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Di Federico: «Giudici e pm parte della stessa “famiglia”. Ecco perché promuovo i referendum sulla giustizia»

Intervista a una delle massime autorità del Diritto in Italia: «L'azione penale è usata dai pm come scudo per fare carriera e liberarsi da ogni responsabilità»

Chiara Rizzo
19/09/2013 - 4:40
Interni
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Giuseppe Di Federico, associato (ed ex presidente) dell’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del Cnr, docente all’università di Bologna, ex membro del Csm e componente oggi della commissione dei saggi voluti dal premier Enrico Letta, una delle massime autorità in materia di diritto, non ha dubbi: «Giudici e pubblici ministeri in Italia sono contigui, si sentono parte della medesima “famiglia” e così l’azione penale è usata spesso come mezzo di carriera, e la terzietà del giudice è minacciata. Ecco perché sono tra i promotori dei referendum sulla giustizia» dice a tempi.it.

Perché è così importante la separazione delle carriere tra giudici e pm?
Perché chi è giudice terzo non deve essere collega di altre parti. Abbiamo condotto una ricerca per l’università di Bologna e l’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del Cnr, intervistando 4500 avvocati, gli ultimi mille nel 2013 con dati che ancora non abbiamo reso pubblici: ci hanno testimoniato tutti questa vicinanza tra giudici e pm. Il fatto di essere colleghi o di appartenere alla stessa carriera crea un tipo di solidarietà tale per cui il controllo che il giudice dovrebbe esercitare sul pm, sia in fase preliminare sia processuale, è debole. Il giudice, secondo l’indagine, tenderebbe a privilegiare sempre le istanze del pm, e non ascoltare le difese, cioè il cittadino. Moltissimi avvocati sostengono che giudici e pm parlano dei casi al di fuori delle sedi ufficiali. È chiaro che non bastano i referendum per risolvere un problema del genere, ma questo referendum serve a creare l’impossibilità di passare dalla carriera di giudice a pm, e viceversa. È un problema di sostanza, che si unisce al fatto che il giudice o il pm di fatto non riportano alcuna responsabilità per ciò che fanno.

E perché è importante introdurre la responsabilità civile per i giudici o per i pm?
Responsabilizzazione dell’attività di un pm significa, per esempio, rendere impossibile che un pm inizi un’indagine utilizzando le forze dell’ordine contro un cittadino e poi, se in un secondo momento si scoprisse che questi è innocente, il pm si possa difendere invocando l’obbligatorietà dell’azione penale e sostenendo che con il dubbio non avrebbe potuto agire diversamente.

La responsabilità civile dei magistrati fu votata dalla stragrande maggioranza degli italiani nel “referendum Tortora”. Poi venne introdotta, di conseguenza, la legge Vassalli. Non la stupisce che per quella legge, dal 1988 ad oggi, solo quattro giudici siano stati condannati alla responsabilità civile?
Non mi stupisce. Chi ha scritto la legge che ha cercato di rispondere a quel referendum? Altri magistrati, che hanno fatto una legge che li rende meno responsabili di prima. Quella dei magistrati è una categoria svincolata da tutto il resto. Questi signori fanno un concorso tra i 26 e i 28 anni, dopo di che proseguono l’intero arco della carriera senza alcuna sostanziale verifica professionale. Un esempio pratico? I pm del caso Tortora e i giudici che lo condannarono in primo grado fecero tutti carriera. Dietro la responsabilità civile c’è un quesito agli italiani: voi vorreste che queste persone fossero valutate, nel momento in cui decidono di mettere un povero Cristo sotto la spada di Damocle dell’azione penale, che produce conseguenze devastanti sotto il profilo umano, professionale, sanitario, familiare? Questa è la vera domanda da porsi. Se vogliamo essere diversi dagli altri paesi o no, se vogliamo evitare che i pm usino lo strumento dell’azione penale anche per fare carriera. È un problema di responsabilità, per questo introduciamo anche il quesito sulla responsabilità civile.

Molti magistrati sostengono che, se ci fosse il principio della responsabilità civile, si sentirebbero condizionati nella loro azione. È così?
Questa preoccupazione è giusta. Ma, secondo me, i magistrati la usano in termini molto strumentali. Una persona professionalmente attrezzata non si fa condizionare dalla responsabilità civile, anche perché sarebbe comunque fortemente garantito. Alla fine, chi giudicherà della responsabilità civile di un giudice? I suoi colleghi: crediamo davvero che si accanirebbero contro di lui? La paura che sia minacciata l’indipendenza può colpire solo il magistrato professionalmente poco solido, che sa di non aver valori forti per sopravvivere.

Tags: bolognaCnrCsmgiudicigiuseppe di federicopmreferendum
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