Cosa la sinistra non ha mai capito di Trump

Di Marco Invernizzi
13 Gennaio 2021
I numeri che testimoniano che il presidente si occupato molto più dei liberal delle classi disagiate. Lo scrive Limes

Cerchiamo ancora di approfondire quel fenomeno culturale e politico che ha portato 74 milioni di americani a votare per Donald Trump alle recenti elezioni presidenziali, nonostante la campagna internazionale e ovviamente interna agli Usa di sistematica demonizzazione durata per quattro anni, con diversi tentativi di eliminazione per via giudiziaria, con un disprezzo diffuso nelle principali redazioni dei media di tutto il mondo che ha rasentato l’odio, fino all’ultima inaudita decisione di Facebook e Twitter di impedire al Presidente degli Stati Uniti di comunicare con l’opinione pubblica che si serve dei social.

Secondo lo schema che riguarda tutti i diversi populismi, quanto accaduto attiene principalmente al conflitto fra una parte importante di un popolo e le élite al potere che riescono ancora, grazie alla loro influenza finanziaria, mediatica e politica, a “portarsi dietro” l’altra parte importante del popolo.

Da anni, negli Usa ma anche in Europa, il popolo si è diviso sostanzialmente in due “mondi” contrapposti, con un’ampia componente di indecisi o neutrali o comunque disinteressati.

Mi servo di un lungo editoriale di Lucio Caracciolo pubblicato sulla rivista che dirige (Limes. Rivista italiana di geopolitica, 11/2020), molto “pensato” e storicamente articolato, di cui mi servo solo di alcune parti, peraltro importanti per conoscere che cosa sta succedendo negli Stati Uniti e in Occidente di riflesso.

«Di strutturale c’è negli ultimi anni la crisi di autorità delle élite» scrive Caracciolo descrivendo la situazione nord-americana, a causa del «conformismo diffuso dai media all’accademia, dalla finanza alla politica, fino agli apparati visibili o profondi. Correttezza politica intrinsecamente intollerante. Autoritaria perché poco autorevole». Una classe dirigente così screditata ha bisogno di indicare un “nemico” o quantomeno una parte del popolo, colpevole di non comprendere e seguire le indicazioni della stessa élite, e così «rovesciare ogni colpa sui “populisti”. Termine con cui le élite squalificano chi ne rifiuta le ricette».

A questo punto compare Donald Trump, che si inserisce su una base conservatrice che aveva sostenuto precedentemente le battaglie di Ronald Reagan (1911-2004) e George W. Bush, entrando in urto con il partito repubblicano ma alla fine riuscendo a “conquistarlo”.

«Trump» continua Caracciolo, ha catalizzato l’elitismo dei suoi avversari, esasperandolo.

«(…) Settantaquattro milioni di voti per Trump, il perdente più votato della storia americana, si spiegano soprattutto così. Ma anche con il fatto che sotto di lui la paga base della fascia salariale più bassa è cresciuta del 4,5%, il reddito mediano per famiglia salito dai 62.898 dollari del 2016 ai 68.703 del 2019. Mentre strepitava frasi razziste, a differenza di Obama, Trump finanziava college e università storicamente nere (Hbcu). Ed estricava di prigione circa 4 mila neri incarcerati sull’impulso ultrarepressivo del Crime Bill elaborato nel 1994 da tal Joe Biden, allora senatore del Delaware. Nonostante la disastrosa non-gestione trumpiana del Covid-19, questo settembre il 56% degli elettori affermava di stare meglio di quattro anni prima. E nel duello novembrino, rispetto al 2016 Trump raddoppiava i voti neri, a dispetto della retorica del Muro non sprofondava affatto fra gli ispanici e persino i musulmani, bersaglio di velenosi strali e odiosi veti ad religionem, gli regalavano qualche soddisfazione».

Cari amici, sto citando da Limes, non da un qualsiasi giornale a sostegno di Trump (ammesso che ce ne siano). Rileggete bene quei dati e se volete conferme andate a leggere su Limes le fonti, che tralascio per ragioni di spazio, ma sono indicate. Mi permetto una digressione sui “poveri”, il mantra della Sinistra. Quest’ultima non ha mai fatto il bene dei poveri, che significa volere il loro bene, aiutandoli a uscire dalla miseria ma anche ricordando le parole di predilezione che il Vangelo (per chi crede) riserva loro. Però almeno un tempo la Sinistra li rappresentava e nella storia un certo riformismo non rivoluzionario, con il contributo determinante dei cattolici soprattutto dopo la Rerum novarum, ha contribuito a farli uscire dalla povertà, in Europa. Ma adesso la Sinistra non li rappresenta neppure più, negli Usa come in Europa. I dati indicati da Caracciolo confermano quanto si sapeva: i poveri, gli ultimi, coloro che sono esclusi dalle élite benestanti e progressiste, non si riconoscono nella Sinistra e guardano altrove.

Così Caracciolo spiega questo dato di fatto: «Perché la povertà è rimediabile, nel tempo. Pur sempre questione di materia. La stupidità dell’arrogante che ti scruta dall’alto della collina, curando di mantenere la distanza sociale, molto meno. Questione di cuore e di mente, per la quale non esiste vaccino. È l’elitismo a spaccare l’America. Lo snobismo progressista».

Rileggiamo questi dati e riflettiamo. Gli Stati Uniti sono divisi in due, come molti altri paesi occidentali, fra cui il nostro. Da una parte ci sono quelli che dopo il 1968 hanno occupato i posti di responsabilità nella cultura, nell’educazione, nell’editoria, nella finanza. Dall’altra gli esclusi, con diverse impostazioni culturali. I nuovi poveri del XXI secolo, poveri di prospettive soprattutto. Poveri e arrabbiati. Ma proprio per la simpatia che abbiamo nei loro confronti, proprio perché in qualche modo ci identifichiamo con loro, la supplica è che non si lascino consigliare dalla rabbia. La battaglia è lunga e difficile, ci vuole molta pazienza.

Articolo tratto da Alleanza cattolica – Foto Ansa

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