Conservatorismo, autonomia, Piano Mattei, premierato, Europa, natalità, competitività, guerra in Ucraina. Stralci dell'intervista alla presidente del Consiglio dal numero di agosto della nostra rivista, in uscita domani
«Siamo determinati ad andare avanti, e portare a termine tutte quelle riforme e quei provvedimenti che reputiamo utili per la nostra nazione». Dice così a Tempi la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un’ampia intervista che apparirà sul numero di agosto del mensile, da domani disponibile sul nostro sfogliatore digitale e in arrivo in copia cartacea a casa dei nostri abbonati. Ne riportiamo alcuni stralci.
Interpellata su diversi argomenti (conservatorismo, autonomia, Piano Mattei, premierato, Europa, natalità, competitività, guerra in Ucraina), Meloni rivendica il fatto di voler «portare avanti, punto per punto, il programma elettorale con cui ci siamo presentati alle elezioni e sul quale gli italiani ci hanno accordato la loro fiducia. Al governo ci sono uomini e donne che hanno dedicato gran parte della propria vita all’impegno politico. Non ci perdoneremmo mai il fatto di non aver avuto il coraggio di fare ciò che era giusto fare, magari per calcoli opportunistici o per paura di perdere consenso».
Capriccio e speranza
«Essere conservatori – spiega Meloni a Tempi – significa difendere ciò che siamo, ovvero ciò che di buono e di prezioso ci è stato tramandato dai nostri padri e che dobbiamo saper accompagnare nel futuro. Non c’è niente di reazionario o di pericoloso in questo. Anzi, è l’esatto contrario».
La presidente del Consiglio torna su due termini che aveva usato nella lettera ai dirigenti di Fratelli d’Italia dopo l’inchiesta di Fanpage sui giovani del partito: capriccio e speranza. «Siamo un capriccio perché diamo fastidio. Diamo fastidio a chi vorrebbe omologare tutto, e trasformare ognuno di noi in un consumatore perfetto, in “vuoti a rendere” che possono essere riempiti di qualunque cosa si voglia. […] Per questo siamo considerati distonici. Per paradosso, sono i conservatori i veri rivoluzionari della nostra epoca. Perché mai come in questo tempo sei rivoluzionario se ti definisci patriota e vuoi difendere l’interesse nazionale prima di ogni altra cosa, se credi che la vita vada difesa a qualunque costo e se sei convinto che la famiglia sia il nucleo fondamentale della società e che fare un figlio non ti limiti ma ti dia tantissimo. Penso che siamo una speranza, perché abbiamo dato finalmente voce a una maggioranza silenziosa che ha sempre creduto in questi valori e in queste idee ma che non era rappresentata. Milioni di uomini e donne considerati, a torto, figli di un dio minore, e per di più costantemente denigrati per ciò in cui credono e vivono».
L’Italia è un’eccezione
Riprendendo un’espressione di Giovanni Paolo II, Meloni definisce l’Italia «un’eccezione» che il suo governo «ha avuto il coraggio di renderla visibile quando non ha esitato un momento nel tentativo di dare una speranza di vita a una bambina inglese di appena sette mesi. Speranza che medici e giudici avevano negato a lei, ai suoi genitori e alla sua famiglia. Indi non ce l’ha fatta ma la sua storia, la tenacia di suo padre e di sua madre, la mobilitazione che ha innescato non sono state vane. Hanno lasciato un segno, e fatto vedere che un governo può, con le proprie scelte, dimostrare di andare controcorrente e di essere eccezione. Basta volerlo».
Un altro esempio su cui l’Italia «può fare la differenza, essere eccezione» è il Piano Mattei. Che non è un «elenco di buone intenzioni», ma «un piano molto concreto che individua alcuni precisi settori di intervento sui quali l’Italia può dare il suo contributo». Non sono progetti «calati dall’alto», ma «un percorso che facciamo insieme ai leader, ai governi e ai popoli africani, mobilitando anche il settore privato». Una cooperazione «da pari a pari, che produce benefici per tutti e che sa dare un’alternativa di sviluppo e crescita all’immigrazione forzata. Perché il primo diritto che dobbiamo garantire è quello di non essere costretti ad abbandonare la propria terra per avere un’esistenza dignitosa».
Instabilità e premierato
L’instabilità politica dei governi italiani «ha inciso sulle nostre carenze infrastrutturali, sulla nostra capacità di difendere i nostri interessi nazionali e sullo stato di salute della nostra economia. Un dato su tutti: negli ultimi vent’anni, Francia e Germania sono cresciute di più del 20 per cento mentre l’Italia è cresciuta meno del 4 per cento. […] C’è qualcosa che non funziona nel sistema e che noi dobbiamo avere il coraggio di correggere. Una democrazia instabile è una democrazia nella quale la politica è più debole rispetto alle concentrazioni economiche, alle burocrazie e agli interessi particolari. È una democrazia che non è in grado di portare avanti quelle politiche pubbliche fondamentali per rendere effettivi le libertà, i diritti, la solidarietà, la crescita economica e l’equità sociale. Per questo, una riforma che assicuri governi eletti dal popolo, stabili, con un orizzonte di legislatura, è la più potente misura – economica e di giustizia sociale – che noi possiamo regalare all’Italia».
Autonomia differenziata
Oltre a ricordare che «l’idea di attribuire maggiore autonomia alle Regioni che ne fanno richiesta non è un’invenzione del centrodestra, ma della sinistra», Meloni dice che l’intenzione della maggioranza è approvare «una cornice di regole» e «rispondere alle richieste che in questi anni sono arrivate dalle Regioni e dai cittadini. Richieste che non sono arrivate solo dalla Lombardia e dal Veneto, che hanno celebrato anche dei referendum, ma anche dall’Emilia-Romagna a guida Pd, che ha fatto richieste di più autonomia già nel 2018 sotto il governo Gentiloni».
«Nel merito – prosegue Meloni -, noi stabiliamo una precondizione che in questi oltre vent’anni nessuno aveva avuto il coraggio di definire. Parliamo dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), cioè dei servizi che dovranno essere garantiti territorio per territorio. Perché è questo che ha creato in Italia le disparità che conosciamo, il fatto, cioè, che nessuno si sia mai posto il problema di stabilire per legge, regione per regione, quali sono i livelli qualitativi e quantitativi minimi di prestazioni da garantire per non avere cittadini di serie A e cittadini di serie B. Solo dopo che verrà fissata questa soglia, in grado di assicurare a tutti i cittadini effettività nella fruizione di servizi fondamentali ed essenziali, potrà essere accordata l’autonomia alle Regioni che ne faranno richiesta. I Lep sono stabiliti e finanziati dallo Stato e nessuna Regione, né quelle ordinarie né quelle che accedono alle forme di autonomia, possono violarli o prevedere condizioni peggiorative. E questo è un enorme passo avanti, altro che spaccare l’Italia».
Europa
«L’Europa», dice Meloni, deve «ripensare completamente le sue priorità, e maturare finalmente quella consapevolezza, finora mancata, di essere uno dei player che si muovono sullo scenario mondiale, in un contesto sempre più multipolare. Non ha alcun senso perseverare, come vorrebbe qualcuno, con quell’approccio autoreferenziale, e fallimentare, che ha trasformato in questi decenni l’Unione Europea in un gigante burocratico che regolamenta ogni segmento della vita dei cittadini ma che poi è incapace di far sentire la propria voce e il proprio peso sullo scenario globale. C’è la possibilità di invertire questa tendenza, e la risposta che dobbiamo avere il coraggio di dare è quella di un’Europa che sceglie di fare meno cose, ma di farle meglio».
Natalità
Dell’inverno demografico che ha colpito il nostro Paese non c’è ancora «piena consapevolezza». «La sfida demografica – dice la presidente del Consiglio – è la sfida dalla quale dipendono tutte le altre. Perché, se non riusciremo a ripristinare un equilibrio fra la popolazione attiva e la popolazione che ha bisogno di assistenza, nel giro di pochi anni i nostri sistemi sociali collasseranno. Sono convinta per questo che ogni euro speso sulla natalità, sui servizi, sugli aiuti alle famiglie, sulla conciliazione vita-lavoro, sia un euro speso in un investimento produttivo, perché è un investimento sul futuro stesso dei nostri sistemi sociali, in Italia come in tutta Europa. Perché garantire l’equilibrio di un esercizio o di un settennato di bilancio servirà a poco se, nel medio-lungo periodo, sarà l’intero sistema a diventare insostenibile, se verrà meno quella “Next Generation” alla quale l’Europa ha intitolato i piani di ripresa post-pandemia ma che rischia di non esistere».
Assegno unico
E proprio a proposito di politiche per favorire la natalità, Meloni torna a parlare definendo «surreali» le argomentazioni con cui l’Europa ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia sull’assegno unico.
«Secondo la Commissione – dice Meloni – l’Italia starebbe discriminando i lavoratori stranieri perché concede l’assegno unico solo a chi, italiano o straniero, lavora in Italia da almeno due anni e per i figli che vivono in Italia. La Commissione ci dice che dovremmo riconoscere l’assegno unico a chiunque lavori in Italia, anche per pochi mesi, ma soprattutto che dovremmo concederlo pure per i figli che vivono nel paese di origine. Come potrebbe, di grazia, lo Stato italiano verificare le informazioni o l’Isee della famiglia di un lavoratore che risiede in Bulgaria o in Pakistan? Inoltre, l’assegno unico è un sostegno al welfare di famiglie con figli, per aiutarle anche a godere di servizi e prestazioni erogati dallo Stato italiano e qui goduti. Perché dovremmo riconoscerlo a chi non è in Italia? Come potremmo verificare che una misura analoga non sia già garantita dallo Stato di residenza della famiglia? È evidente che si tratta di una contestazione pretestuosa fatta per ragioni ideologiche contro le misure a sostegno delle famiglie e della natalità. L’Italia non sarebbe in grado di sostenere il costo di una norma del genere e sarebbe costretta a revocare l’assegno unico a circa 6 milioni di famiglie, quasi 10 milioni di figli. È una follia, che contrasteremo con fermezza».
L’Ucraina e l’essenziale
Sulla guerra in Ucraina, Meloni ribadisce la posizione che ha sempre tenuto sul conflitto: «Difendere l’Ucraina significa difendere il nostro interesse nazionale, perché vuol dire difendere quel sistema di regole e princìpi che tengono unita la comunità internazionale e che garantiscono che la forza del diritto prevalga sul diritto del più forte. […] Tutti i nostri sforzi sono finalizzati per giungere a una pace giusta e rispettosa del diritto internazionale. Purtroppo, penso che da parte di Putin non ci sia la stessa volontà, e i continui attacchi alla popolazione civile, come il drammatico bombardamento dell’ospedale pediatrico di Kiev, dimostrano che l’unica strada percorribile è continuare a sostenere il popolo ucraino».
Infine una battuta sul titolo del Meeting di Rimini, che quest’anno ha per titolo “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?”. Alla domanda su che cosa sia per lei “essenziale” Meloni risponde: «Mia figlia. E sapere che ho fatto quello che potevo per ciò che considero giusto».
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