Da “esterno” vi dico: non sciupate la battaglia comune di Francesco e Benedetto per il senso delle cose
Certe sfrenate campagne intraprese dal quartier generale nichilista di Largo Fochetti non possono non indurre chi non ne condivide la protervia a difendere gli aggrediti. Date un occhio alla Repubblica del 24 gennaio: una scomunica (addirittura dal “punto di vista” del Vaticano) al cardinale Angelo Scola perché sceglie un comitato d’indirizzo dell’Istituto Toniolo composto da personalità, compreso Gianni Letta, lontane dalle amate derive nichilistiche, un selvaggio attacco a chi protesta contro gli aspetti liberticidi della cosiddetta legge sull’omofobia (compreso il povero Carlo Giovanardi nonostante si sia distanziato da Berlusconi). Infine una difesa tous azimuts della marijuana, che “fa meno male del vino”. Peraltro non ricordo alcuno dei molti miei amici che si sono fatti una canna che non amasse anche forti bevute.
È evidente dall’intensità delle accuse come la guerra “repubblicona” non preveda prigionieri. Non si analizzano posizioni divergenti per comprenderne le ragioni, criticarle e magari recuperarne elementi. Si spara sui nemici “nuovi crociati”, “antagonisti del Papa”, “alleati dei beoni contro la creatività”. È proprio la voglia di annichilimento dell’altro, la pretesa dell’omologazione integrale, che spingono anche chi mantiene i suoi bei dubbi, chi è preoccupato di certi toni sulle questioni dell’omofobia perché si percorrono terreni delicati per la libertà, chi ha interesse alle posizioni di don Gino Rigoldi su pene alternative per il piccolo spaccio di marijuana, chi segue da fuori e con naturale distacco le inevitabili discussioni nella Chiesa, a mobilitarsi in soccorso delle “vittime”.
Peraltro la posta in gioco non è solo la polemica politico-giornalistica. L’attenzione di un grande filosofo erede della tradizione critica della Scuola di Francoforte, Jürgen Habermas, per le posizioni di Joseph Ratzinger sull’esigenza di ridare senso, partendo dalla razionalità classica alleata alla cristiana, al mondo contemporaneo fa ben intendere la qualità dei problemi in discussione.
Nel discorso al Bundestag del 2011 Benedetto XVI ha spiegato come il lungo percorso dalla Riforma alla Rivoluzione francese fino all’estrema secolarizzazione del XX secolo, sia stato portatore di grandi conquiste conoscitive e diritti civili ma abbia lasciato irrisolti problemi di senso del percorso umano, provocando così nelle fasi di crisi – come è accaduto solo pochi decenni fa – esiti terrificanti. Oggi, poi, le spinte alla disgregazione non hanno neanche più i binari pur tragici dati dallo scontro tra comunismo e democrazie liberali, e sono alimentate da processi impetuosi (finanziarizzazione, globalizzazione, informatizzazione, tecnicizzazione, erotizzazione insieme dell’economia e della vita) che rendono ardua ogni guida affidata alla pura ragione scientifica: persino l’Economist scrive sulla complessità di assorbire la disoccupazione di tipo nuovo in tempi ragionevoli.
Va bene resistere, ma occorre anche proporre
«E i tuoi bandi io non credei che tanta forza avessero da far sí che le leggi dei Celesti, non scritte, ed incrollabili, potesse soverchiare un mortale: ché non adesso furon sancite, o ieri. Eterne vivono esse; e niuno conosce il dí che nacquero», dice Antigone (traduzione Romagnoli) a Creonte nella tragedia di Sofocle, che con la ricerca della saggezza di Socrate, l’amore di Platone e il bene comune di Aristotele rappresenta la ragione classica che s’incontrerà con il pensiero cristiano costituendo il vero patrimonio genetico di noi occidentali. Un sapere puramente positivo, senza poggiare su ciò che «niuno conosce il dí che nacque», non basta a vivere bene, e ciò non solo quando la vita è semplice ma anche (e di più) quando diventa complessa: quando parole come vita, famiglia, amore, figli, educazione, valore del lavoro, carità, dignità devono rapidamente ritrovare il loro senso profondo pena la disgregazione.
Da esterno al mondo della Chiesa cattolica faccio fatica a capire certe irritazioni conservatrici verso papa Francesco che mi pare chieda essenzialmente di combattere la battaglia per i valori che con Benedetto XVI ha ribadito nella Lumen fidei, con più apertura (magari con anche un po’ di gesuitica onesta dissimulazione) e soprattutto il massimo di compassione. Ottimo viatico per chi ritiene necessario proseguire sui temi che danno senso all’esistenza con uno spirito accorato, di riaggregazione e non usandoli per minori scopi temporali.
In questo senso lo scontro tra accelerazioni di una secolarizzazione che disprezza ogni limite anche laico suggerito dalla morale naturale e la difesa laica e religiosa delle radici di una civiltà, deve acquisire maggiore spessore culturale e passione civile, non rinchiudersi in confini solo identitari e tanto meno diventare base per poterini personali. Richiede innanzitutto di non limitarsi soltanto a resistere alla disgregazione nichilistica, ma proporre invece positivamente modelli di vita buona. Contro l’alcolismo fecero più nel primo Novecento le leghe socialiste di qualsiasi tassa o legge.
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2 commenti
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carissimo festa, mi sembra che quel ”chi sono io per giudicare ” abbia compromesso molte cose. con l’aggravante che le uniche persone finora colpite dal nuovo corso della chiesa sono un gruppo di fraticelli e suore tradizionalisti, alla faccia della misericordia e della compassione. se quelli erano un pericolo per la chiesa…..
Anch’io sono tradizionalista ma che cosa c’è di più tradizionalmente cristiano della misericordia?