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A Cuba il comunismo ha tolto alla gente anche il pane appena sfornato

Si moltiplicano le denunce di sacerdoti cattolici dell'isola contro il regime che affama il popolo. «Perché Dio ha permesso tutto questo?»

Paolo Manzo
28/08/2022 - 6:24
Esteri
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Cuba padre Kenny pane
La foto postata su Facebook da Padre Kenny Fernández Delgado per denunciare la mancanza di pane fresco a Cuba

Alzano la voce i giovani preti cubani, una nuova generazione di sacerdoti che, l’11 luglio del 2021, si erano schierati al fianco delle migliaia di manifestanti scesi nelle strade dell’Avana e di tutte le principali città dell’isola caraibica per chiedere “libertà e democrazia”, ricevendo in cambio bastonate, minacce e in migliaia di casi il carcere e dure condanne. Il 37enne Padre Kenny Fernández Delgado, che gestisce la parrocchia di Madruga, nella provincia di Mayabeque, nella zona occidentale dell’isola, quella più povera, è uno di questi “preti coraggio” al pari dei sacerdoti Jorge Luis Gil, Castor José Álvarez Devesa, Alberto Reyes Pías, Rolando Montes de Oca, Lester Zayas, Eduardo Llorens, Jorge Luis Pérez Soto e molti altri membri della comunità religiosa cubana, come la superiore delle Figlie della Carità a Cuba, Nadieska Almedia Miguel.

«Il comunismo mi ha portato via anche il pane»

«Oggi a colazione ho potuto mangiare solo pane raffermo che ho portato dall’Avana diversi giorni fa, ricavato dal mio libretto annonario all’Avana, perché nella capitale danno più prodotti che a Mayabeque. Non posso mangiare pane appena sfornato perché il comunismo mi ha portato via anche il pane “liberato”. Perché nella mia amata terra cubana non ci sono solo più di 1.000 prigionieri di coscienza. Già anche il pane “liberato” è stato fatto prigioniero», ha denunciato sul suo account Facebook padre Kenny, alludendo all’eliminazione, praticamente in tutta Cuba, della libera vendita del pane in moneta nazionale negli stabilimenti statali ed accompagnando il suo post con l’immagine della sua misera colazione.

Poi ha continuato, descrivendo bene il risultato di 63 anni di dittatura: «Il comunismo ha preso la mia carne bovina da prima che io nascessi. Mi ha portato via il latte quando avevo 7 anni (quello che vedete nella foto mi è stato regalato da un’anima generosa). E ora, a 37 anni, anche il pane mi è stato portato via. Cos’altro mi sottrarranno? Ebbene, toglietemi tutto e basta, come hanno fatto con Gesù Cristo il venerdì santo, perché così almeno saprò che la domenica la della Pasqua di resurrezione è più vicina. #Preghiamo per #Cuba».

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Criticare il regime a Cuba è pericoloso

Esprimersi pubblicamente contro il regime, anche per i preti, non è facile a Cuba ma le minacce e le persecuzioni, che di certo arriveranno anche dopo questo post, non spaventano padre Kenny, una delle poche persone riuscite a manifestare lo scorso 15 novembre, il giorno della frustrata Marcia Civica per il Cambiamento, camminando per Madruga e regalando fiori bianchi e benedizioni al suo passaggio. Per quella marcia pacifica è stato molestato da parte della Sicurezza dello Stato. «Il 15 novembre ho verificato ancora una volta che il problema a Cuba non è tanto il governo e la repressione dei dittatori, ma la paura che abbiamo nei loro confronti e la grave mancanza di solidarietà con i prigionieri politici pacifici», aveva poi denunciato, lui stesso, sempre su Facebook.

«Perché Dio ha permesso che questa dittatura durasse più di 63 anni, distruggendo i sogni di diverse generazioni?», si chiede invece Alberto Reyes Pías, altro prete coraggioso di Camagüeyan che ha pubblicato anche lui su Facebook un messaggio implacabile sulla situazione nell’isola. «Perché Dio ha permesso che il comunismo arrivasse nella più prospera delle isole dei Caraibi?», si interroga, esplorando poi le cause della «profonda sofferenza» che il popolo cubano ha vissuto negli ultimi decenni, a cui attribuisce una spiegazione trascendentale: non è una «sofferenza inutile» ma piuttosto un’opportunità per i cubani di «capire qualcosa», «crescere» e far sì che la tua vita «sia diversa». 

Il regime a Cuba «ci tratta come animali domestici»

«Perché Dio ha permesso non solo che si perdesse la nostra libertà, ma che questa dittatura sia durata più di 63 anni, distruggendo i sogni di diverse generazioni?», continua il pastore, facendo riferimento alle «persone di valore che sono fuggite e hanno abbandonato la loro terra, anche morendo nel tentativo», mentre la vita quotidiana di coloro che rimangono a Cuba è diventata una «prova di precarietà, di angoscia esistenziale, di schiacciante bisogno».

Don Alberto allude anche alle proteste scoppiate a Cuba l’11 luglio del 2021, comprese le recenti manifestazioni a Nuevitas, nella provincia di Camagüey, dove Reyes è nato e fa il suo lavoro pastorale. Le proteste si sono concluse con «una repressione così brutale e sadicamente sistematica», dice il sacerdote, che può portare alla «falsa sensazione che questa oppressione sia inamovibile». «Il peggior errore della nostra storia», continua nella sua analisi, è stato l’atteggiamento di molti cubani all’inizio della Rivoluzione del 1959, quando «l’immagine del Sacro Cuore fu sostituita da quella dei capi con la falce e martello», alludendo alla ferrea campagna atea che spazzò via i simboli religiosi e culturali sull’isola dopo l’arrivo al potere del castrismo.

Padre Reyes assicura infine che «quando diventiamo dignitosi e dopo averci picchiati ci danno pollo e shampoo, ci trattano come animali domestici che devono essere calmati in modo che obbediscano».

Tags: castrocomunismo cubacuba
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