Fa’ che si parli molto di giovani, ma senza insegnare loro nulla
Articolo tratto dal numero di settembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Mio caro Malacoda, oggi, 31 agosto, mi sono svegliato e… ho letto i giornali, la preghiera mattutina dell’uomo moderno, secondo la fortunata notazione di Friedrich Hegel. Il Corriere della Sera titolava “In classe senza mascherina”. Sulla Repubblica, di spalla, sempre in prima pagina, invece si leggeva: “Mascherine in classe alle superiori”.
Va bene la confusione, ma ad esagerare si rischia la credibilità. Qualora si incontrassero un genitore che legge Repubblica e uno che legge il Corriere e iniziassero a discutere di scuola e di riapertura, l’uno sosterrà che in classe si è liberi dal cache bouche e l’altro invece che lezioni, interrogazioni e verifiche andranno fatte con il laico niqab sanitario: “L’hanno detto gli esperti del comitato tecnico scientifico” sarà la motivazione di entrambi.
Prima osservazione. In Italia della scuola frega niente quasi a nessuno se non, passim, a coloro che ne sono direttamente coinvolti. Ora non si parla d’altro sui giornali, ma nei sei mesi passati, durante i quali sono rimaste chiuse, chi parlava di riapertura delle scuole veniva guardato con la sprezzatura riservata all’ultimo degli idealisti.
Seconda osservazione. Si parla molto anche di giovani, “il futuro”. Ma, tranne che in pochi casi (tra i pochi segnalo Mario Draghi e Ferruccio De Bortoli più qualche preside, qualche prete, qualche scrittore, qualche professore ma sempre poca roba rispetto ai 250 mila che non vogliono rientrare in classe), si sente puzza di ipocrisia. O, a essere indulgenti, di schizofrenia. Perché quei giovani che blandiamo con la retorica del “gli abbiamo rubato il futuro”, sono gli stessi che accusiamo di incoscienza e di irresponsabilità: “Sono andati in discoteca!”. I nuovi untori. Nei mesi del lockdown gli untori additati alla pubblica riprovazione erano i runner, corridori solitari inseguiti da droni dei tg e pattuglie delle forze dell’ordine.
Ma chi le ha aperte le discoteche? (Anche se a leggere i giornali pare che fosse aperto solo il Billionaire.) “Sì, ma ballavano!”. L’arguzia dell’osservazione presuppone che uno si stupisca che, aperti i supermercati, la gente oltre ad entrarci ci faccia pure la spesa.
Ma questi giovani “scriteriati”, usciti dalle discoteche rientreranno a scuola, e torneranno, nella pietistica e moralista commiserazione degli adulti, quelli a cui s’è rubato il futuro, e contemporaneamente quelli che alcuni genitori sono pronti a giustificare in tutto sino alla denuncia al Tar se non vengono promossi con il voto da loro, i genitori, considerato più congruo.
Ma chi è il primo autore del furto? Certo, lo Stato, il sistema scolastico che non forma adeguatamente, l’università che prepara i cervelli e poi li fa fuggire perché non dà loro opportunità, il mondo produttivo che pensa solo al profitto e non al capitale umano… Ma chi quel giovane lo ha messo al mondo, non ha nulla da chiedersi?
Ricordo un dialogo ascoltato di soppiatto un giorno in cui mi ero intrufolato in una direzione scolastica: papà e mamma separati, il bimbo un weekend da uno (con relativa nuova compagna) e uno dall’altra (con altrettanto relativo nuovo compagno) e durante la settimana affidato alla nonna. Qual era il problema? Che era arrivata una maestra nuova, la titolare era rimasta incinta, e questo, a detta del genitore uno e del genitore due, su suggerimento della psicologa, turbava il bambino. La direttrice li ascoltava in silenzio. Ma di che cosa parliamo quando diciamo “investire in educazione”? Di banchi a rotelle, di valori, di mense vegetariane? O di qualcosa per cui banchi, valori, distanziamento fisico, mascherina, discoteche, prospettive di lavoro, responsabilità… qualcosa per cui tutto questo abbia un senso?
Questi ragazzi arrivano alla maggiore età avendo respirato e assorbito quasi solo l’utilitarismo dei loro genitori. Ma di che cosa li vogliamo accusare? Diamo loro il nulla o qualche surrogato di conoscenza e di libertà e poi pretendiamo pure che seguano coscienziosamente le regole? Regole che, peraltro, cambiamo a nostro piacimento e che non riusciamo neanche a stabilire con un minimo di stabilità e di equilibrio (mascherina sì / mascherina no)?
Ricordo un grande educatore, il quale, di fronte alle lamentele di un gruppo di genitori (molto soi-disant cattolici) sulle mancanze, incoerenze e ingratitudini dei loro figli rispose: «Bisogna solo ringraziare Dio che ci sono». Ecco, mi sono fatto prendere la mano. Non sono argomenti da diavolo, ma ogni tanto mi prende nostalgia dell’angelo che ero.
Tuo affezionatissimo zio
Berlicche
Foto Ansa
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