Il reato d’opinione di Novak Djokovic

Di Piero Vietti
18 Gennaio 2022
Il tennista serbo ha sbagliato, ma l'Australia lo ha cacciato per le sue idee e il cattivo esempio che dava. Chi esulta perché "la legge è uguale per tutti" ha capito il principio passato con questa sentenza?
Il tabellone degli Australian Open 2022 con la foto di Djokovic, campione un anno fa (Ansa)

Alla fine Novak Djokovic ha perso il ricorso contro la decisione del governo australiano di negargli il visto per partecipare agli Australian Open ed è stato “deportato” dal paese che inizialmente gli aveva concesso un’esenzione dal vaccino per avvenuta guarigione dal Covid affinché potesse difendere il titolo Slam vinto già nove volte. La sua espulsione, però, non è stata motivata con le regole infrante, né con gli errori procedurali da lui commessi per ottenere il visto, ma dal «rischio per l’ordine pubblico» che le sue opinioni sul vaccino anti Covid avrebbero potuto rappresentare. Una motivazione definita «orwelliana» dall’Australian Lawyers’ Alliance.

Il Risiko tennistico di Djokovic nel 2022

Dopo una vicenda grottesca, in cui tutti hanno sbagliato, lui per primo, intestardendosi e mentendo, il tennista numero uno al mondo è atterrato ieri in Serbia, accolto come un eroe dal governo e dalla gente, si è detto insoddisfatto della decisione australiana e ha annunciato di volere ragionare con calma sul suo futuro prossimo. Come sottolineato ieri dal Wall Street Journal, la disavventura nella terra dei canguri rischia di essere soltanto l’inizio di un anno molto complicato per Djokovic, se insisterà a non volersi vaccinare. Poiché non tutti i paesi applicano misure uguali sulle restrizioni per i non vaccinati, il 2022 di Novak rischia di assomigliare a una partita a Risiko.

Nonostante l’annuncio di qualche giorno fa del ministro dello Sport francese, Roxana Maracineanu, che aveva garantito che al tennista serbo sarebbe stato permesso di partecipare al Roland Garros, ieri l’organizzazione dello slam parigino ha fatto sapere che l’avvenuta vaccinazione sarà invece necessaria per potere giocare. Diversa invece la situazione per gli Internazionali di Roma, in calendario poco prima, dal 2 al 15 maggio: in Italia l’avvenuta guarigione dal Covid entro sei mesi è considerata sufficiente per ottenere lo stesso status di un vaccinato. Djokovic potrebbe quindi partecipare al torneo italiano, così come potrebbe essere nel tabellone dell’Open di Madrid, dato che per entrare in Spagna bisogna avere un certificato di guarigione dal Covid, un test molecolare negativo o un certificato di vaccinazione.

La battaglia politica dell’Australia contro Nole

Difficile prevedere che cosa succederà nei prossimi mesi e se il campione serbo alla fine deciderà finalmente di farsi vaccinare spinto anche dagli sponsor che, dopo settimane di silenzio, iniziano a farsi sommessamente sentire (primo fra tutti Lacoste, che in uno scarno comunicato ha fatto sapere di volersi «mettere al più presto in contatto con lui»). Premesso che il primo colpevole del caos attorno alla sua partecipazione agli Open australiani è lo stesso Djokovic, tra dichiarazioni false sui suoi spostamenti e poca chiarezza sulle date del suo contagio, restano molti dubbi su come il più forte tennista del mondo è stato trattato dalle autorità locali.

Tralasciando gli eccessi retorici della famiglia Djokovic, che lo ha paragonato a Gesù Cristo e a Spartaco, e al tentativo oggettivamente eccessivo di farlo passare per martire, nei giorni della sua permanenza a Melbourne il mondo ha assistito prima a un pasticcio come nemmeno in un torneo rionale da parte dell’organizzazione dell’Open e delle autorità di frontiera, che hanno permesso a Nole di partire per l’Australia in possesso di regolare permesso, e poi a una battaglia prettamente politica da parte del governo che – con le elezioni alle porte – si è reso contro di non potersi permettere di ammettere un non vaccinato alla manifestazione sportiva più importante dell’anno dopo avere chiesto alla popolazione mesi di sacrifici con un lockdown durissimo e sostanzialmente inutile, viste le percentuali di nuovi contagiati che si registrano in questi giorni nel paese.

Djokovic, anche a causa al suo atteggiamento supponente, è diventato così il capro espiatorio perfetto, la vittima necessaria da sacrificare sull’altare dell’opinione pubblica affamata di sangue no vax. Al grido di rules are rules, le regole sono regole, infatti, i neopuritani di tutto il mondo hanno considerato accettabile che un ragazzo di 34 anni in possesso di regolare esenzione e certificato di guarigione dal Covid venisse trattato come un terrorista prima (con un interrogatorio durato ore in aeroporto) e come un immigrato clandestino poi, con gli arresti domiciliari di fatto nell’hotel in cui vengono segregati i richiedenti asilo in un paese solito affondare le navi di migranti.

Le bugie di Djokovic e il reato d’opinione

Una volta accertati gli errori procedurali gravi commessi da Djokovic e dal suo entourage per richiedere il visto sarebbe stato sufficiente appellarsi ad essi per rifiutare la sua domanda di ammissione. Il governo australiano, invece, ha voluto dare una lezione morale al tennista serbo. Nole è stato infatti prima accusato di mettere in pericolo la salute degli australiani in quanto non vaccinato: poco importavano ai giornali di tutto il mondo le decine di migliaia di nuovi contagiati registrati ogni giorno in Australia, Djokovic – negativo a tutti i tamponi, guarito da poco e giunto in Australia non per frequentare bar e discoteche ma per giocare a tennis in una bolla – era un pericolo e doveva essere fermato.

Dopo avere vinto il primo ricorso, e avere ottenuto da un giudice l’ok a restare sul suolo australiano e giocare il suo torneo, Djokovic si è visto negare il visto dall’esecutivo, che ha stravolto una decisione del potere giudiziario vincendo poi l’immediato appello del tennista serbo.

Ma è la motivazione finale dell’espulsione a lasciare dubbi in chi si ostina a credere nello stato di diritto: Djokovic è stato cacciato dall’Australia non solo perché le sue motivazioni per ottenere l’esenzione non sono state considerate adeguate, ma perché una sua permanenza avrebbe potuto causare emulazione da parte dei no vax e “disordini civili” a causa delle sue opinioni scettiche sul vaccino, considerate una “minaccia pubblica”. Il reato contestato a Djokovic è quindi in sostanza un reato d’opinione.

Djokovic militante no vax? Una costruzione mediatica

Come detto, l’Australian Lawyers’ Alliance ha commentato così: «Uno degli aspetti più pericolosi della questione Djokovic è la preparazione del governo federale a considerare qualcuno un rischio per l’ordine pubblico semplicemente sulla base di ciò che percepisce potrebbero essere le opinioni di quella persona. Questo è orwelliano ed è profondamente preoccupante in una società presumibilmente impegnata nella libertà di parola e di pensiero».

Ora, come ha giustamente sottolineato la difesa del tennista serbo, lui non si è mai associato al movimento no vax, né tantomeno alle proteste di chi contesta l’efficacia dei vaccini, si è limitato a dire la sua opinione personale, ormai più di un anno fa, esercitando la contestabile quanto si vuole ma ancora legale scelta di non vaccinarsi, e poi ha semmai lottato per il diritto alla privacy sul proprio stato di salute. Nessuna manifestazione di piazza, nessun appello a non farsi vaccinare. Il Djokovic attivista no vax è fondamentalmente una costruzione mediatica degli ultimi mesi, ma è su quella costruzione mediatica che il governo australiano si è basato per definirlo una “minaccia pubblica”.

Basta un’opinione “sbagliata” per essere deportati?

Al netto degli errori e della cocciutaggine del tennista numero uno al mondo, il fatto che venga accettato tra gli applausi e gli editoriali compiaciuti di mezzo mondo il principio secondo il quale un paese può espellere una persona che in base alla risonanza mediatica che ha potrebbe turbare l’opinione pubblica del paese stesso è molto preoccupante.

Mettiamo, per assurdo ma non troppo, che il Qatar decida di non dare il visto ai calciatori omosessuali che parteciperanno al prossimo Mondiale perché le loro idee sono considerate una minaccia per la popolazione. Con questo precedente sarebbe difficile contestarlo, dopotutto rules are rules, e in gran parte dei paesi arabi l’omosessualità non è nelle rules. Cosa direbbero i commentatori che in queste ore applaudono la fermezza e la coerenza australiane? Una volta passato il principio che un’opinione “sbagliata” è sufficiente per essere deportati da un paese in nome di una morale, quale sarà il passo successivo?

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