Djokovic è un campione. L’Australia non ne faccia un martire

Di Leone Grotti
10 Gennaio 2022
Il tennista serbo non è Dreyfus, ma neanche un nemico pubblico. Un giudice ha certificato che la sua esenzione medica è valida e che gli agenti che l'hanno interrogato in aeroporto sono stati scorretti. Il governo australiano ora lo caccerà ugualmente? Sarebbe un grave errore
Proteste a Melbourne, in Australia, pro Djokovic

Proteste a Melbourne, in Australia, pro Djokovic

Novak Djokovic è libero di entrare in Australia e di competere all’Australian Open, ha già lasciato l’albergo nel quale era stato detenuto in quanto immigrato clandestino ma potrebbe ancora essere cacciato dal paese per decisione del ministro federale dell’Immigrazione. È l’ultimo confuso capitolo di una saga pasticciata, più vicina al grottesco che al drammatico, che ha visto stasera (ora locale) il giudice Anthony Kelly ribaltare la decisione del governo federale di cancellare il visto del tennista più forte del mondo.

Djokovic non è Dreyfus, né un untore

Djokovic non è Dreyfus, ma non è neanche un nemico pubblico come l’hanno descritto i giornali né un pericoloso untore che si aggirerà per le strade di Melbourne a sputazzare addosso alla gente. Il campione serbo, come ha detto Rafael Nadal, potrebbe vaccinarsi e farla finita, è vero, resta il fatto che due commissioni australiane – una del torneo tennistico e una dello Stato di Victoria – gli hanno richiesto una pila di documenti per accertare la sua immunità e concedergli l’esenzione medica. Lui ha fornito i documenti, loro gli hanno certificato l’esenzione e gli hanno concesso di conseguenza il visto. Dunque, come dichiarato dal giudice Kelly, «che cosa poteva fare di più quest’uomo»?

Questo è anche quello che Djokovic ha chiesto a più riprese agli agenti che l’hanno interrogato sette volte, in piena notte, all’aeroporto di Melbourne dove è atterrato nelle prime ore del 6 gennaio. Nel dettaglio, senza avere accesso al suo avvocato né al suo telefono, Djokovic è stato interrogato alle 00.21, alle 00.35, alle 00.46, alle 3.55 in due fasi, alle 5.20 e infine alle 6.07.

La follia degli interrogatori a Melbourne

Il momento chiave degli interrogatori, anche per il processo, è stato verso le quattro del mattino. Djokovic, come rivelano i tabulati, aveva già spiegato agli agenti di avere tutte le carte in regola: l’esenzione medica gli era stata riconosciuta poiché aveva contratto il Covid il 16 dicembre, al pari di altri tennisti, e dalla cartella medica risultava avere un livello di anticorpi sufficiente al pari dei vaccinati. Ecco perché il governo gli aveva permesso di giocare, concedendogli il visto.

Quando l’agente gli spiega che il suo visto sarà cancellato e che il campione serbo ha venti minuti di tempo per «fornire ulteriori motivazioni sul perché non dovremmo cancellarti il visto», Djokovic risponde: «Non capisco. Che cos’altro dovrei darvi? Avete tutti i documenti che la federazione australiana di tennis e il governo di Victoria mi hanno chiesto di fornire nelle ultime tre-quattro settimane. Ho fatto richiesta, loro l’hanno approvata, cos’altro dovrei aggiungere? Cosa volete che dica ancora? Mi state dando venti minuti di tempo per darvi altre informazioni alle quattro di notte e senza poter contattare né il mio agente, né il governo? Dormono tutti. Ho fatto tutto quello che mi avete chiesto».

Il verdetto del giudice in Australia

Alla fine agenti e giocatore si sono accordati per rimandare tutto alle 8.30 del mattino, ma il suo visto è stato ugualmente cancellato alle 7.42. Ecco perché oggi il giudice ha ribaltato la decisione del governo dando ragione a Djokovic su tutta la linea e ordinando di «rilasciarlo immediatamente». Nonostante il verdetto del magistrato, il ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke, può cancellare il suo visto senza dover fornire ulteriori ragioni e bandire il campione serbo dall’Australia per tre anni.

La famiglia del tennista ha da poco dichiarato che le autorità federali stanno cercando di «arrestare e deportare» Djokovic, anche se i giornali australiani smentiscono. Asseverato che non ci sono ragioni sanitarie per bloccare il campione e impedirgli di partecipare al torneo che inizia lunedì, è evidente che l’affaire Djokovic è ormai diventato ciò che mai sarebbe dovuto diventare: un problema di principio.

Non fate di Djokovic un martire

Per quanto Djokovic possa essere antipatico, per quanto la sua scelta di non vaccinarsi possa essere ritenuta deprecabile, per quanto la sua “esenzione medica” possa essere considerata tirata per i capelli, la frittata l’ha fatta il governo australiano e non il campione serbo. Come dichiarato dal tennista negli interrogatori all’aeroporto, «non mi sarei mai messo in una simile posizione» se non fosse stato il governo stesso a permetterlo. È il governo ad aver stabilito le regole, è il governo ad aver richiesto i documenti, è il governo ad averli verificati ed è ancora il governo ad averli certificati e accettati.

Djokovic non è un eroe, ma se il governo australiano continuerà a “perseguitarlo” cacciandolo dal paese nonostante il verdetto del giudice e in assenza di ragioni sanitarie, e impedendogli di giocare l’Australian Open e magari di vincerlo, diventando così il più titolato della storia di questo sport, ne farà un martire. È questo che vuole?

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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