Un boss della comunicazione suona la sveglia: «Cricetini, ribellatevi al Grande Fratello»
Se a scrivere «ci spiano in continuazione, ci manipolano, stanno facendo a tutti il lavaggio del cervello» è il classico “leone da tastiera”, la cosa scivola via senza lasciare altra traccia che il turbine di post e di commenti che normalmente accompagnano questo genere di denunce sulla pagina web di chi le ha espresse. Ma se a scriverlo è uno dei più grandi pubblicitari italiani, fondatore e primo presidente della Federazione italiana della comunicazione, presidente per vent’anni di seguito di Pubblicità Progresso, consigliere di amministrazione Rai, grand’ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, docente universitario e tanto altro ancora, le cose cambiano. È quello che succede con Alberto Contri e il suo La sindrome del criceto, pubblicato da La Vela alla fine del giugno scorso.
Il libro miscela allegramente commenti su fatti di cronaca del mondo anglosassone che in Italia non sono stati seguiti con la dovuta attenzione, sintesi di colloqui confidenziali, citazioni fulminanti, eventi di natura biografica, associazioni di idee geniali, riflessioni e giudizi su faccende come il gender, l’intelligenza artificiale, il transumanesimo, i capitalisti dell’informatica, eccetera.
Un esempio che rende l’idea dell’aria che si respira nelle pagine de La sindrome del criceto è un passaggio del colloquio con un amico studioso di jazz e musica afroamericana molto familiare con la realtà degli Stati Uniti, e che viene presentato come una mezza spia:
«Al pubblico piace sentirsi raccontare l’epopea di un giovanotto squattrinato che in un garage ha avuto un’idea straordinaria ed è diventato miliardario. È una favola che fa sognare tanta gente, perché è la perfetta metafora del cosiddetto sogno americano. Ma è una favola senza alcun fondamento. Costruire progetti come Internet, Facebook, Google, è possibile solo grazie ad anni di studi, ricerche e grossi finanziamenti, che solo lo Stato o l’esercito possono fornirti. Ma poiché gli Stati Uniti coltivano il mito dell’iniziativa privata, si mascherano in questo modo gli investimenti statali mettendoci poi sopra la faccia di un singolo personaggio di talento, che avrebbe saputo cogliere quelle opportunità di cui l’America è così generosa con gli intraprendenti».
La situazione che Contri descrive è tragica:
«Da un lato singolarità e transumanesimo, che vorrebbero ibridarci con i computer, così da farci diventare più efficienti e più rapidi, ma anche assai facili da manovrare e controllare. Dall’altro, la pur meritevole battaglia per l’inclusione e l’uguaglianza di genere, che, per un’evidente eterogenesi dei fini, tende a costruire (meglio, decostruire) personalità indifferenziate, invertebrate, senza radici né tradizione, senza storia, memoria e punti di riferimento».
E a rendere incombente la minaccia di questi due progetti di disumanizzazione, il progresso delle tecnologie dell’informazione che ci consegna al panopticon sociale:
«Per questa impressionante velocità – consentita dalla capacità computazionale – diventa uno scherzo mettere insieme il fotogramma di una telecamera, la geo-localizzazione ottenuta con lo smartphone, la strisciata di un bancomat, un post su Facebook per catturare e conservare ogni momento della nostra vita privata al fine di costruire e archiviare un preciso profilo di ognuno di noi. Il Grande Fratello, “Nuovo Padrone del Mondo”, è già qui, ma se ne sta ancora un po’ acquattato, preparandosi al balzo finale, grazie anche alla notevole ignoranza della classe politica e alla progressiva riduzione del senso critico delle nuove generazioni».
Che fare di fronte a tutto ciò? Intanto bisogna liberarsi della sindrome del criceto, che sarebbe quella tendenza a ricercare solo la propria soddisfazione individuale e solitaria, anziché mettere le proprie energie al servizio di cause nobili e collettive: come il criceto che consuma le sue energie correndo nella ruota appesa dentro alla sua gabbia, azione senza altro obiettivo che lo sfogo dell’energia repressa e privata dei suoi scopi naturali. Poi bisognerà organizzarsi in Gru, Gruppi di resistenza umana,
«sacche di resistenza (…) costituite da genitori, famiglie, giovani, insegnanti, artigiani, industriali, docenti, tecnici, ricercatori e professionisti di ogni genere, che nel degrado generale cercano di difendere ogni giorno – in spe contra spem – i valori che li hanno fatti crescere: l’educazione, la formazione, il culto della bellezza e del sapere, la promozione dell’uomo nella sua integralità, il rispetto della dignità umana in ogni comportamento, il rifiuto del relativismo in tutte le sue forme, il reale rispetto di ogni visione del mondo e delle relazioni senza che nessuna debba prevalere su un’altra. Su tutte, la convinzione che l’uomo non è e non sarà mai una macchina, pena la sua fine».
A dare manforte alla proposta di Contri arriva, nella post-fazione del libro, il filosofo Salvatore Veca.
Al netto di un paio di sbandate complottistiche che sarebbe stato meglio evitare, La sindrome del criceto è una documentata messa in guardia che si propone di passare dalle parole ai fatti. Fra le numerose citazioni, anche quella di un articolo di Caterina Giojelli apparso su tempi.it su Lynsey McCarthy-Calvert, la 45enne costretta a dimettersi da portavoce dell’associazione delle levatrici britanniche per avere scritto: «Non sono una persona che “possiede una cervice uterina”. Non sono un “menstruator”. Non sono un “feeling”. Non sono definita da un vestito e un rossetto. Sono una donna: una femmina, umana, adulta. Le donne fanno nascere tutte le persone, costituiscono la metà della popolazione, ma meno di un terzo dei seggi alla Camera dei Comuni sono occupati da noi». L’hanno accusata di transfobia per il suo «linguaggio assolutamente disgustoso». Aiuto, chiamate i Gru!
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