Così Giussani spiega perché pensiamo quello che pensiamo
La pandemia ha prodotto fiumi d’inchiostro sui pericoli della biologia animale e umana e, sempre più, sulle domande e i timori conseguenti a riguardo della sofferenza, della morte e del senso della vita, della sua verità e di Dio. Ha risollevato la questione religiosa, annegata nella scristianizzazione dilagante e nel crollo mondiale delle diverse fedi, documentato da indagini riportate anche qui: si veda in Tempi di settembre 2020 il commento all’articolo di Ronald Inglehart su Foreign Affairs, dal titolo “Giving up on God. The Global Decline of Religion”. Secondo l’articolo, il declino della religiosità è diventato vertiginoso negli ultimi 15 anni, a seguito dell’accelerazione del progresso economico e tecnologico e, soprattutto, della libertà sessuale.
In realtà, come dice Luigi Giussani in una sua conferenza di metà degli anni Ottanta, trasferita in un piccolo libro dal titolo La coscienza religiosa nell’uomo moderno, i problemi sono cominciati molto prima e molto più in profondità. Il libretto offre un percorso chiaro, sostenuto da citazioni potenti di grandi personaggi, in particolare della letteratura. Per me è un contributo decisivo al giudizio sull’attuale condizione umana, sul suo dramma e su una proposta coraggiosa di ripresa cristiana. Giussani segue la traccia invertita delle due domande fondamentali poste da Thomas Stearns Eliot nei suoi Cori da “La Rocca”, poema teatrale composto nel 1934, su commissione, allo scopo di raccogliere fondi per la costruzione di una parrocchia nei sobborghi di Londra. Le citazioni di Eliot e di Giussani sono contrassegnate rispettivamente da [E] e da [G].
Dal culto di Dio a quello del Divo
«È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?» [E]. Nel cosmo «deserto e vuoto» [E], l’uomo è affermazione positiva perché è l’unica espressione di consapevole ricerca del significato. «Tra il polo dell’effimero e quello del destino scatta la scintilla della religiosità» [G]. La rivelazione, Dio che è entrato nella storia, è il «fatto anomalo» [E], rifiutando il quale rimane «la strumentalizzazione vicendevole fra gli uomini» [G]. Così, mentre nel Medioevo «il santo (era percepito) come immagine esemplare della personalità umana… unità di sé con il proprio destino» [G], nell’Umanesimo (XIV-XV secolo) cominciò a prevalere «l’ideale della riuscita umana… Non importa in quale campo, ma occorre che la vita riesca» [G]. La riuscita è ripresa dal concetto cristiano di merito che esprime «la proporzione dei gesti che uno compie nei confronti dell’Eterno» [G], ovvero l’appartenenza a Dio. Tuttavia nella riuscita moderna «al Dio si sostituisce il Divo» [G], che appartiene a se stesso. «Ogni errore è una verità impazzita» (Chesterton).
Nel successivo Rinascimento (XV-XVI secolo), al posto del Dio eclissato, viene valorizzata la natura (panteismo) come fonte dell’energia. «Il bene diventa l’istinto» [G]; «fa’ ciò che vuoi perché per natura l’uomo è spinto ad atti virtuosi» (Rabelais). Questa tensione è riconosciuta anche dalla Chiesa, che tuttavia non dimentica la fragilità umana derivante dal peccato originale. Ne erano coscienti anche gli autori classici: «Vedo ciò che è meglio e faccio il peggio» (Ovidio). Nel nostro tempo è esemplificativo l’atteggiamento nei confronti della sessualità, contraddittoriamente intriso di naturalismo: l’amore giustifica tutto, ma nello stesso tempo è percepito come pericoloso, secondo le manifestazioni del “Me too” e l’amplificazione dello scandalo sessuale.
La sindrome dell’ottimismo
Oggi, «l’uomo è padrone del suo destino» [G]. Dio è subdolamente eliminato. «Dio, se c’è, non centra», diceva Cornelio Fabro, per cui il «laicismo è la professione della appartenenza dell’uomo a se stesso e basta». Le conseguenze non sono da poco:
a) riduzione del concetto di ragione a «misura di tutte le cose» [G], quindi negazione della «categoria della possibilità» [G] – la ragione è come una stanza chiusa e non finestra aperta sull’esistente;
b) riduzione della libertà ad abbandono all’istinto e non adesione all’essere;
c) riduzione della coscienza alla sua autonomia da tutto;
d) riduzione della cultura ad “avere” l’uso di scienza e tecnica per possedere la realtà e non “essere”, ovvero cammino verso la realizzazione di sé.
Nonostante la difficoltà, la fragilità e l’incompiutezza delle imprese della vita, persiste una irrazionale «sindrome dell’ottimismo» [G]. «La velocità dell’evoluzione… documenta l’immensa capacità di perfezione latente nella natura umana. Forse questi diciannove secoli di influsso cristiano sono stati un lungo preliminare periodo di crescita e ora il fine e il frutto sono quasi a portata di mano». Così diceva il teologo protestante americano Walter Rauschenbusch nel 1907. Poi sono venute due guerre mondiali, il nazismo, il comunismo, la Shoah, la guerra permanente «a pezzi» come dice papa Francesco e, adesso, una pandemia, che come quelle passate, non è affatto facile da vincere.
Il crollo degli ideali
«La ragione-misura-di-tutte-le-cose ha portato l’uomo alla paura di perdere non solo la propria vita, ma anche la propria umanità… L’uomo di oggi capisce i valori che gli vengono dal cristianesimo, ma non riesce a credere e ciò lo rende terribilmente incompiuto» [G]. «Non c’è ideale al quale possiamo sacrificarci, perché di tutti noi conosciamo le menzogne, noi che non sappiamo cosa sia la verità» (Malraux). «Può tutta la volontà di un uomo ottenere un filo solo di salvezza?« (Ibsen). «Ho un centro di gravità… ma non c’è più il corpo relativo» (Kafka). «L’uomo che si constata incapace di realizzare se stesso cade, a partire da un ottimismo a oltranza, in un pessimismo profondo… e così gli dei di Eliot – usura, lussuria e potere – diventano attivi dominatori dell’uomo» [G].
Conseguenze:
a) «il pericolo maggiore non è una catastrofe esterna, ma la perdita del gusto di vivere» (Teilhard de Chardin) – affermazione che si applica benissimo agli allarmi sui giovani di oggi;
b) la fede nell’ideologia, per cui «essi cercano sempre di evadere dal buio esterno e interiore, sognando sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono» [E] – si veda la confusione e l’infantilismo dei movimenti politici recentemente nati in Italia e non solo;
c) La «distruzione dell’utilità del tempo… Solo se c’è un destino, l’istante ha corposità, è valore, funzione di qualcosa» [G];
d) la solitudine, «là dove non c’è tempio non ci sono rapporti» [E];
e) il volontarismo esasperato e impotente;
f) lo Stato fonte di tutto, «si è riusciti a far capire all’uomo che se vive è solo per grazia dei potenti. Pensi dunque a bere il caffè e a dar la caccia alle farfalle. Chi ama la res pubblica avrà la mano mozzata» (Milosz) – si veda, per esempio il diffuso e crescente astensionismo dal voto e dalle responsabilità civili.
Ma, come prega Lagerkvist, «al Dio che non esiste… non c’è nessuno che ode la voce risonante nelle tenebre, ma perché la voce esiste?». «Tutta questa situazione non è frutto di una più seria indagine sull’uomo, ma di un’opzione» [G]. «Il capriccio dell’uomo di fronte all’essere è un odio a sé e al proprio destino» [G], come testimonia il Capaneo dantesco: «In questa irosa volontà di strapparsi alle domande che rimanderebbero a Dio, egli è pieno di livore… odia la propria libertà, la odia mentre la usa… O ci si spalanca, o ci si corruccia… viviamo un momento drammaticamente bello perché, sempre di più, tutto poggia su una nostra scelta». Se in una caverna guardiamo verso il fondo vediamo solo il buio, se ci giriamo vediamo la luce.
Un fatto tra noi
Arriviamo alla seconda domanda di Eliot: o «è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?». La Chiesa si è protestantizzata. Ha favorito «il soggettivismo di fronte al destino come concezione e come prassi: un moralismo accentuato di fronte ai valori esaltati dalla cultura dominante; l’indebolimento dell’unità viva del popolo di Dio, con la sua tradizione e attorno al capo garante che è il vescovo di Roma» [G]. Invece bisogna guardare al cristianesimo non come semplice parola, ma come parola fatta carne, «come fatto oggettivo… Cristo, nato, morto e risorto» [G]. «Perché affannarsi tanto quando è così semplice obbedire?» (Claudel). «L’uomo diventa se stesso, cammina verso la sua realizzazione per una grazia… vivendo dentro quel fatto che è familiare, che è la fraternità degli uomini in Cristo… immanendo e perseverando in una realtà viva… Se uno non nasce dal popolo, se non fiorisce da una realtà sociale naturalmente fondata e organicamente identificata, avrà molta difficoltà» [G] a raggiungere il vero e realizzare se stesso. «Se Dio è un fatto tra noi, è come se ricevessi a casa mia un ospite di grande importanza: la casa resta mia, ma è sua, tutto ruota attorno a lui» [G].
La «caratteristica totalizzante del fatto cristiano non ha nulla a che fare con la tentazione deduttivistica, per cui si vorrebbe fare derivare dal Vangelo una ricetta pronta per ogni particolare della vita. Bensì ogni particolare della vita si trasforma radicalmente» [G], «nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa avvenimento nel suo ambito» (Guardini). La fede così diventa cultura, «coscienza sistematica e critica dell’esperienza umana in sviluppo… La genialità di un soggetto sta nella forza della coscienza di appartenenza». «La presenza del fatto cristiano sta nell’unità dei credenti… Far emergere l’unità dei credenti là dove si trovano è il palesarsi della comunione che avrà come frutto sperimentabile la liberazione… Cristo si attua in noi e tra noi attraverso la nostra compagnia» [G]. «La Chiesa è movimento» (Giovanni Paolo II). «Non è ai fattori storici che si obbedisce; è a Cristo. Ma non si obbedisce a Cristo se non attraverso i fattori storici, plasmati dal suo Fatto. Cristo si attua in noi e tra noi attraverso la nostra compagnia» [G]. La vita è appartenenza.
So di aver fatto un bigino attraverso citazioni. Io le ho imparate a memoria e mi hanno molto aiutato. Spero che inducano anche a leggere l’intero testo e non solo quello. Giussani è una miniera. Questo lo si riconosce, ma si scava poco, poco insieme.
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