Evergrande, la bolla immobiliare cinese può davvero scoppiare domani

Di Leone Grotti
22 Settembre 2021
Se ne parla da oltre 15 anni, adesso può succedere. Se Xi Jinping farà fallire il colosso immobiliare le conseguenze saranno disastrose
Progetto immobiliare di Evergrande in costruzione in Cina

Progetto immobiliare di Evergrande in costruzione in Cina

Di bolla immobiliare in Cina si parla da oltre 15 anni. Le città fantasma cinesi, immense cattedrali di cemento nel deserto, sono ormai diventate un genere letterario. Il vasto territorio del Dragone è disseminato di quartieri nuovi di zecca disabitati, stazioni ferroviarie da 18 binari deserte, aeroporti dove non è mai atterrato neanche un drone, colossali opere architettoniche abbandonate all’incuria e alle erbacce. Da anni le Cassandre occidentali predicono (sperando e temendo allo stesso tempo) che la bolla immobiliare scoppierà trascinando con sé l’economia cinese. Finora non è mai successo, ma adesso che Evergrande, colosso del real estate, si ritrova con l’acqua alla gola e con 84 milioni di interessi da onorare entro domani, lo spettro di una nuova Lehman Brothers con caratteristiche cinesi è tornato ad aggirarsi nelle redazioni dei giornali e nei grandi centri finanziari.

Evergrande ha 313 miliardi di debiti

Evergrande, secondo alcune stime, avrebbe 313 miliardi di debiti. Il gruppo è stato fondato nel 1996 a Guangzhou da Xu Jiayin, che nel 2017 è stato celebrato come l’imprenditore più ricco della Cina con un patrimonio di 43 miliardi di dollari. Il colosso del real estate, secondo gruppo più grande del paese, è titolare di oltre 1.300 progetti immobiliari sparsi in 280 città e negli anni ha goduto, soprattutto da parte di banche cinesi, di un prestito dopo l’altro per rischiosi progetti di sviluppo e per investimenti in settori che vanno dal calcio alle automobili elettriche fino all’industria agroalimentare, dove ha puntato su latte in polvere e allevamenti di maiali.

I primi a essere spaventati dal fallimento di Evergrande sono ovviamente i cittadini cinesi: l’azienda ha già venduto 1,4 milioni di appartamenti non ancora completati, ma interamente pagati in anticipo. Che cosa ne sarà di queste famiglie e delle loro case, acquistate dopo aver acceso importanti mutui in banca? C’è poi il problema legato al mercato del lavoro: il colosso immobiliare ha circa 200.000 dipendenti, ma ne impiega fino a 4 milioni ogni anno per realizzare i propri progetti. Che fine faranno? Si passa poi al tema dei creditori locali: secondo la banca svizzera Ubs, oltre 130 banche e 120 istituzioni non bancarie vantano crediti nei confronti del colosso immobiliare. A livello internazionale, invece, il fallimento di Evergrande farebbe registrare grosse perdite a istituzioni come Amundi, Ubs, Blackrock, Pmico, Allianz, Aberdeen, Pictet, Fidelity.

Il Partito comunista non vuole perdere la faccia

Come spiegato dall’economista dell’Ispi Alessia Amighini al Giornale «lo Stato ­cinese­ attraverso le banche, finanziava le società di real estate a fronte di una domanda dovuta anche alle politiche di inurbamento». Quando si è fermata la richiesta, non si sono fermati i prestiti e dal 2014 a oggi «è stato un continuo posticipare il disastro, accumulando crediti inesigibili nelle pance delle banche: erano prestiti bancari a società del settore immobiliare che costruivano infrastrutture e case che però nessuno aveva chiesto». Ora «questo cartello di carte non sta più in piedi. E i cinesi, amanti degli investimenti azzardati, sempre fiduciosi che qualcuno aggiusterà le cose, scoprono, anche loro, che le crisi finanziarie nascono dall’immobiliare».

La domanda che si fanno tutti ora è: che cosa farà il governo? In Cina, ogni problema economico o sociale diventa immediatamente politico, dal momento che la stabilità da sempre è il valore che il Partito comunista mette davanti a tutto. Per Xi Jinping c’è anche un problema di reputazione: a luglio, in occasione del centenario della nascita del Partito, aveva rivendicato gli sforzi del regime per creare una società «moderatamente prospera» e permettere a tutti di realizzare il «sogno cinese». Il fallimento di Evergrande potrebbe schiantare in un attimo le ambizioni di milioni di cinesi che, attraverso l’acquisto di una casa o tramite un investimento finanziario, sognavano di entrare a far parte della fantomatica “classe media”.

La Cina non ama i fallimenti

È soprattutto per questo motivo che la Cina, perennemente in guerra quando c’è da difendere il successo del suo capitalismo eterodiretto da un sistema autoritario, è sempre stata allergica ai fallimenti corporate. Da anni il governo, che non lascia nulla al caso e tantomeno al mercato, non solo tiene in piedi le imprese statali, anche se fallite, ma pure quelle private, nazionalizzandole.

La prima volta che tirò il freno rispetto a questa politica fu nel 2014, quando lasciò andare a gambe all’aria la Chaori Solar Energy. Nel novembre 2020, con un comunicato inedito, la China Banking and Insurance Regulatory Commission diede il permesso alla “piccola” Baoshang Bank, con sede nella Mongolia Interna, di dichiarare il fallimento. I due casi sono comunque rimasti isolati ed è difficile prevedere che cosa farà Xi Jinping, anche se tutti sono convinti che Evergrande verrà considerata “too big to fail”.

 «Xi Jinping nazionalizzerà Evergrande»

Secondo Amighini,

«il governo scaricherà gli azionisti delle società, lasciandoli al proprio destino. Ma il problema resta perché il credito bancario è pubblico e i soldi da qualche parte devono trovarli. Quindi credo che risolveranno questa storia facendo quello che avevano detto di non voler più fare già dal 2014: la nazionalizzazione delle società immobiliari, incamerano il valore delle abitazioni per poi magari distribuirle a chi le vuole perché ne ha bisogno. Una sorta di nazionalizzazione buona, dopo aver fatto pagare gli speculatori».

Così il Partito comunista ne uscirebbe “pulito”, dal punto di vista dell’immagine, nella speranza che tutti si scordino che è proprio il regime ad aver alimentato il sistema malato di prestiti per creare colossi in grado di competere con le più grandi aziende del mondo.

«Non è a rischio il sistema»

Secondo Standard & Poor’s, invece, «è improbabile che il governo cinese salvi Evergrande, a meno che non ci sia un rischio concreto per la stabilità del sistema». Un salvataggio del governo, riporta il South China Morning Post, «minerebbe alla radice la campagna di responsabilizzazione del settore finanziario. In questo caso, il rischio di un fallimento sembra gestibile».

Nel frattempo, Pechino ha imposto una stretta sulla concessione dei mutui per limitare le compravendite immobiliari e di terreni, calate rispettivamente del 24 e del 53 per cento ad agosto rispetto all’anno scorso, come riportato dal Financial Times. Basterà? Domani è il giorno della verità.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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