Il Deserto dei Tartari

Contrappunto al “Manifesto dei conservatori”

Di Rodolfo Casadei
02 Giugno 2025
Trascendenza, creato, tecnica.. Qualche osservazione a margine del testo promosso dalle cinque realtà del mondo conservatore
(Foto Ansa)
(Foto Ansa)

Benvenuto il manifesto “Conservatori del futuro” lanciato da cinque realtà del mondo cattolico (Associazione LabOra, Nazione futura, Farefuturo, Alleanza cattolica e Centro studi Livatino), che in tre cartelle giuste giuste di testo sintetizza i temi che stanno a cuore a chi non si accontenta del nichilismo post-moderno, e lo fa appunto in positivo: non denunciando i mali antropologici, sociali, ambientali, politici ed economici che i progressisti hanno prodotto e continuano ad alimentare, ma evidenziando i punti di riferimento (dieci) di chi si impegna a tutti i livelli – personale, culturale, politico – per impedire, come diceva quasi settant’anni fa Albert Camus, che il mondo si disfi: persona, libertà, famiglia, patria, sussidiarietà, identità, Occidente, proprietà, natura, futuro. Ognuno di questi titoli potrebbe essere sviluppato per migliaia di pagine, ed è stato al centro da sempre, cioè da quando esiste la civiltà, di riflessioni filosofiche e lavoro intellettuale, di dibattiti pubblici e scontri politici, di pratiche collettive e di scelte istituzionali.

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Undicesimo punto: trascendenza

Se si può muovere una critica al manifesto, è che si sarebbe dovuto premettere un undicesimo punto, intitolato “Trascendenza”, che non può non essere la base di tutti gli altri. Senza senso della trascendenza non ci sono basi sufficienti per affermare la dignità della persona, la precedenza della società sullo Stato, i limiti del potere politico, il necessario rispetto del Creato, ecc.

Non basta evidenziare, come viene fatto nell’introduzione, “il senso del sacro” come uno dei pilastri su cui edificare il futuro, oltre che difendere – aggiungiamo noi – il presente. Le religioni pagane erano ricolme di senso del sacro, ma non avevano quello della persona, che poteva essere sacrificata, degradata, reificata in nome di interessi collettivi. Il sacro può benissimo coincidere col terribile, o col caos (Hölderlin). Il trascendente invece rimanda alla limitatezza che caratterizza l’umano e i suoi progetti, e quindi previene totalitarismi, fondamentalismi, prometeismi che sfigurano la natura umana e quella di sorella madre terra. 

Manifesto conservatori
Un momento della presentazione a Roma del manifesto “Conservatori del futuro”. Da sinistra: Lorenzo Malagola, Giovanni Orsina, Francesco Giubilei, Luigi Di Gregorio

Custodia del Creato

Nel punto relativo all’ambiente si dice giustamente che la natura è un patrimonio da custodire e tramandare, e non soltanto da sfruttare, e che va ricercato un equilibrio tra tutela della natura e crescita economica.

Andrebbe però spiegato il senso della custodia del Creato, che non è limitato alla preoccupazione di lasciare alle generazioni future delle risorse da sfruttare per la loro sopravvivenza. La natura non deve essere ridotta a deposito di risorse da sfruttare per gli scopi pratici umani perché è anche segno dell’Oltre: rimanda al suo creatore. La natura non esiste soltanto per il sostentamento materiale degli esseri umani, ma esiste anche perché l’essere umano possa fare, attraverso di essa, esperienza della trascendenza. L’alterità della natura ci conduce per mano a riconoscere e incontrare ogni altra alterità, compresa l’alterità suprema, cioè Dio.

Come scrive san Francesco nel Cantico delle creature a proposito del sole: «De te, Altissimo, porta significatione». E il riconoscimento della trascendenza, abbiamo detto sopra, ha conseguenze di civiltà (e quindi anche politiche) positivissime e indispensabili.

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Persona, società e Stato

L’impianto del manifesto si potrebbe definire aristotelico-scolastico (nel senso della Scolastica), con la sua costante ricerca del giusto mezzo, della virtù che è abitudine a compiere il bene in opposizione a tentazioni estreme e contrapposte. Un’attitudine che non va confusa col moderatismo.

Nei punti relativi alla libertà e alla sussidiarietà rimette in ordine i rapporti che devono vigere fra persona, società e Stato, precisazione quanto mai necessaria in un tempo che vede il triste autunno di tante realtà nate per promuovere la sussidiarietà e che oggi promuovono uno statalismo che non è né di destra né di sinistra, ma semplicemente ingenuo e subalterno alla ristrutturazione tecnocapitalista globale.

La tecnologia non è neutrale

Senza mai smarcarsi da toni concilianti e miti, nella parte finale il manifesto riconosce la sfida centrale della nostra civiltà: la questione della tecnica, che poi è la questione dei prodotti della tecnica, cioè delle tecnologie. E se la cava con una dichiarazione programmatica di buonsenso molto basic: «Per il conservatorismo vale sempre il principio per cui la tecnica è al servizio della persona e non viceversa».

Questo però non può bastare, se non si definisce quali siano i parametri oltre i quali non si può più parlare di servizio e se non si precisa che la tecnica (o meglio: la tecnologia) non è mai neutrale. Lo hanno detto e spiegato decine di filosofi e intellettuali che non stiamo a richiamare, lo ha ripetuto meritoriamente papa Francesco nell’enciclica Laudato si’:

«Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali, in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende sviluppare. Non si può pensare di sostenere un altro paradigma culturale e servirsi della tecnica come di un mero strumento, perché oggi il paradigma tecnocratico è diventato così dominante, che è molto difficile prescindere dalle sue risorse, e ancora più difficile è utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica» (nn. 107-108).

La questione, dunque, è molto più culturalmente e politicamente impegnativa di un semplice richiamo a non diventare schiavi delle tecnologie, deriva che in realtà è già in atto da tempo e che può essere contrastata solo se si parte da un’antropologia che non sia prometeica. E qui il conservatorismo dovrebbe dare il suo contributo. Ma siccome il testo del manifesto non è più lungo di questo commento, qui per il momento mi fermo.

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