La preghiera del mattino

Se basta un inverno freddo per smantellare la retorica green di Bruxelles

Di Lodovico Festa
21 Dicembre 2021
Rassegna ragionata dal web su: la crisi energetica, la vera agenda Draghi tra Palazzo Chigi e Quirinale, la triste sorte della Cgil di Landini e molto altro ancora
Centrale a carbone
La centrale a carbone di Datteln, Germania (foto Ansa)

Su Atlantico quotidiano Federico Punzi scrive: «Nemmeno un velo di inquietudine dal presidente Mattarella per un Parlamento divenuto un orpello». Se non ci fossero opinionisti come Punzi, bisognerebbe inventarseli: una società è aperta solo se c’è confronto tra opinioni discordanti, per così dire: extra melassa. Poi c’è naturalmente il merito delle “opinioni” e mentre è ragionevole riflettere sulla difficoltà che Sergio Mattarella ha avuto, innanzi tutto nella fase prepandemia (poi magari ci sono state scusanti), nel difendere il ruolo del Parlamento, non mi sembra invece del tutto convincente semplificare le forme con le quali si contrasta una pandemia che è questione non solo sanitaria ma di difesa delle possibilità di ripresa dello sviluppo.

Su First online Maria Teresa Scorzoni scrive: «Borse in rosso in Europa, al termine di una seduta tutta negativa, che nel finale ha fatto qualche piccolo passo avanti». Soprattutto i liberali che considerano il mercato uno strumento essenziale di difesa della libertà delle persone, dovrebbero avere consapevolezza dell’intreccio che i mercati colgono tra lotta alla pandemia e fiducia nella ripresa.

Sugli Stati Generali Paolo Manfredi scrive: «L’agenda Draghi è Draghi e solo Draghi. Non, ripeto, per quello che fa, ma per quello che assomma, rappresenta e tiene in equilibrio. Le azioni del governo sono state in questi mesi all’insegna del “fare quello che si deve fare” e che, soprattutto, si sapeva chiaramente di dovere fare». Sarà un po’ brusco nei toni questo opinionista degli Stati Genrali, peraltro – credo – di sinistra, ma inquadra bene la realtà di oggi: Draghi sa di essere un tecnico e che per affrontare questioni più complesse serve la politica, il suo mestiere è scegliere le questioni terribilmente “semplici” ma drammatiche di fronte a noi e affrontarle con decisione. Poi il suo impiego migliore sarebbe quello di “garante” (dal Quirinale) delle relazioni internazionali e della sorveglianza della razionalità economica delle scelte italiane, ridando ai partiti la loro funzione negli indirizzi politici nazionali.

Su Fanpage Anna Giraldi riporta queste parole di Sergio Mattarella: «Le poche eccezioni, alle quali è stato forse dato uno sproporzionato risalto mediatico, non scalfiscono in alcun modo l’esemplare condotta della quasi totalità degli italiani». Il presidente della Repubblica ha pienamente ragione sulla sostanza: la principale difesa contro le conseguenze più gravi del Covid-19 è il vaccino, il vaccino, il vaccino. Magari, però, sarebbe meglio non usare l’argomento: “Taci, il virus ti ascolta”.

Su Scenari economici Leoniero Dertona scrive: «Gli errori, od orrori, delle politiche energetiche europee stanno venendo al pettine ed è un disastro colossale. La crisi energetica europea è peggiorata lunedì con l’inizio dell’inverno nell’emisfero settentrionale. Il clima più freddo ha afflitto parti dell’Europa andata sottozero, mettendo a dura prova le reti elettriche già alle prese con fonti di energia verde inaffidabili (come la bassa produzione di energia eolica) e interruzioni delle centrali nucleari in Francia». Come molti opinionisti non sempre convinti della costante bontà delle scelte di Bruxelles, Dertona tende a essere un po’ tranchant: magari, però, anche questi approcci bruschi potrebbero aiutare a capire se è meglio confrontarsi con la durezza dei problemi in ballo o lasciarli ben nascosti sotto la coltre di una retorica melassosa.

Sul Sussidiario Antonio Pilati dice: «Possiamo permetterci una campagna elettorale di 400 giorni con un parlamento delegittimato, una crisi economica e un’emergenza sanitaria da fronteggiare? […] Questa legislatura ha modificato la Costituzione stabilendo un numero di parlamentari diverso da quello attuale. Ha dato vita a tre maggioranze, di cui due diametralmente opposte con lo stesso presidente del Consiglio; è stata guidata da capi di governo che non siedono in parlamento; oltre un terzo dei parlamentari ha cambiato sigla politica; il primo partito si sta dissolvendo». Come spiegare meglio lo stato di cose presenti?

Su Huffington Post Italia Roberto Arditti spiega: «Pur di malavoglia, ai due conviene trovare un accordo, ogni scenario alternativo è di certo peggiore (per loro)». Un utile consiglio a Giorgia Meloni e Matteo Salvini per smettere di comportarsi come i polli di Renzo e per non diventare, nemmeno, i polli di Renzi.

Su Startmag Francesco Damato sfruculia con magnifica perfidia Marco Travaglio sugli «effetti più immediati temuti dal giornale di Travaglio con un richiamo di prima pagina sistemato quasi in apertura: “Crisi gestita dai forzisti Brunetta&Casellati”». Il forcaiolo direttore del Fatto quotidiano si sta accorgendo che il premio del Superenalotto che lui, Beppe Grillo e Piercamillo Davigo hanno vinto nel 2018 facendo prendere ai 5 stelle il 32 per cento era una fogna in cui i vincitori stanno annegando.

Su Dagospia si riporta questa frase di Maurizio Landini: «L’ultimo sciopero generale l’abbiamo fatto per il Jobs Act. Bisognerebbe imparare dagli errori, oggi a distanza di anni siamo messi peggio, con meno precarietà e diritti». Che triste sorte quella della Cgil, un tempo si vantavano le conquiste, le vittorie delle lotte. Oggi si ricordano con nostalgia le sconfitte e si cerca di ripeterle.

Su Byoblu un articolo con questo titolo: “Perché ‘credere’ nella scienza non è scientifico”. Mentre “credere” nella magia, è magico?

Su Formiche William Wechsler, direttore del Rafik Hariri Center dell’Atlantic Council, dice: «Le elezioni sono il risultato, non la causa della stabilità». Questo vale per una società tribale come quella libica, per l’Italia (come per l’Olanda, la Spagna, la Gran Bretagna, Israele e così via citando Stati che non temono di sciogliere il parlamento quando è necessario rinvigorirlo nei rapporti con il popolo sovrano) vale il contrario.

Su Dagospia si scrive: «Chi si rivede, le province. Ferite ma non morte, e vogliose di risplendere come un tempo. Ieri s’è votato per eleggere 31 presidenti di provincia e rinnovare 71 consigli provinciali, con il sistema elettorale di secondo livello, e hanno votato 68.499 sindaci e consiglieri comunali di oltre 5.500 comuni». Le istituzioni italiane sembrano sempre più seguire la sceneggiatura di un’opera di George Romero, il regista del celebre film La notte dei morti viventi.

Su Formiche Corrado Ocone scrive: «L’Italia non ha la forza per esercitare quella sovranità che le spetta in punta di diritto. E non per colpa altrui, ma soprattutto propria, per il debito accumulato in passato e per la scarsa produttività e crescita degli ultimi decenni». Ho una stima grandissima per l’opinionista che qui cito e il suo invito a comportarsi con realismo machiavelliano senza inseguire soluzioni chimeriche, è preziosissimo. Sulla radice dei nostri guai la nostra stagnazione ha incrinato la nostra sovranità o viceversa, ho però un dubbio: viene prima l’uovo o l’ocona?

Su Huffington Post Italia Ubaldo Villani-Lubelli scrive che «la vittoria di Merz rappresenta un’evidente discontinuità rispetto alle ultime presidenze della Cdu, tutte in qualche modo legate ad Angela Merkel. Merz, infatti, non è stato soltanto uno storico rivale della ex cancelliera nella fase iniziale della sua carriera politica, ma rappresenta posizioni molto più conservatrici rispetto al corso centrista di Angela Merkel». In qualche misura può annunciare un confronto politico nell’Unione Europea meno retorico e consociativo tra conservatori e socialisti-ecologisti. E con Merz vi sarà anche una nuova attenzione agli Stati Uniti rispetto ai cedimenti pro-cinesi della Merkel.

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