L’Expo abbattuta «a colpi di magistratura». Ma quanta carne resta attaccata al mantra della “legalità” e ai forconi di Grillo?
«Duecento uomini della Finanza nel blitz coordinato dalla procura di Milano. Ci sono i due personaggi eccellenti di Mani pulite. In cella l’ex parlamentare pdl Grillo. “Cene da Berlusconi e contatti con Previti”». (Repubblica, 8 maggio)
«Molte cose sono aria fritta, in tutte le cose che riguardano appalti ci sono delle telefonate, è la vita». (Silvio Berlusconi, intervista a Tgcom24, 12 maggio)
Ma perché gli inquirenti fanno i nomi di Bersani, Berlusconi, Letta, per poi precisare che «non sono indagati»? Perché invitano a non confondere i legami coi politici, «quelli illeciti con le relazioni pubbliche»? Sia quel che sia, c’è sempre un Grillo appostato. Ed è subito gruzzolo elettoralistico: «Perché si è mossa la magistratura? Perché quindici giorni fa siamo entrati nei cantieri dell’Expo. Per la prima volta la magistratura si sente spalleggiata da un movimento di dieci milioni di persone. Andiamo avanti a colpi di magistratura».
«Io che ho passato tutta la mia vita sotto il comunismo affermo che una società dove non esiste una bilancia giuridica imparziale è una cosa orribile. Ma nemmeno una società che dispone in tutto e per tutto solo della bilancia giuridica può dirsi veramente degna dell’uomo. Quando tutta la vita è compenetrata dai rapporti giuridici, si determina un’atmosfera di mediocrità». (Aleksandr Solzenicyn, Un mondo in frantumi, discorso all’Università di Harvard, 1978)
Nell’annunciare una “grande retata” per reati contro la pubblica amministrazione, Edmondo Bruti Liberati, ex segretario dell’Anm, membro di Magistratura democratica e capo della procura di Milano, giovedì 8 maggio, in conferenza stampa, precisa che il sostituto a capo del dipartimento dei reati contro la pubblica amministrazione «non ha condiviso l’impostazione dell’indagine e non ha vistato gli atti». In effetti sulle prime non si capisce perché il capo dell’ufficio inquirente per quel tipo di crimini, Alfredo Robledo, manchi all’appuntamento con i riflettori. La spiegazione sta nei giorni appena precedenti l’annuncio della grande retata. È la notizia della guerra in corso all’interno della procura di Milano e che l’esplosione del “caso Expo” ha almeno il vantaggio di trasferire in un (momentaneo?) cono d’ombra. Robledo ha trascinato il suo capo in giudizio davanti Consiglio superiore della magistratura accusandolo di aver violato le regole giudiziarie: in parte sottraendogli inchieste (caso Rubygate), in parte dimenticandole in cassaforte (caso Sea-Gamberale), in parte ritardandole (caso Formigoni) e in parte avocandole a sé e al dipartimento antimafia guidato da Ilda Boccassini (caso Expo). In poche parole, un procuratore accusa il proprio capo di ricorrere alla discrezionalità nell’attuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale. La faccenda si chiarirà (ma solo un pochino) col trascorrere dei giorni.
«Il contenuto culturale del dissenso è anzitutto l’opposizione radicale alla progressiva riduzione della legittimità (del senso intersoggettivo prodotto nella comunicazione sociale) alla legalità (all’apparato impersonale e alla sua intrinseca razionalità)». (Václav Belohradsky, Il mondo della vita: un problema politico. L’eredità europea nel dissenso e in Charta ’77, 1981)
Sul lato Repubblica (8 maggio) scrivono: «“Ogni volta che bisogna prendere un’iniziativa di indagine bisogna avvertirlo prima” (il procuratore) “e lui deve dare il consenso di tutto, anche di stralci e così via”, ha riferito Robledo al Csm. “Io gli ho ricordato che lo stralcio non è un’iniziativa di indagine, è un dato interno… In questo modo si frena assolutamente qualunque possibilità di iniziativa. E quando gli ho ricordato che a Natale gli avevo detto che questa parte del procedimento andava riunita, perché ci si trovava con una procura che sta indagando con due dipartimenti sulle stesse persone, sugli stessi fatti e sarebbe stata ingestibile una situazione del genere, ha dichiarato la riunione terminata”. Robledo ha descritto una “situazione di sospensione: non sappiamo se possiamo fare un pedinamento, se possiamo fare intercettazioni”; e ribadendo la sua convinzione che in questa inchiesta “non c’è nulla” di competenza della Dda, ha parlato di un “depauperamento totale” del suo dipartimento».
Sul lato Corriere della Sera (12 maggio) si osserva: «La differenza era che Robledo chiedeva di eliminare due delle quattro imputazioni, che con il materiale disponibile gli parevano meno solide delle altre». E si aggiunge che «nuove intercettazioni… non vengono più sottoposte a Robledo (che al Csm ora se ne lamenta) perché gli altri pm ritengono di aver interpretato il suo precedente rifiuto come presa di distanza dal fascicolo». Il Corriere propone infine un retroscena. «Al gip, tra le integrazioni, i pm mandano curiosamente pure una pagina del sito Dagospia sull’articolo del Corriere che nell’esposto di Robledo aveva colto l’inedito accenno a una nuova segreta indagine su Expo: diffusione di notizia che per il pm D’Alessio poteva allarmare gli arrestandi e quindi acuiva le esigenze cautelari».
Sul lato Giornale (10 maggio), infine, si ipotizza uno scontro tra sinistra e destra togata. Il giorno dopo la conferenza stampa, Bruti Liberati partecipa a un convegno all’Università statale di Milano e afferma che il «populismo giudiziario è un virus endemico nei corridoi delle procure della Repubblica, ma da noi a Milano ha potenti antidoti». Secondo il Giornale, «la frase di Bruti parte da una citazione di un libro di Luigi Ferrajoli, padre fondatore di Magistratura democratica, che si riferiva soprattutto a Antonio Ingroia, capofila di quei pm che “cercano di costruire un consenso popolare non solo alle proprie indagini ma anche per la propria persona”. Ma questo, per Bruti, è anche il caso di Alfredo Robledo. E quei “potenti antidoti” di cui parla Bruti sembrano voler dire che il procuratore è convinto di uscire vincente dallo scontro, in cui si sente attaccato non in nome della trasparenza ma del “populismo” e dell’ambizione personale».
«Il più grande teorico della conquista dei mezzi di comunicazione per trasformare il senso comune, è Gramsci. Attuare il dominio mediante la rifondazione del senso comune». (V. Belohradsky, ibidem)
Ma di cosa stiamo parlando? Del caso (concomitante alla grande retata di Expo) di una procura, quella di Reggio Calabria, che fa arrestare in piena campagna elettorale un ex papavero del centrodestra con l’accusa di aver egli coperto la latitanza di un altro suo collega parlamentare condannato per associazione esterna mafiosa (reato associativo che molte giurisdizioni straniere stigmatizzano come aleatorio e dunque non riconoscono), mentre la stessa procura sembra non abbia ancora ritenuto interessante indagare sul perché e come si sono volatilizzati miliardi di euro dalle casse pubbliche calabresi? Procura che, mentre fa arrestare con gran spolvero di riflettori Claudio Scajola (uno che non era certo in procinto di darsi alla latitanza), non ha ancora ritenuto opportuno capire perché nemmeno una Corte dei conti ha mai saputo niente del fatto che «in (Regione) Calabria è stato necessario incaricare una società di revisione esterna per cercare di ricostruire la contabilità, tanto questa era inattendibile» e «alla fine, per ottenere un minimo di chiarezza, si sono dovuti chiudere i tavoli di monitoraggio della spesa sanitaria sulla base incredibile di “dichiarazioni verbali certificate” dei direttori delle Asl» (relazione del governo alle Camere, 20 giugno 2010)?
No, non stiamo parlando di luoghi dove il cammello della corruzione di sistema può passare tranquillamente dalla cruna dell’ago. E neanche di Genova, dove Grillo non si è mai accorto di avere abitato e di essere sceso in piazza per difendere un sistema di profondo rosso – vedi municipalizzate – purché statale. Sui giornali romani chiamano i Drg della sanità lombarda (e americana) “fondi neri” e confondono le vacanze di Formigoni con i primati di una pubblica amministrazione che costa meno che nel resto d’Italia e cura meglio che in quasi tutto il resto d’Europa. Difficile discutere se la realtà non esiste e la “verità” si impone facendo le scarpe ai dati di fatto.
«Socialismo reale: la comunicazione sociale non deve mai uscire dallo slogan, dal manuale o dall’apologia» (V. Belohradsky, ibidem)
In effetti sono sintomatici la gratuità e l’accanimento con cui nel cuore del ciclone Expo hanno tirato in ballo Comunione e Liberazione. Non solo non avendo su Cl agganci nelle carte giudiziarie, ma avendo a disposizione (nelle intercettazioni divulgate) prove contrarie al coinvolgimento di ciellini nelle presunte vicende corruttive. Gianstefano Frigerio, quello che con Primo Greganti sarebbe il boss della cupoletta di corruttori e turbatori d’aste, si vanta al telefono di avere rapporti con vertici vaticani, parla con l’ex udc Sergio Cattozzo. E dice che «Formigoni è morto». Parla con Antonio Rognoni. E ribadisce che i ciellini «nessuno li protegge in Vaticano», «quindi questi qui andranno avanti a far casino sul mondo ciellino e la cosa è un peccato perché tutto sommato in Lombardia…», conclude l’interlocutore all’altro capo telefonico, «hanno fatto del bene».
Risultato? Repubblica e Corriere della Sera spargono qua e là i riferimenti al «sistema Formigoni», «Compagnia delle Opere», al «manuale Cencelli: un po’ Cl, un po’ le Coop…». È una sparatoria a casaccio. Gad Lerner può buttar lì un «e i faccendieri finiti nella grande retata? Berlusconiani, legati alla solita filiera ciellina della Compagnia delle Opere…». Qualcuno al desk ci mette il punto interrogativo. Ma provate a immaginare il nome di Gad sbattuto in un contesto corruttivo e provate anche a metterci il punto interrogativo e vedete se non finite in tribunale.
L’apoteosi di questo sistema di “comunicazione sociale” è il titolo di prima pagina del Fatto quotidiano (11 maggio): “Lupi & Cl, le mani sull’Expo”. Fa niente che nello stesso articolo leggi le stesse intercettazioni che danno per “morto” Formigoni e sotto persecuzione giudiziaria Cl (mentre «nessuno li protegge »): «Cl oggi è ancora fondamentale». Del resto perfino il titolo del genovese Secolo XIX nell’edizione del 9 maggio randella così: “Il patto tra Coop e Comunione e Liberazione negli arresti dell’Expo”. In compenso si è scoperto solo dal comunicato del Pd che Primo Greganti non è un ex Pci-Pds, aveva proprio la tessera del Pd.
Ma insomma, al di là della suggestione “nuova Tangentopoli”, alla fine non c’è tanta carne che resti attaccata alla demagogia che Grillo è venuto a strillare come un matto a Milano per rastrellare voti a destra e a manca. Però, chiaro, è già un bel risultato che in questi giorni di vigilia elettorale sia tornato a pulsare questo rinnovato clima da “tutti ladri”, “li vanno a prendere una a uno”, e “quel piacevole tintinnar di manette” che piace tanto alle persone a cui piace sfasciare l’Italia. E perciò vorrebbero veder fallire anche l’Expo.
«L’escatologia dell’impersonalità è anzitutto lotta per la conquista di un terreno neutrale su cui sia possibile edificare lo stato del potere permanentemente innocente e puramente tecnico» (V. Belohradsky, ibidem)
Ariecco dunque la “tecnica del riflettore giudiziario”. Cioè il ritaglio e copia-incolla di verbali e intercettazioni da cui ciascuno mette in rilievo ciò che interessa alla propria parte. Occorrerebbe attendere i processi per verificare se, come si è visto in tanti casi che poi sono finiti in nulla (ma intanto hanno fatto i partiti di Di Pietro e di Ingroia, hanno fatto sindaco di Napoli De Magistris, hanno fatto deputati, senatori, membri di Cda e di Authority una sfilza di magistrati), di tutta un’ampia realtà sia stata illuminata solo una parte, mentre tutto il resto è stato lasciato nel buio. «In questo modo – segnalava già negli anni Trenta il grande filologo Auerbach – viene detta apparentemente la verità, poiché quanto è detto è incontestabile, e tuttavia tutto è falsato, essendo che la verità è composta di tutta la verità e del giusto rapporto fra le singole parti. Specialmente nelle epoche agitate, il pubblico ricasca sempre in questo tranello».
Il tranello continua. Niente processi nelle aule giudiziarie, tutti i processi sui giornali. Chi ci guadagna? Ai tempi di Auerbach, sulle “mani pulite” e l’antipolitica contro la “corrotta” Repubblica di Weimar ci guadagnarono i nazisti. E oggi? In Italia? Chi ci guadagna? Intanto si capisce che la “bolla” di una nuova Tangentopoli non è servita per caso alla vigilia delle elezioni europee. E non per caso è servita proprio in concomitanza con la guerra esplosa tra gli stessi titolari delle inchieste milanesi (sulla quale dovrà pronunciarsi il Csm, non a caso anch’esso in fase elettorale). Naturalmente in primis ci guadagna Grillo e ci perde l’asse Pd-centrodestra. Ci perde Renzi, ferito dalle presunte malefatte del “compagno G”. E ci perdono Ncd e Forza Italia (caso Scajola).
Ma dopo il rinfocolamento degli spiriti della foresta, non c’è il rischio che cose più serie di una banda del buco – cose tipo l’ondata di clandestini che si abbatte sulle nostre coste, il debito pubblico in impennata, le promesse di ripresa economica in fumo, i capitali esteri in Italia solo per fare shopping di aziende in svendita – si incancreniscano? È così difficile prevedere che, con questo nostro affidare l’immagine del paese alle procure (e a un ex pm di Napoli la funzione di superprefetto all’Expo di Milano), saremo ancora più deboli in Europa? L’Europa germanizzata se la starà ridendo per come siamo capaci di farci male e trasformare un circolo Pickwick di corruttori presunti in un kolossal stile Il Padrino.
Grande è la confusione sotto il cielo. Perciò la situazione è eccellente. Su Milano sventola la bandiera nera di capitale della corruzione. Su Roma sventola la bandiera arcobaleno, issata sul Campidoglio in quanto «simbolo della lotta all’omofobia e delle battaglie per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali». Non c’è che dire, un bel ribaltamento di valori e realtà.
Dopo di che, per farsi definitivamente travolgere dalla demagogia grillina, faranno a gara per varare nuove inutili leggi anticorruzione. Mentre nessuno si chiede perché i veri poteri continuano ad ammazzare nella culla chiunque tenti il vero “cambiamento”, unica bonifica alla palude dell’illegalità e della corruzione in Italia: la riforma dello Stato (magistratura in primis).
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4 commenti
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Gli attori di quella infausta tragedia che sconvolse la Francia alla fine del ‘700 sembrano avere degli emuli in quel settore della magistratura che da oltre un ventennio organizza il “Grande Terrore Giudiziario” (con decapitazioni incruente ma pur sempre feroci). Ma possibile che quel gruppo di magistrati ignori che c’è sempre un Termidoro? I miei concittadini conoscono bene un proverbio circolante dopo l’occupazione napoleonica di Napoli : “Giuacchino (Murat) facette ‘a legge (morte per impiccagione) e Giuacchimo murette appiso (impiccato).
Anche voi, Grillo e pentastellati , meditate meditate…….
è inutile lanciare anatemi.
Cosa vuoi che si faccia?
La magistratura può perseguire i reati purchè non ci sia politica e appalti di mezzo?
Beh, questo sembrava suggerire Amicone quando lo leggevo sul Sabato e leggevo pure contorti volantoni in cui si ignorava sempre il succo: rubare è peccato ed ANCHE un reato penale.
Invece, ostinatamente, pervicacemente non si vuole vedere anche questa faccia della medaglia.
20 anni passati per niente.
Alla fine questa classe politica ha i Grilli e i giudici che si merita.
articolo lunghissimo, con molti spunti.
Però dimentica molta polpa:
1) dopo 20 anni siamo punto e a capo, nel senso che alla fine gli appalti vanno a chi paga le mazzette (Maltauro, ha già detto di aver pagato 600.000euro)
2) assegnazione appalti esempio: Mattioli si è aggiudicata l’appalto delle platee (gettata in cemento fondazioni), ora però chiede la rivalutazione dei costi (+65%).
Non c’è opera PUBBLICA in italia che venga assegnata a un certo costo e che non venga finita a costi moltiplicati.
3) girano sempre gli stessi nomi (Grerganti, Frigerio etc. etc.). Gente con condanne definitive di cui la politica non riesce a fare a meno.
4) nelle opere pubbliche importanti l’iter è SEMPRE lo stesso: la politica litiga ferocemente (EXPO, assegnazione terreni), il tempo passa, poi si arriva sempre al punto che per mancanza di tempo si fa tutto con procedure straordinarie. A quel punto tenere sotto controllo costi e persone diventa una impresa
ALLORA, Grillo è l’incarnato del populismo e dell’INCAZZATURA. Vero.
Ma la politica, 20 anni dopo, sembra ce la metta ancora tutta per far incazzare la gente e se si accenna alla necessità di un minimo di moralità ed etica nella politica (e mi pare ce ne sia davvero bisogno) si viene tacciati di moralismo.
Moralismo per moralismo questa classe politica e certe note giornalistiche sembra voler fare di tutto per esasperare i cittadini e costringerli a puntare una pistola alla tempia a certa politica (CIOE’ VOTARE GRILLO PER DISPERAZIONE) nella disincantata speranza che qualcosa cambi.
Se Grillo arriverà al 30% (come è molto probabile) non serviranno lunghe e articolate analisi: il merito sarà dei soliti noti.
È il solito copione di ingiustizia a orologeria. Vedremo fra qualche anno come andrà a finire. Ma tanto ciò che importa è affondare il nemico subito…insieme alla nazione.