Diliberto insegna a Wuhan e si è ammalato: ha contratto il comunistavirus

Di Leone Grotti
11 Febbraio 2020
L'ex segretario del Pdci rilascia un'intervista al Fatto Quotidiano e si spertica in lodi alla Cina, paese «meritocratico e democratico».
diliberto pdci wuhan

Abbiamo scoperto dalla lettura di un’intervista sul Fatto Quotidiano che Oliviero Diliberto, segretario generale del Pdci dal 2000 al 2013, insegna a Wuhan ed è malato. No, non è come pensate. L’ex ministro non ha contratto il coronavirus in Cina, ma è stato infettato da un altro parassita molto più pericoloso: il comunistavirus. I sintomi principali sono annebbiamento del cervello, perdita della memoria e delirio in stato confusionale.

DILIBERTO ESALTA LA CINA, MA SCAPPA IN ITALIA

Il titolare della cattedra di Diritto romano alla Sapienza insegna la medesima materia anche a Wuhan, dove ha avuto modo di conoscere a fondo la superiorità della Cina rispetto all’occidente. Il Dragone, afferma Diliberto nell’intervista, è «il più grande paese del mondo ed è comunista. Ci sarà un motivo? È il luogo dove si seleziona la classe dirigente applicando il merito. E pure questo è un fatto».

Un esempio della grandezza della Cina, secondo l’ex segretario del Pdci, è la gestione dell’epidemia di coronavirus. È stata, parole sue, così «composta, efficiente, seria» che lo stesso Diliberto ha ben pensato di prendersi un periodo sabbatico e riparare in Italia fino a quando la bufera non sarà passata. La gestione della crisi, è efficiente, certo, però non si sa mai.

EFFICIENTE NELLA REPRESSIONE

Il fatto che il governo cinese abbia ben pensato di non informare la popolazione dell’epidemia per un mesetto, lasciando così che si contagiasse, per non far fare brutta figura al Partito comunista, che proprio a gennaio doveva riunirsi a Wuhan, non sminuisce in nulla la sua grandezza per Diliberto. Che Pechino si ritrovi a corto di medici, strutture, kit, test, mascherine, posti in ospedale, non è un segnale di fragilità. Anzi.

La Cina ha dimostrato di essere molto efficiente, infatti non appena il medico Li Wenliang ha denunciato l’esistenza del coronavirus, il Partito comunista gli ha ordinato subito di ritrattare le sue conclusioni sgradite al regime. Se gli avesse dato retta, invece che mettere a tacere una notizia scomoda, il governo avrebbe potuto salvare qualche centinaio di vite. A farne le spese invece è stato il dottor Li, ucciso dal virus. Ma Diliberto non bada a questi particolari, la macchina della repressione si è dimostrata efficiente. E tanto basta.

MERITOCRAZIA CON CARATTERISTICHE CINESI

Diliberto decanta poi la «meritocrazia» cinese e la «selezione della leadership»: il fatto che il paese sia così tanto corrotto che una bustarella è necessaria perfino per farsi curare in ospedale non dà fastidio al nostro professore. Per poter entrare in un ordine professionale (giornalista, insegnante, giudice, avvocato, medico) è necessario seguire sempre e comunque le direttive del Partito comunista, altrimenti si viene radiati, ma tutto ciò non intacca il merito. Anzi.

Chi è più bravo, in Cina, fa carriera. Come Xia Baolong, diventato nel 2018 vicepresidente e segretario generale della Conferenza politica consultiva cinese (Cpcc). Come poteva Xia non essere promosso dal presidente Xi Jinping dopo aver portato a termine in modo scrupoloso, tra il 2012 e il 2017 in qualità di segretario del Partito del Zhejiang, la più grande campagna di demolizione di croci e chiese della storia?

«IO RESTO COMUNISTA, CERTAMENTE!»

La Cina, come sottolinea l’ex ministro, è «democratica», anche se il suo modello è un po’ «differente» da quello occidentale. Può esistere solo il Partito comunista, però bisogna sottolineare che alle elezioni locali sono ammessi candidati indipendenti. Resta il piccolo problema che chi si presenta come indipendente viene arrestato, ma non bisogna fossilizzarsi su simili quisquilie. Basta iscriversi al Partito comunista e meritare di salire la gerarchia. Xi Jinping è un perfetto esempio: dopo la Rivoluzione culturale, per essere ammesso al Partito ha solo dovuto denunciare pubblicamente tre volte suo padre, Xi Zhongxun, generale rivoluzionario purgato per futili motivi. La vicenda fu così dolorosa che la sorella si impiccò, ma si tratta di effetti collaterali della meritocrazia.

Se il famoso scrittore cinese espatriato negli Stati Uniti, Qiu Xiaolong, sottolinea alla Stampa che i cinesi «criticano apertamente il governo per i suoi errori e per aver tenuto nascosto l’insorgere dei primi allarmi» del coronavirus, aggiungendo che «la delusione della gente nei confronti del sistema politico a partito unico lascerà una traccia», Diliberto non si scompone e ribadisce: «Io resto comunista, certamente!».

ESISTE UN VACCINO AL COMUNISTAVIRUS

E pazienza se in 70 anni di Repubblica popolare cinese sono morte a causa del regime, volendo citare solo i numeri più conservativi, 40-50 milioni di persone. È il prezzo da pagare per diventare «grandi ed efficienti». Xi Jinping e Mao Zedong prima di lui non sono mica come un George W. Bush qualunque che aveva «le mani sporche di sangue». Xi soprattutto ripete spesso alcune massime di Deng Xiaoping, che ordinò la strage di Piazza Tienanmen. Ma quei giovani studenti se la sono cercata: invocavano libertà fondamentali e la fine della corruzione. Forse non si erano accorti che «la Cina è un modello di democrazia differente», dove «si seleziona la classe dirigente applicando il merito». Come osavano protestare?

Da anni è stato scoperto il vaccino al comunistavirus, eppure è ancora diffuso in molti ambienti in Italia, che hanno saputo sviluppare un’incredibile resistenza. Il vaccino infatti ha un problema: non basta da solo a guarire i malati, ma richiede che il soggetto che lo assume sia già dotato di onestà intellettuale. Diliberto purtroppo pare esserne sprovvisto e anche lo stipendio da docente di Diritto romano a Wuhan, probabilmente, non aiuta.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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