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«Basta Dad, non spegne il virus ma i ragazzi. Una follia trovarla “moderna”»

Il preside del Volta: «La didattica "di emergenza" si fa se si è costretti, non la si implora, bene sarebbe abolirla». Parla Domenico Squillace, dirigente di un grande liceo milanese. «Mi cadono le braccia quando sento i colleghi parlare di scuola come "agenzia formativa"»

Caterina Giojelli
12/01/2022 - 6:27
Scuola
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Domenico Squillace, preside dello scientifico Volta di Milano

«La Dad si fa se si è costretti a farla, non la si implora. Se il premier e il ministro dell’Istruzione ribadiscono che non ha senso chiudere la scuola prima di aver chiuso tutto il resto, cosa che vado ripetendo da due anni, e che non ci sono i motivi per farlo, a che pro tifare smodatamente per una didattica di emergenza e aperture a singhiozzo?». Domenico Squillace è il preside del liceo scientifico statale Volta di Milano, nove sezioni, 1.200 studenti a due passi dal parco di Porta Venezia e da corso Buenos Aires. Non è un dirigente di frontiera, non si scaglia contro la Dad dai Quartieri Spagnoli di Napoli o dal Tamburi di Taranto, nelle regioni più bocciate dai test Invalsi, quelle cioè che hanno tenuti i cancelli chiusi per più tempo distruggendo ogni narrazione consolatoria sulla “tenuta della scuola” durante la pandemia e l’efficacia della didattica a distanza.

Insomma, lei è il preside di una scuola “bene” di Milano che avrebbe tutti i numeri per tornare in Dad senza patemi d’animo. Eppure non ci sta a ingrossare le fila dei duemila presidi che tanto hanno strepitato per rinviare di due settimane il rientro in classe, perché?

Lo ribadisco ancora una volta: due settimane non servono a nulla, se tutto resta aperto tranne la scuola non è così che si contrasta la diffusione del virus. Si tratterebbe di un’operazione di facciata pericolosa per i ragazzi, qualunque preside al termine di questi due anni sa di cosa parlo e non credo di essere l’unico a dovermi confrontare da mesi con psicologi e psichiatri che stanno seguendo un numero esorbitante di studenti a Milano. Se c’è un lockdown si chiude, in Germania lo hanno appena fatto ed è servito. Ma se gli esperti che ci chiedevano di chiudere ora vanno ripetendo che la riapertura delle scuole porta «un contributo irrilevante alla crescita dei contagi» e che «non sono gli studenti a farli salire» (vedi Giuseppe Remuzzi e Donato Greco del Cts, o il direttore dell’Oms Europa, Hans Kluge, per il quale «le scuole devono essere l’ultimo posto a chiudere e il primo a riaprire. Lasciare le scuole aperte ha importanti benefici per il benessere mentale, sociale ed educativo dei bambini», ndr); se Draghi e Bianchi confermano che la scuola resta aperta; se Francia, Regno Unito e la stessa Germania non hanno mai imposto chiusure generalizzate per le scuole, mi volete spiegare perché i presidi d’Italia devono implorare i cancelli chiusi per tutti? Le ragioni sono altre e non hanno a che vedere con i contagi, o meglio, non solo con i contagi.

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Quali sono queste ragioni?

La prima è che si è sdoganato il ricorso generalizzato alla Dad. Per due anni il riflesso pavloviano dei “governatori” di ogni parte politica, da Fontana a Bonaccini, da De Luca a Emiliano, è stato chiudere le scuole alla prima impennata dell’Rt. Perché? Perché se chiudi le attività economiche devi dare i ristori, se chiudi la scuola è gratis. Cosa alla resa dei conti falsissima, ma fare due conti non è stato il forte di nessuno durante l’emergenza. E così la Dad è diventata di casa nelle scuole di tutta Italia. In questi due anni ho gestito una scuola chiusa per lunghi periodi, un luogo silenzioso e suggestivo, per diversi aspetti una pacchia rispetto al porto di mare che è la scuola in questi giorni, ma anche una tristezza infinita. Forse a molti, non solo nella scuola, piace insegnare da casa, a me no. L’altra ragione è quella che mi preoccupa di più: diversi colleghi mi hanno duramente ripreso per aver affermato sui giornali che la scuola ha un ruolo sociale, e per averla paragonata quale servizio fondamentale alle ferrovie o alle forze di polizia. “Non è un servizio sociale”, mi è stato obiettato, “la scuola è un’agenzia formativa”. Ripeto, agenzia formativa: un’agenzia che eroga formazione in qualsiasi modalità, in presenza come a distanza. Io non sono mica un luddista col calamaio sulla scrivania, tutt’altro: ma mi cadono le braccia quando sento tanti esaltarsi per le nuove tecnologie di cui la Dad (o Ddi) sarebbe sinonimo, di skills e scuola moderna. Così moderna che in questi due anni abbiamo raccolto perdita di apprendimenti, dispersione e abbandono scolastico in tutta Italia.

C’è chi contesta la definizione di “ruolo sociale” ricordando che la scuola non è un parcheggio di figli per genitori al lavoro.

E anche se fosse? Negli anni Settanta la scuola pubblica e il tempo pieno hanno emancipato le donne aiutandole a lavorare: anche questo è il ruolo sociale della scuola, non certo quello di una semplice agenzia formativa. Ma il peggio è la cecità davanti a questi ragazzi: chiunque lavori in una scuola ha assistito a un aumento di sofferenza e sa che le parole dei professionisti della salute mentale e dei neuropsichiatri infantili a proposito dell’aumento vertiginoso di depressioni, ansie, autolesionismo, tentativi di suicidio non sono parole lanciate al vento. Parlo dei miei studenti, ragazzi tra i 14 e i 19 anni: a questi ragazzi abbiamo tolto due anni di vita, li abbiamo costretti a vivere con mamma e papà nell’età della necessaria differenziazione, del conflitto, della costruzione del sé. E lo abbiamo fatto togliendo loro la scuola che è la loro vita, il loro “luogo”, dove crescono, si innamorano, si confrontano con i pari e con gli adulti. Io sono un uomo del Sud, fossi finito in Dad alla loro età, ogni giorno terminata la lezione, avrei visto gli amici giocando a pallone sul lungomare, ma la maggior parte dei ragazzi oggi non ha più un quartiere, la compagnia degli amici sotto casa, vive – letteralmente, in mancanza di un “luogo” – su Whatsapp e Instagram. Li abbiamo domiciliati online. Tutti connessi ma “spenti”: come dice una insegnante che stimo molto, “io in Dad il più delle volte volte più che lezione sono stata costretta a fare l’animatrice”.

La sofferenza dei ragazzi non viene presa sul serio perché paragonata a quella nelle terapie intensive.

Quindi facciamo finta che non esista? La Dad è una didattica di emergenza, l’abbiamo usata per due anni, ora sarebbe il caso di abolirla, così ci leviamo ogni tentazione. Nessuno in Europa ha fatto ricorso selvaggio alle chiusure delle scuole come in Italia. Che questo sistema scolastico provochi delle diseguaglianze destinate a durare, che si rifletteranno su tutto il futuro lavorativo e salariale dei ragazzi lo ha già detto Draghi e lo sa chiunque faccia questo mestiere: se riteniamo di non doverci preoccupare – a torto – di chi ha un suo computer, una stanza per sé, una sorella che fa Lettere in Cattolica o un fratello che studia al Politecnico pronti all’aiuto, possiamo avere a cuore, dopo due anni di Dad, la fatica pratica ed emotiva del ragazzino straniero che si deve connettere col cellulare del papà dall’antibagno perché ha altri quattro fratelli e non ha nessun altro posto per farlo?

La protesta degli studenti del Liceo Volta di Milano contro la ripresa delle lezioni in Dad lo scorso marzo
La protesta degli studenti del Volta contro la ripresa delle lezioni in Dad la scorsa primavera (foto Ansa)

Molti lamentano che non è stato fatto nulla per tenere la scuola aperta e in sicurezza. Eppure soldi ne sono arrivati.

Faccio il dirigente da 15 anni, di soldi ne sono arrivati tantissimi e li stiamo utilizzando, le risorse per l’organico Covid sono state decisive. Certo, adeguare l’edilizia scolastica ora è impossibile, ci vorrebbe un Piano Marshall o un Pnrr appositamente dedicato, ma si parla di cifre esorbitanti e anni per rimettere mano a scuole vecchissime e inadeguate a prescindere dal virus. Certo, avrei sperato che il problema delle “classi-pollaio” – espressione che trovo orribile ma che rende l’idea –, venisse risolto una volta per tutte mettendo mano alla regola che ci impone di formare una prima e una terza classe con un minimo 27 studenti, un numero folle anche senza il problema del distanziamento, ma tant’è: è folle anche usare la scusa della classe pollaio per promuovere la didattica mista. Se la Dad ha dei limiti, la Ddi è un delirio con una parte di studenti in aula e l’altra costretta ad assistere da casa, come stessero assistendo a una prolusione all’università o a una conferenza senza diritto di parola e interruzione.

Tuttavia la didattica mista, la più temuta da tutti gli insegnanti d’Italia, alle superiori e alle medie sarà un destino con due casi positivi: c’è la Dad solo per i non vaccinati, gli altri restano in classe. Ma come si procede in questi casi, la scuola è autorizzata a sapere chi è vaccinato o meno?

Stando al decreto i dirigenti sono autorizzati a visionare lo stato vaccinale fino al 31 marzo, stato che deve essere dimostrato – sottolineo: dimostrato, non dichiarato – dalle famiglie. Per quel che mi riguarda, se si presenterà questa situazione lascerò libere le famiglie di decidere se produrre questo green pass o meno: chi lo farà come da regolamento avrà la classe aperta, chi non vorrà farlo resterà a casa. Ma non intendo certo imporlo, non potrei neanche. Questo non significa liberi tutti: siamo stati i primi, a settembre 2020, a imporre la mascherina ovunque a prescindere dal distanziamento, viviamo di disinfettante e maglioni in più per areare costantemente le aule. Non sto sostenendo che la scuola è sicura o che basti questo a fermare i contagi, che pure si sono moltiplicati a scuole chiuse. Ma che dopo due anni non ha senso impedire ai ragazzi di andare a scuola cinque ore al giorno con la mascherina. Il problema delle nuove regole è piuttosto la fine del tracciamento: fino al 22 dicembre con tampone al giorno zero e al quinto giorno abbiamo attivato Dad di sole 24-48 ore e contenuto i contagi. Ora possiamo ridurre qualche fila davanti alle farmacie ma, diciamocelo, l’autosorveglianza non vale il tracciamento e così la quarantena dura 10 giorni invece di cinque. Costringendoci alla Dad o appunto, peggio, alla Ddi.

In Germania il governo Scholz ha deciso invece che in quarantena vanno solo i contatti strettissimi dello studente che risulta positivo (i vicini di banco) e solo per cinque giorni. A Berlino i tamponi antigenici sono gratuiti e si fanno anche a scuola all’arrivo.

Questa sarebbe una buona battaglia: avere a disposizione un medico scolastico sarebbe un sogno, basterebbe un infermiere per fare i tamponi e poi smaltirli in sicurezza.

Ma i suoi studenti appoggiano la sua battaglia per la scuola in presenza?

Al Volta è nato il movimento nazionale Studenti presenti per l’apertura in sicurezza e definitiva delle aule. Sono i ragazzi che nel dicembre 2020 manifestavano sotto la Regione Lombardia con sacchi a pelo e un freddo incredibile. Mi costavano trenta, quaranta euro in cappuccini bollenti quando passavo a trovarli per capire come e perché volessero tornare a scuola. E la risposta non era perché amavano il 3 in latino, ma perché amavano la loro vita. Chiudere le scuole in una fase del genere ci leverebbe magari qualche castagna dal fuoco, a noi dirigenti, ma se ti ricordi perché fai il tuo lavoro il sogno della vita comoda trasfigura in fretta in un incubo invivibile.

Tags: Covid-19dadmario draghiScuola
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