini. Lo stanno dimostrando nei governi e nelle aziende, in ogni settore. Più donne avranno responsabilità e meglio sarà».

Respinte le accuse di sessismo con una risposta degna di un editoriale della Stampa (ma chiedete a un qualunque tifoso del Milan se Gattuso su Barbara si era sbagliato), si passa al pezzo forte: il racconto dell’infanzia difficile, dei sacrifici dei genitori, del suo essere “terrone” e migrante per dire che quindi è impossibile che sia razzista. Ma questo lo sapevamo già (le accuse a Ringhio nascono da un suo commento sui fischi a un compagno di colore in cui ricordava di essere stato fischiato molto anche lui, sebbene bianco), senza che ci ricordasse che ha avuto tanti compagni neri.

«Non puoi dire quello che pensi»

Il fondatore del Partito democratico non si ferma qui, e sfodera tutto il campionario di buoni sentimenti a disposizione: le lacrime per l’inno di Mameli, i soldi dello stipendio regalati ai membri del suo staff, l’esaltazione del Noi a dispetto dell’io, la polemica con Salvini (questa fa subito guadagnare punti, si sa), l’elogio di Carletto Ancelotti, il pentimento per la testata al viceallenatore del Tottenham Jordan per cui ancora oggi si vergogna quando guarda suo figlio chiedendosi che razza di esempio gli dà, l’aneddoto nostalgico sul Mondiale del 2006.

Insomma, cari tifosi spagnoli che twittate arrabbiati, come si può odiare un uomo così? Povero Gattuso, costretto a fare un’intervista da manuale di conversazione del politicamente corretto per rispondere a quattro cretini che su Twitter gli hanno messo in bocca parole che non ha mai detto. «Ho capito che in questo mestiere, forse in questo mondo, bisogna rispondere solo sì o no. Non puoi dire quello che pensi», dice in uno dei rari momenti del colloquio in cui non sembra teleguidato. Speriamo almeno per lui che a Valencia leggano il Corriere.

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