
Dalla persecuzione del cardinale Pell un monito per il civile Occidente

Articolo tratto dal numero di maggio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
«Il giudice deve essere molto, molto coraggioso per andare contro un giudizio “così popolare”, fatto apposta, preparato. È il caso di Pilato: vide chiaramente che Gesù era innocente, ma vide il popolo, se ne lavò le mani (…). È un modo di fare giurisprudenza. Anche oggi, (…) in alcuni paesi, quando si vuole (…) “far fuori” qualche politico perché non vada alle elezioni, si fa questo: notizie false, calunnie, poi si affida a un giudice di quelli ai quali piace creare giurisprudenza con questo positivismo “situazionalista” che è alla moda, e poi condanna. È un linciaggio sociale. (…) Il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio che crea un’opinione. (…) Il Signore ci aiuti a essere giusti nei nostri giudizi, a non incominciare o seguire questa condanna massiccia che il chiacchiericcio provoca».
Sono le parole che il Papa ha pronunciato il 28 aprile a Santa Marta. Fra le persone che più strettamente negli ultimi anni hanno collaborato con lui ve ne è una cui esse appaiono particolarmente adeguate: il cardinale George Pell. Egli non ha subito il martirio del sangue come tanti, a causa della fede, in terre di persecuzioni, ma ha patito oltre 13 mesi di detenzione in un carcere di massima sicurezza in una nazione democratica e civile come l’Australia. Non è stato condannato con verdetti sommari da giudici farlocchi dipendenti da regimi totalitari, ma è stato per due volte dichiarato colpevole da corti aduse al common law, e quindi al rispetto del contraddittorio e del principio di innocenza in presenza di ragionevole dubbio. Ha dovuto attendere, quasi 79enne, l’Alta Corte per vedersi finalmente riconosciuto innocente. E come ha scritto Mauro Ronco, «non è che il cardinale Pell sia innocente perché l’Alta Corte lo ha prosciolto; è innocente perché non ha mai commesso gli abusi che gli erano stati ingiustamente addebitati e perché nessuna prova logicamente valida era stata formata contro di lui».
Non è detto che la storia sia finita: da indiscrezioni dei media britannici, di cui ha dato conto proprio questa testata, sarebbe stato aperto un nuovo procedimento nei suoi confronti.
Siamo abituati a ritenere che l’odio alla fede si manifesti nelle zone controllate dalla sharia, o da quel che resta del comunismo, e peraltro come occidentali non ce ne curiamo più di tanto. Ogni tanto capita poi di scoprire che esiste una forma di persecuzione che passa dalle vie amministrativa o giudiziaria. Ne sono dimostrazioni recenti le indagini o gli arresti o le condanne per pretese violazioni di norme antiomofobia nei confronti di semplici manifestanti pro family (a Parigi) o di impiegati dell’anagrafe (negli Stati Uniti e nel Regno Unito), licenziati per aver rifiutato l’iscrizione come coniugi di persone dello stesso sesso, o perfino di un cardinale, come il compianto Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, reo di non aver posto sullo stesso piano la relazione omosessuale e quella fra persone di sesso diverso.
La morale di un incubo
Quel che connota il caso Pell è che per colpirlo una giurisdizione di impronta anglosassone ha dovuto, nei primi due gradi, distorcere i fondamenti di quella tradizione giuridica: dal criterio di attendibilità dei testimoni (dando credito a una sola contraddittoria deposizione risalente a decenni addietro) all’assenza di riscontri obiettivi, dalla violazione delle più elementari regole di ricostruzione del fatto, con la evidente materiale impossibilità per l’imputato di realizzare le condotte contestategli in una sagrestia, dopo una celebrazione, senza che nessuno possa aver visto nulla, alla presenza di numerose testimonianze a favore.
Sono plurime le lezioni da trarre da questa vicenda, a cominciare dall’esemplare comportamento del cardinale, che ha lasciato Roma per andare incontro all’arresto e al processo, restando così a lungo ingiustamente detenuto, senza protestare alcunché se non la propria non colpevolezza. Quel che dovrebbe interessare chiunque è che negare posto alla ricerca della verità nella giustizia per inseguire sospetti infamanti e pregiudizi ideologici, insieme con la persecuzione di uno o più innocenti, è una sconfitta per l’ordinamento al cui interno ciò avviene. Le cui pronunce, invece di riaffermare un diritto violato, finiscono per coincidere con indecorosi e vili “chiacchiericci”.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!