E se il fotografo (non) coglie l’attimo?

Di Giuseppe Beltrame
13 Febbraio 2025
Fino al 4 aprile l'esposizione a Milano. «Meno di ciò che si osserva è "standard", più emerge il linguaggio dell'artista». Intervista al curatore Luca Fiore
Guido Guidi, Chiesuola Russi (particolare), 2016, Stampa a contatto C-print, cm 46,5 x 41,5 © Guido Guidi, courtesy Viasaterna
Guido Guidi, Chiesuola Russi (particolare), 2016, Stampa a contatto C-print, cm 46,5 x 41,5 © Guido Guidi, courtesy Viasaterna

Sono gli sterminati poster pubblicitari disseminati in ogni dove nella città a investire il turista che mette piede per la prima volta a Milano, di certo non le guglie del Duomo o l’inarrivabile Cenacolo vinciano. È così per ogni metropoli del mondo. La fotografia è cambiata negli anni, è diventata più fruibile, a portata di clic di chiunque tenga tra le mani un cellulare. Si scatta continuamente, si riprende ogni attimo. Ma qual è il valore reale di un soggetto perché il fotografo decida di fissarlo per sempre in uno scatto?

Prova a risponderci The subject matters (Il soggetto conta), l’esposizione collettiva curata da Luca Fiore e visitabile gratuitamente presso la Galleria Viasaterna di Milano. Fino al 4 aprile saranno in mostra quarantotto opere di cinque autori diversi per stile, età e nazionalità: Guido Guidi (Italia, 1941), Gerry Johansson (Svezia, 1945), Takashi Homma (Giappone 1962), Terri Weifenbach (Stati Uniti, 1957) e Vanessa Winship (Regno Unito, 1960). Per precisa scelta del curatore l’esposizione propone come protagonisti delle opere dei soggetti-non soggetti, elementi naturali, paesaggi e dettagli architettonici che si discostano dalle figure standard a cui siamo stati abituati dalle opere fotografiche dei più celebri reporter, da Cartier-Bresson in poi.

Finestre, onde e Midwest

In una sala sono esposte sei foto inedite di una finestra, una dietro l’altra, pressoché identiche del (grandissimo) Guido Guidi («il protagonista è la luce che si muove e quindi il tempo che passa»). Un’altra sezione è interamente dedicata agli scatti di onde marine catturate da Takashi Homma. Il fotografo giapponese si è innamorato di un angolo di spiaggia che dà sul Pacifico e ogni anno torna a fotografare quegli stessi cavalloni nello stesso punto e con la stessa angolatura.

Poi c’è Winship, pluripremiata fotografa inglese che, in occasione di un fallimentare reportage sugli Amish, rimase entusiasta del Midwest americano. Tornò tempo dopo, in inverno, la stagione nemica dei reporter per mancanza di luminosità e toni sbiaditi, e scattò una serie di foto in cui, scrive Fiore, «l’artista alterna colore e bianco e nero, quasi fossero intercambiabili, tanto i contrasti di luce e colore sono tenui. Non c’è azione. Non c’è racconto. Soltanto il freddo che la carta fotografica sembra essere in grado di restituire».

Takashi Homma, New Waves, 2017, Stampa lambda, cm 55 x 44 © Takashi Homma, courtesy Viasaterna
Takashi Homma, New Waves, 2017, Stampa lambda, cm 55 x 44 © Takashi Homma, courtesy Viasaterna
Takashi Homma, New Waves, 2003, Stampa FineArt, cm 100 x 125 © Takashi Homma, courtesy Viasaterna
Takashi Homma, New Waves, 2003, Stampa FineArt, cm 100 x 125 © Takashi Homma, courtesy Viasaterna
Gerry Johansson, Anaya de Alba, Spain, 2021, Stampa ai sali d'argento, cm 36 x 33 © Gerry Johansson, courtesy Viasaterna
Gerry Johansson, Anaya de Alba, Spain, 2021, Stampa ai sali d’argento, cm 36 x 33 © Gerry Johansson, courtesy Viasaterna

Quale protagonista?

Da un dialogo mai così illuminante con il curatore ci si accorge che l’idea che lega tutte le opere è perfettamente colta. «La volontà non è emozionare – ci spiega Fiore -, la mostra si gioca sul “come”, non sul “cosa” fotografo. Il soggetto diventa secondario e a diventare cruciale è il linguaggio stesso della fotografia, quindi la mano e l’occhio dell’artista».

Seguendo la sua riflessione, si conviene che questi due valori, per l’appunto soggetto e “mano”, si mischiano insieme, senza possibilità reale di scissione, in qualunque foto, da quelle scattate da occhio inesperto a quelle di grandi professionisti. La macchina non coglie mai tutta la realtà, ma solamente ciò che il fotografo vuole rappresentare. «Non a caso – spiega Fiore – tutti hanno bene in mente i gridolini che fanno seguito a qualsiasi foto di gruppo, “come sono venuto male, quello non sono io”. Perché effettivamente, vanità permettendo, la rappresentazione impressa sull’immagine non è di per sé il protagonista in azione, ma il soggetto che il fotografo, volontariamente o meno, ha potuto o voluto cogliere».

Guido Guidi, Ronta, 2019, Stampa a contatto C-print, cm 41,5 x 46,5 © Guido Guidi, courtesy Viasaterna
Guido Guidi, Ronta, 2019, Stampa a contatto C-print, cm 41,5 x 46,5 © Guido Guidi, courtesy Viasaterna

Il facile gioco del reportage

Solo seguendo questo ragionamento si potrà sostenere che gli scatti per esempio di Steve McCurry (esposti fino a maggio in una mostra consigliatissima a Trieste), – e si considera lui volontariamente per l’indubbia qualità dell’opera, riconosciuta all’unanimità da critica e pubblico – siano frutto della volontà del fotografo e non dei visi così espressivi dei santoni sikh o dei giovani afghani. Altrimenti il valore dello scatto andrebbe attribuito esclusivamente al soggetto. Lui ha trovato quei protagonisti, li ha scelti e ne ha determinato luce e angolatura.

Ma, giocando ancora con l’ossimoro, chi mai potrà attribuire il merito totalmente al fotografo? Senza sostenere la dissacrante tesi che il fotografo americano possa essere privo di talento, da questo punto di vista, tuttavia, gli autori di reportage saranno sempre in qualche modo facilitati. Colgono una stranezza che cattura di per sé lo spettatore, quindi che si riempie di un soggetto “significativo”. Ma se si svuota di questo “significato”, cosa gli potrà accadere? Non sarà così facile fotografare il banalissimo muro di una casa e renderlo attraente di per sé. A meno che non ci sia un artista a scattare. Con ciò non si vuole eliminare l’idea del reportage, si vuole riflettere sul valore della fotografia concettuale. «Meno di ciò che si osserva è considerato “standard” – spiega Fiore -, più emerge il linguaggio della fotografia»

Terri Weifenbach, Untitled #10, 2016, Archival pigment print in bianco e nero, cm 23 x 20 © Terri Weifenbach, courtesy Viasaterna (particolare)
Terri Weifenbach, Untitled #10, 2016, Archival pigment print in bianco e nero, cm 23 x 20 © Terri Weifenbach, courtesy Viasaterna (particolare)

La dignità dell’immagine

Secondo questa concezione chi scatta sarà chiamato a rispondere a una sua precisa idea di fotografia, in qualche modo più “pura”, dando dignità all’immagine anche più banale e perdendo l’interesse per il soggetto, che quindi non deve per forza catturare l’attenzione dello spettatore.

I fotografi esposti forniscono una visione artistica personale, certamente più criptica, ma non per questo incomprensibile. È l’idea che si nasconde nel titolo, “il soggetto conta”, che così può assumere quasi la forma di una domanda. Da porre in primis a noi stessi. Notevole da questo punto di vista il gioco di parole cercato e riuscito dal curatore: la locuzione al singolare in inglese, The subject matter, si può tradurre come “il soggetto fotografico”, quel “subject” che può essere sia il protagonista che l’autore dello scatto.

Vanessa Winship, Nodding Donkey (Oil pump), Holmes County, Ohio, U.S.A, 12.02.2019, 2019, Stampa a pigmenti su carta Japanese Washi, cm 50 x 60 © Vanessa Winship, Courtesy Viasaterna
Vanessa Winship, Nodding Donkey (Oil pump), Holmes County, Ohio, U.S.A, 12.02.2019, 2019, Stampa a pigmenti su carta Japanese Washi, cm 50 x 60 © Vanessa Winship, Courtesy Viasaterna

La fotografia highlight

Il reportage nel tempo ha contribuito all’idea comune di una fotografia vissuta come highlight, come fermo-immagine di un momento particolare, storico, unico. Ma chi ha deciso che sia solo questo il suo compito? Che il valore sia dato solo dall’importanza di per sé del momento.

Così la macchina rischia di rimanere uno “strumento” in mano a un esecutore. The subject matters fa trasparire il desiderio che la fotografia diventi generativa, assuma il protagonismo dell’opera e crei un prodotto non valorizzato solamente dall’elemento rappresentato, ma da chi punta l’obiettivo. Non più la macchina che segue il soggetto, ma quasi il contrario. In un gioco riflessivo in cui è bello lasciarsi cullare.

Vanessa Winship, Frozen Marshland with Tendril, Holmes County, Ohio, U.S.A, 23.02.2020, 2020, stampa a pigmenti, cm 60 x 50 ©Vanessa Winship, courtesly Viasaterna (particolare)
Vanessa Winship, Frozen Marshland with Tendril, Holmes County, Ohio, U.S.A, 23.02.2020, 2020, stampa a pigmenti, cm 60 x 50 ©Vanessa Winship, courtesly Viasaterna (particolare)
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