Ieri il livello dell’emergenza nella centrale atomica di Fukushima 1 in Giappone, colpita dal terremoto e poi dallo tsunami dell’11 marzo scorso, è stato elevato da 5 a 7 e classificato, proprio come Chernobyl, come “incidente catastrofico”. “Il nuovo status di Fukushima è «da ritenersi provvisorio», precisa l’Agenzia giapponese che ora attende il parere di organismi come l’Aiea” (Corriere, p. 14).
“Equiparare Fukushima a Chernobyl viene spontaneo ma un minuto dopo l’innalzamento al livello 7 tutti si sono preoccupati di dire il contrario e cioè che nonostante siano sullo stesso gradino, le due crisi atomiche sono (almeno per il momento) due cose non comparibili. Cosa non secondaria: la radioattività emessa finora in Giappone è il 10% di quella che si sparse con la catastrofe di Chernobyl. Finora, però. Perché uno dei tanti problemi, a Fukushima, è il prolungarsi dell’emergenza nel tempo: la stabilizzazione dei suoi sei reattori sembra ancora lontana e sul lungo periodo la quantità totale della radioattività rilasciata nell’ambiente potrebbe anche superare quella che si diffuse dall’Ucraina nel 1986″ (Corriere, p. 14).
Ci sono ulteriori differenze: il reattore esploso in Ucraina non aveva vasche di contenimento, come quelli Giapponesi, ed è per questo che l’esplosione “proiettò la radioattività a una grandissima distanza nell’atmosfera. A Fukushima, al contrario, ogni reattore ha una vasca di contenimento che, per quanto lesionata doopo lo tsunami, è una barriera fra il nocciolo e il mondo esterno” (Corriere, p. 14).