Cancel culture in salsa macronista in Francia: l’Eliseo dice no a Molière
Parigi. Così come l’italiano è “la lingua di Dante” e l’inglese è “la lingua di Shakespeare”, il francese viene spesso definito la “lingua di Molière”, dal nome del più importante commediografo della storia di Francia assieme a Corneille e Racine. «Molière riconcilia la lingua dei saltimbanchi con quella degli aristocratici e dei borghesi», spiega Martial Poirson, professore di storia e di letteratura all’Università di Paris 8, che il prossimo 21 gennaio pubblicherà “Molière, la fabrique d’une gloire nationale” (Seuil), in occasione dei quattrocento anni dalla nascita di Jean-Baptiste Poquelin, il suo vero nome (per la precisione, è nato il 15 gennaio).
C’è chi si vergogna di Molière
Eppure, in Francia, c’è chi oggi quasi si vergogna di questo genio del teatro d’oltralpe (nel 1774, l’Académie française gli dedicò una statua con l’iscrizione «Rien ne manque à sa gloire, il manquait à la notre», nulla manca alla sua gloria, egli mancava alla nostra), tanto da osteggiare l’entrata delle sue spoglie nel Panthéon di Parigi, il tempio laico dove riposano i grandi uomini e le grandi donne a cui la patria francese è riconoscente (l’ultima a fare il suo ingresso al Panthéon è stata la ballerina e attivista per i diritti umani Joséphine Baker).
Di chi stiamo parlando? Dell’Eliseo, ossia del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e dei suoi fedelissimi. Sentite un po’ cosa dice Bruno Roger-Petit, consigliere per le questioni memoriali del capo dello Stato francese: «Il Panthéon è un tempio laico, figlio della patria repubblicana, essa stessa generata dai Lumi. È per questo motivo che tutte le figure onorate al suo interno sono posteriori all’Illuminismo e alla Rivoluzione. È un’eredità che bisogna pesare prima di rompere con questa storia repubblicana e patriottica».
No a Molière: nel Panthéon non c’è spazio
Stéphane Bern, storico e consigliere di Macron per la salvaguardia del patrimonio, ha aggiunto: «Dal punto di vista simbolico, è graziosa l’idea di far entrare il padre della lingua francese al Panthéon (…). Ma al suo interno entrano solo quelli che hanno difeso la République. I grandi uomini e le grandi donne dopo la Rivoluzione francese». Come se la storia francese iniziasse dalla Rivoluzione in poi e prima non ci fosse nulla di realmente meritevole da onorare: una visione che più giacobina non si può. «È un insulto a Molière», ha attaccato il grande attore parigino Françis Huster, che per primo, nel 2019, lanciò l’idea di panthéonizzare il commediografo.
«Molière ha difeso i valori che hanno fatto sì che la Francia sia rispettata in tutto il mondo (…). Se il Panthéon è fatto soltanto per rintracciare la gloria della Francia a partire dalla Rivoluzione, allora tanto vale non mettere più in scena le pièces di Molière, Racine e Beaumarchais», ha aggiunto Huster. La cancel culture in versione macronista, perché di questo si tratta, ha suscitato l’indignazione della candidata alle presidenziali dei Républicains (destra gollista), Valérie Pécresse, che sul Point ha pubblicato un appello in favore dell’ingresso al Panthéon di Molière.
Ma anche quella di Anne Hidalgo, sindaca socialista di Parigi. Quest’ultima, infatti, milita dallo scorso anno a favore dell’iniziativa lanciata da Francis Huster, ostile all’idea che l’Ancien Régime non sia da prendere in considerazione. Secondo Huster, «Molière ha rivoluzionato il modo di recitare. La sua opera non è classica, non è ancorata in un’epoca. Continuerà a essere reinventato, alla stregua della lingua francese. La potenza di Molière, la sua forza, sono anche le donne. A prescindere dal livello sociale, nelle sue opere, sono loro ad avere la parola. Era avanti di quattro secoli».
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