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E tre! La Consulta torna a dettare i tempi al Parlamento

Dopo i casi Cappato e adozione gay, la Corte Costituzionale sollecita il legislatore sull'ergastolo ostativo. Ma la politica tace su questa invasione di campo

Redazione
16/04/2021 - 10:04
Interni
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corte costituzionale, il palazzo della Consulta
Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale

Dopo i precedenti dell’aiuto al suicidio e dell’adozione same sex, sull’ergastolo ostativo la Consulta torna a prescrivere alle Camere quel che devono fare e a fissare pure entro quando devono provvedere. Ma se le norme esaminate sono incostituzionali, come pure essa riconosce, perché non le dichiara subito tali?


E tre! Dopo le pronunce sul “caso Cappato” (ordinanza n. 207/2018) e sulla sorte dei figli da maternità surrogata (sentenza n. 33/2021), la Corte costituzionale con la nota stampa pubblicata ieri riafferma la prassi di indicare alle Camere norme dell’ordinamento italiano che sarebbero difformi dai parametri della costituzionalità, perché provvedano a modificarle.

Affrontando il nodo del c.d. ergastolo ostativo, cioè – come si legge nella nota – le «questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale», la Consulta osserva «che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

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Una nuova sentenza

In coerenza col dettato costituzionale, ci si sarebbe attesi una declaratoria di illegittimità. Tanto più che con la sentenza n. 253/2019 la Corte aveva già ritenuto incostituzionale l’art. 4-bis co. 1 dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per delitti di mafia si possano concedere permessi premio pur in assenza di collaborazione con la giustizia, e sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e il pericolo del ripristino di tali collegamenti: il terreno era in qualche modo preparato per una nuova sentenza, in logica continuità con quella appena menzionata.

I compiti della Consulta

Anche i non addetti ai lavori sanno che quando una norma di legge viene sottoposta all’esame della Corte costituzionale, l’esito è l’inammissibilità se la questione sollevata non è stata correttamente impostata dal giudice, per esempio la norma impugnata non ha rilievo nel giudizio ordinario; il rigetto, se essa viene valutata non contraria alla Costituzione; l’accoglimento, se l’eccezione è ritenuta fondata, con conseguente declaratoria di illegittimità; la pronuncia interpretativa di rigetto, se la norma è ritenuta legittima, a condizione che sia interpretata in modo diverso da quanto fatto dal giudice che ha rimesso la questione alla Corte.  

La quinta via 

Come nei due casi ricordati in precedenza, la Consulta ieri ha optato per una ‘quinta via’: quella di ‘dare i compiti’ al Parlamento e di fissare un termine entro il quale consegnare l’elaborato; come conclude la nota stampa recante la data di ieri, essa ha «stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie (…)».

Prescindiamo dal merito sottoposto al giudizio della Corte cost., che presenta profili di estrema complessità e delicatezza (sui quali cf. M. RONCO, Il significato retributivo-rieducativo della pena, Dir. proc. pen. 2005, 137-145, anche in Scritti patavini, II, 1453-1467). Prescindiamo pure da ogni considerazione sull’uso di comunicare decisioni così rilevanti con comunicati stampa e non con i provvedimenti tipici della Corte costituzionale: la sentenza o l’ordinanza.

Preoccupazioni politiche

Vale la pena di sottolineare che:

  1. la Consulta lascia operare per un anno norme che afferma apertis verbis essere in contrasto con la Costituzione e con la Convenzione EDU;
  2. provoca non poco disorientamento fra i magistrati che quelle norme sono chiamati ad applicare, avendo ritenuto la loro illegittimità, ma non avendola formalmente dichiarata;
  3. enuncia la ragione di tale modo di procedere nel fatto che «l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata». Esprime pertanto una preoccupazione di natura esclusivamente politica, che secondo il nostro ordinamento dovrebbe competere ad altri, in particolare alle istituzioni cui spetta il contrasto della criminalità mafiosa: il Governo, sotto il controllo del Parlamento;
  4. essendo Giudice delle leggi, e quindi preposto alla verifica ex post dell’operato del Parlamento, si pone ancora una volta all’inizio del procedimento legislativo, sollecitando le Camere a modificare le disposizioni vigenti secondo le proprie indicazioni;
  5. fissa addirittura i tempi entro cui tutto ciò debba avvenire, con una interferenza anche quanto al calendario del Parlamento, oltre che al merito.

Il tutto avviene senza che il Parlamento nulla osservi, né che dal suo interno si levino perplessità; senza preoccuparsi che, così procedendo, si affermi la prassi di dettatura di temi da parte della Consulta, dei loro contenuti e delle scadenze.

Di tutti, è l’aspetto più sconcertante.

Foto Ansa – articolo tratto dal Centro Studi Livatino

Tags: consultacorte costituzionalematernità surrogataparlamento
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