
La preghiera del mattino (2011-2017)
«Figlio mio, ti prego, non lasciarci nelle mani dell’Isis. Uccidici tu»
Oggi su Libero è stata pubblicata la lettera che un quindicenne iracheno ha inviato a suo padre per raccontargli cosa è accaduto alla loro famiglia. La lettera, racconta il quotidiano, è stata letta durante un incontro tenutosi nel “Centro per la pace” di Eindhoven da Murat Memis, assessore comunale e presidente dell’associazione curda della città. Il ragazzo, dopo l’estremo gesto, si è tolto la vita. Ecco il testo.
«Caro papà, cari miei compagni, caro fratello Azad e cara la mia bella sorella Helin, quando voi decideste di lottare contro l’Isis per difendere il vostro stesso paese, io volevo venire con voi. Per essere vicino a voi, spalla a spalla, nella lotta contro gli assassini. Caro papà, non dimenticherò mai le tue parole, tu mi dicesti “figlio mio, lo so che vorresti venire con noi a combattere, ma ci vuole pure qualcuno che resti a casa. Rimani qui e difendi tua madre e la tua sorellina”.
Ti promisi allora, papà, che avrei fatto veramente di tutto per difendere la mia famiglia.
Caro papà, quando abbiamo sentito il rumore dei bombardamenti e le grida della gente, ho subito capito che gli assassini erano vicino alla nostra casa.
Caro, mio caro, amato papà, in quel momento mi sono sentito impotente; allora la mia sorellina mi ha sussurrato all’orecchio: “ma… fratello, loro sparano ai bambini con piccoli proiettili, vero?”.
Non sapevo più cosa rispondere. La mamma mi guardava, io la guardavo… eravamo tutti e due stretti in un silenzio di morte.
Caro papà, poi ho capito che gli assassini erano arrivati nella nostra strada, la sorellina dormiva ancora. La mamma mi è venuta vicino vicino, mi ha guardato negli occhi, profondamente, mi ha dato un bacio e mi ha detto piano: “Figlio mio, mio eroe, mio bambino…”. Poi guardandomi di nuovo negli occhi queste parole le sono uscite d’impeto dalla bocca: “Figlio mio, ti prego, non lasciarci nelle mani di questi assassini. Tu sai cosa faranno di me e di tua sorella… Non dare a loro questa possibilità, uccidici tu.
Papà, scusami, scusami tanto. Non sono riuscito a mantenere la promessa. Non ho potuto difendere la mia famiglia. Scusami, papà. Mio amato papà, cari compagni, mio fratello Azad e cara bella sorella Helin, non abbiate paura, perché moriamo con onore».
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6 commenti
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Edoardo, visto che non uso Facebook ti rispondo qui, dal mio punto di vista eviterei di esaltare le “nostre” bombe, perché non sono nostre, ma sono di Obama, il quale le usa per un cinico calcolo politico e non certo per salvare curdi, yazidi o cristiani dalle mani dei tagliagole dello Stato Islamico.
Noi non abbiamo bombe che parlano a nome nostro o delle tante vittime della ferocia dello Stato Islamico.
Non dimentichiamoci le responsabilità in primo luogo americane, ma anche europee per la situazione che si è venuta a creare in Siria ed in Irak. La miopia del progetto obamiano di combattere l’Iran colpendolo indirettamente in Siria ha una grande responsabilità per lo stato delle cose in essere in Siria. Non posso poi dimenticare che queste “nostre” bombe sono parenti strette di quelle bombe che appena un paio di anni fa hanno contribuito ad abbattere Gheddafy con tutto quello che ciò ha comportato e comporta tuttora..
Quindi per favore non parlare di “nostre” bombe.
P.S. a scanso di equivoci ti dico subito che non sono pacifista, tutt’altro, ma certi entusiasmi infantili mi fanno cascare le braccia.
Noi occidentali siamo responsabili della situazione che si è venuta a creare adesso, non tanto e solo per la impropriamente detta “primavera araba” a cui non ho mai creduto un solo minuto.
Lo siamo diventati il giorno in cui gli USA, e dunque la NATO, cioè anche noi Italiani, hanno deciso di riprendere la guerra contro l’Iraq che prudenzialmente si era fermata al confine ripristinato tra Iraq e Kuwait, al tempo della prima guerra del Golfo.
Alla fine di quella guerra il Kuwait aveva recuperato i suoi confini, i pozzi petroliferi erano salvi, e Saddam Hussein era ancora lì, ma dentro il suo spazio.
E’ stata disastrosa la decisione di attuare il blocco nei confronti dell’Iraq, per colpire Saddam hanno colpito tutta la popolazione irakena.
E doppiamente disastrosa l’idea di riprendere la guerra invadendo l’Iraq, e soprattutto, illudendosi di aver risolto tutto detronizzando Saddam.
Una guerra senza capo né coda, moralmente ingiusta, con episodi oscuri tipo i fattacci di Abu Ghraib e l’eccessivo grilletto facile di alcuni soldati contro civili qualunque.
Una guerra finita nel peggiore dei modi, in cui gli Americani e tutti gli altri noi compresi con loro, hanno dovuto lasciare una situazione di stallo lasciandosi dietro un marasma politico e sociale, in un Iraq in mano ad un presidente fantoccio (Al Maliki) che faceva finta di governare una nazione distrutta ed in preda all’anarchia.
Al Maliki, a quanto si legge, si è comportato nel modo più stupido, favorendo i suoi correligionari sciiti a scapito di tutti gli altri.
Dunque noi abbiamo dato un contributo determinante a determinare questa situazione
Ed è giusto che adesso si intervenga.
Costa denaro, mezzi e uomini?
Anche pagare un debito costa, e nonostante ciò dobbiamo far fronte ai pagamenti, per non andare in pignoramento.
Io penso che noi siamo in debito nei confronti degli Irakeni, e adesso non possiamo abbandonarli in una sorta di Aushwitz del ventunesimo secolo.
In quanto alla faccenda della “primavera” siriana….tralascio per pietà.
E concludo scrivendo che prima si era preso l’attacco di Saddam con armi chimiche contro i Curdi come pretesto per invadere l’Iraq, e ora che i Curdi sono realmente vittima di un tentativo di genocidio, assieme a cristiani, yazidi e turcomanni, stiamo a guardare trincerandoci nella nostra vigliaccheria?
Tanto più che siamo noi ad essere la causa della situazione che ha generato l’attuale stato di cose.
Non è entusiasmo infantile, caro Mappo, è solo riconoscere che dobbiamo farlo questo intervento, ne abbiamo il dovere morale.
E a maggior ragione per il fatto che pare proprio che i Curdi sia la Provvidenza che ce li ha dati.
Con l’ISIS bisogna chiudere la partita a prescindere da considerazioni di approvvigionamento energetico e di mantenimento di equilibri supposti o reputati tali.
Altrimenti si rischia che quella guerra che adesso infuria laggiù, un domani sarà sui nostri Appennini.
Poi cosa pensa Obama, non può fregarmene di meno.
L’importante è che l’ISIS abbia filo da torcere.
Caro Menelik, forse non sono stato chiaro: anch’io sono favorevolissimo ad un intervento, per salvare cristiani, curdi, yazidi e tutti coloro che sono alla mercé di ISIS, non solo, penso che si debba proprio andare a fondo e cancellare comunque ISIS dalla faccia della terra. Tuttavia non mi faccio illusioni e il tono dell’intervento di Edoardo mi sembrava peccare di ingenuità, lo ripeto le bombe (poche, dannatamente poche) che gli USA sganciano su ISIS non sono bombe umanitarie. Non sono le “nostre” bombe, non vengono giù dal cielo per vendicare quel ragazzo curdo e tutte le altre povere vittime di quei cani di ISIS. A Kobane non stanno arrivando “i nostri” con la tromba che suona la carica come accade in tanti western.Troppi tentennamenti, troppi disegni machiavellici annebbiano la testa di Obama, per non parlare dei cupi propositi di Erdogan. Se le sortite sui cieli di Kobane nelle ultime settimane sono minimamente cresciute di numero questo lo dobbiamo solo alla pressione dell’opinione pubblica mondiale, non certo alla bontà d’animo di Obama, del resto Kerry poche settimane fa aveva dichiarato pubblicamente che il destino di Kobane non era prioritario per gli USA.
Lascia pensare che l’aviazione siriana, un’aviazione con le pezze al culo, sia in grado di effettuare fino a 200 sortite al giorno, quando l’intera coalizione quando va bene ne effettua complessivamente una decina o poco più fra Siria e Iraq.
Nei confronti di ISIS gli USA stanno facendo il minimo sindacale e niente di più. Quindi ben vengano le bombe, ma non facciamoci illusioni. Cambierò idea sulla situazione quando vedrò che Obama incomincerà a fare sul serio, quando i cieli di Kobane o di Raqqa saranno sorvolati da sistemi d’arma più adatti e non di facciata quali quelli odierni. Per intenderci quando Obama sguinzaglierà A-10,
AC-130, AH-64 e AH-1, quando vedrò operativo a Baghdad il comando della Prima divisione di fanteria USA, quando vedrò come si dice i “boots on the ground” allora forse sarò un pochino più ottimista sul futuro di quella terra, ma anche allora non potrò dimenticare tutte le responsabilità (quelle che anche tu hai ricordato) che gli USA e l’occidente (più la Turchia e le monarchie del Golfo) hanno su quello che sta succedendo.
Caro Menelik, ho provato a rispondertoi, ma la moderazione deve aver ritenuto che ci fosse qualcosa che non andava bene nella mia risposta e me l’ha censurata. Visto che i commenti delle varie Filomene, Shiva ecc. ecc. trovano sempre accoglienza mentre i miei, che potrebbero essere pubblicati su un periodico per suore di clausura vengono senza nessun criterio censurati dalla moderazione, mi sto sinceramente chiedendo perché intervenire e a questo punto persino perché rinnovare l’abbonamento a Tempi alla prossima scadenza.
Condivido interamente l’analisi politica di Menelik – a parte e parzialmente il giudizio sulla cosiddetta “primavera araba”.
La conclusione non mi piace per niente, e tuttavia condivido anch’essa, specificando che non si tratta di ristabilire lo status quo ante, ma va pensato – insieme ai protagonisti regionali! – un totalmente nuovo equilibrio che comprenda, fra l’altro, uno stato curdo; e qui il maggior problema è la Turchia. Non va neanche tralasciato che Israele resta in sottofondo, ma è uno dei più grossi problemi dell’area.
Premesso che, con coerenza, le condizioni che vengono di seguito poste sono così esigenti al punto che se davvero fossero rispettate nessuna guerra potrebbe essere combattuta: essendo lecita solo la difesa, nessuno sarebbe infatti mai autorizzato a sferrare il primo attacco; rammento quanto segue:
«La guerra non è purtroppo estirpata dall’umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa». Gaudium et spes (1965) n. 79.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992 – Capitolo 2° – III La Difesa della Pace) dal n° 2308 al n° 2317 con evidenza del n. 2309, esplicita le strette condizioni che per gravità giustificano una legittima difesa con la forza militare. «Occorre contemporaneamente: che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune».
San Giovanni Paolo II (Evangelium Vitae al n° 55) non escluse l’eventualità della guerra come legittima difesa purchè realmente quale extrema ratio e comunque dopo il fallimento di ogni possibile tentativo di soluzione con tutti i mezzi pacifici disponibili: «uccidere l’essere umano […] è peccato di particolare gravità. […] Da sempre, tuttavia, di fronte ai molteplici e spesso drammatici casi che la vita individuale e sociale presenta, la riflessione dei credenti ha cercato di raggiungere un’intelligenza più completa e profonda di quanto il comandamento di Dio proibisce e prescrive. Vi sono, infatti, situazioni in cui i valori proposti dalla legge di Dio appaiono sotto forma di un vero paradosso. È il caso, ad esempio, della legittima difesa», soprattutto a livello collettivo; infatti, «la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile. Accade purtroppo che la necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione».
Con maggiore ufficialità,nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2000, n. 11, Giovanni Paolo II ribadì: «Evidentemente, quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli strumenti di difesa non violenta, è legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l’aggressore. Queste tuttavia devono essere circoscritte nel tempo e precise nei loro obiettivi, condotte nel pieno rispetto del diritto internazionale, garantite da un’autorità riconosciuta a livello soprannazionale e, comunque, mai lasciate alla mera logica delle armi».
Invito inoltre a leggere la lettera inviata da Papa Francesco (agosto 2014) al Segretario Generale dell’ONU: “[…]Nel rinnovare il mio appello urgente alla comunità internazionale ad intervenire per porre fine alla tragedia umanitaria in corso, incoraggio tutti gli organi competenti delle Nazioni Unite, in particolare quelli responsabili per la sicurezza, la pace, il diritto umanitario e l’assistenza ai rifugiati, a continuare i loro sforzi in conformità con il Preambolo e gli Articoli pertinenti della Carta delle Nazioni Unite.” […]” Le tragiche esperienze del ventesimo secolo, e la più elementare comprensione della dignità umana, costringe la comunità internazionale, in particolare attraverso le norme ed i meccanismi del diritto internazionale, a fare tutto ciò che le è possibile per fermare e prevenire ulteriori violenze sistematiche contro le minoranze etniche e religiose.”
Non potendo inviare le guardie svizzere, credo che in proposito non sia necessario citare quali siano gli “Articoli pertinenti della Carta delle Nazioni Unite” e “le norme ed i meccanismi del diritto internazionale”.