Come mostra la mappa della Cnn riprodotta qui sopra, alla fine per Obama la temuta sventola, ampiamente prevista dai sondaggi, è arrivata. Alle elezioni di metà mandato (mid term) il Partito democratico del presidente ha perso il controllo del Senato americano, quindi gli ultimi due anni alla Casa Bianca si preannunciano durissimi per Obama, visto che, come spiega Repubblica, egli non potrà esercitare «di fatto alcun potere legislativo se non il veto alle leggi volute dai repubblicani. I suoi poteri saranno ancora ampi in politica estera, ma per il resta sarà molto limitato». Un handicap toccato in passato a pochissimi presidenti: Eisenhower, Reagan, Clinton e George W. Bush.
«MAN BASSA». Entrambi i rami del 114esimo Congresso degli Stati Uniti, che si insedierà il prossimo 3 gennaio, saranno dunque in mano al Partito repubblicano. Al Senato, dopo aver conquistato la vittoria in 7 stati precedentemente colorati di blu democrat (West Virginia, Arkansas, South Dakota, Montana, Coloradao, Idaho e North Carolina), il Grand Old Party conta ora 52 seggi su 100 al Senato (53 se risulterà vincente anche in Alaska). Mentre ne occupa 233 su 435 alla Camera, che controllava già dalle scorse elezioni. I repubblicani – si legge nel sito del Foglio – «hanno fatto man bassa anche nelle elezioni delle cariche di governatore dei 36 stati in lizza, conquistando vittorie inattese anche in roccaforti tradizionalmente democratiche come il Maryland, il Massachusetts e persino nello stato del presidente Barack Obama, l’Illinois».
IL PARTITO DEI GIOVANI. Ma oltre all’onda rossa che ha investito Obama, questo voto di mid-term ha fatto emergere un altro aspetto non meno importante del paesaggio elettorale statunitense. È proprio il Foglio a evidenziarlo in un editoriale pubblicato oggi. «Il pregiudizio collettivo – si legge nell’articolo – dice che il Gop è il partito del vecchio uomo bianco, caricatura dell’elettore conservatore con forcone, doppietta e salopette». Ebbene, «la realtà è diversa, e queste elezioni di mid-term lo ricordano». Quanto ai giovani, spiega il quotidiano di Giuliano Ferrara, da sempre acuto osservatore delle dinamiche in atto negli Usa, «l’età media dei congressmen che attualmente rappresentano il Partito repubblicano è più bassa di quella democratica, e i sondaggi dicono che i millennial non tendono automaticamente verso la sponda democratica».
LE DONNE. Quanto alle donne, invece, sebbene «il Partito repubblicano resti decisamente meno rappresentato al Congresso», tuttavia «in questa tornata qualcosa è cambiato». Il Foglio cita come esempi del nuovo trend il caso della «veterana di guerra Joni Ernst», che «si batte per un seggio decisivo al Senato in Iowa», e quello di Mia Love che «potrebbe diventare la prima donna afroamericana» e per di più mormona a essere eletta nel Gop. Ma il caso più emblematico fra tutti è probabilmente quello della trentenne Elise Stefanik: «Se verrà eletta alla Camera dei deputati nel 21esimo distretto dello stato di New York diventerà la donna più giovane mai approdata al Congresso».
SMENTITI GLI OPINION MAKER. Insomma, riflette il Foglio, si ritrovano smentiti dalle urne quegli «osservatori che hanno già deciso che il Partito democratico – specialmente nella sua versiona obamiana – ha l’esclusiva sui giovani e le donne». Certo, non si può sapere con certezza «dove esattamente tenda questa generazione liquida e post ideologica, ma uno studio dell’istituto di politica dell’Harvard University dice che il 51 per cento dei giovani che con altissima probabilità andranno a votare sceglierà il Partito repubblicano. Il dato in sé non è decisivo, ma illustra una tendenza degli americani fra i 18 e i 30 anni a non comportarsi come gli opinion leader democratici credono».