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Col referendum sulle paritarie a Bologna si gioca la partita tra post giacobini e riformisti per la sussidiarietà

Non è solo una consultazione locale. In città c'è in ballo anche l'identità della sinistra, con l'opa ostile di Sel e grillini sul Pd. L'editoriale di Antonio Polito

Redazione
20/05/2013 - 11:22
Interni
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REFERENDUMB-come-Bologna copiaAntonio Polito torna a parlare del referendum sulle scuole paritarie di Bologna. Dopo aver firmato l’appello per l’opzione B (Polito ne aveva parlato qui con tempi.it), oggi l’editorialista scrive sul Corriere della Sera un articolo intitolato “La scuola in ostaggio di una sfida ideologica”.
«La prossima Opa ostile – scrive -, l’offerta pubblica d’acquisto, sul Pd è prevista per domenica prossima a Bologna. Ispirato da Stefano Rodotà, lo stesso fronte che abbiamo visto sabato in piazza a Roma, composto dalla Fiom, dalla Sel di Vendola, dal Movimento 5 Stelle, e con l’aggiunta originale di Casa Pound, tenterà di assestare nelle urne un colpo forse letale alla giunta guidata dal sindaco pd Virginio Merola».

LA MAFIA? Il fronte referendario vuole «abbattere il sistema integrato di scuola pubblica e scuola paritaria che fu avviato in Emilia più di vent’anni fa proprio da Bersani, allora presidente della Regione». I numeri li sapete, ma nota giustamente Polito, oramai anche ripeterli conta poco, perché «questo argomento di buon senso non commuove gli abrogazionisti: Maurizio Matteuzzi, che pure insegna filosofia del linguaggio all’Università di Bologna, è arrivato a controbattere sul Manifesto che anche se lo Stato finanziasse la mafia ne trarrebbe un introito grazie all’incremento del traffico della droga e della prostituzione. Questo è il tono che ha assunto lo scontro».

STATALISMO. La battaglia è di principio. I referendari sostengono una posizione statalista tout court: «Non un soldo dello Stato a ciò che non è gestito dallo Stato». «Ma – nota Polito – in questo modo si rischia di negare il diritto alla libertà educativa delle famiglie, anch’esso riconosciuto nella Costituzione, che va sempre letta per intero: “La legge — aggiunge infatti l’articolo 33 subito dopo il ‘senza oneri per  lo Stato’ — nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quella degli alunni di scuole non statali”».

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Un agile vademecum del Comune di Bologna spiega, in vista del referendum, come è organizzata la scuola dell'infanzia in città, rispondendo alle domande dei cittadini. Il primo dato che balza subito all'occhio è che a Bologna, diversamente dal resto d'Italia, il 60 per cento delle scuole per l'infanzia sono comunali, il 23 per cento private e il 17 statali.
Il Comune di Bologna investe 37,76 milioni di euro nel sistema pubblico integrato: 35,5 milioni vanno agli asili comunali, 1,11 milioni di euro vanno alle private paritarie e 1,14 milioni di euro alle scuole statali.
A Bologna ci sono 9.131 bambini tra i 3 e i 6 anni; i posti disponibili sono 8.988: questo significa che la città può offrire un posto al 98,4 per cento di loro. Nelle scuole comunali (che sono 70) trovano posto 5.327 bambini, 1.611 in quelle statali (25), 1.825 nelle private convenzionate (27) e 225 in private non convenzionate (5). Le convenzioni con le scuole private paritarie sono state introdotte nel 1994, grazie alla legge Berlinguer, per ampliare l'offerta di posti disponibili.
Le scuole private paritarie ricevono 1,11 milioni di euro dal Comune grazie alla convenzione in vigore da 18 anni e così possono offrire un posto a 1.730 bambini. Il contributo da un milione non corrisponde al costo della scuola paritaria privata convenzionata, bensì al contributo per le spese di funzionamento, per migliorare gli standard qualitativi e abbassare le rette così da renderla più accessibile a tutti. Si tratta di un contributo che fa risparmiare la collettività. Esclusa la costruzione degli edifici, infatti, queste scuole costerebbero 12 milioni di euro l'anno se a gestirle dovesse essere il Comune. Ma si tratta di una cifra che lo Stato non eroga.
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LIBERTA’ E SUSSIDIARIETA’. Ciò che c’è in ballo, quindi è «una questione di libertà molto delicata, visto che si parla di educazione, e che Aldo Moro difese alla Costituente. E infatti la legge, una legge varata dal centrosinistra e che porta il nome di Luigi Berlinguer, stabilisce dal 2000 che tutto il sistema nazionale di istruzione, che sia gestito dallo Stato, dai Comuni o dai privati, è “pubblico”, perché svolge un servizio pubblico e si assoggetta a norme fissate dal potere pubblico, a partire dall’obbligo di essere aperto a tutti».
Polito, che è stato anche senatore Pd, ricorda ai suoi compagni che «questo principio era parte integrante del manifesto con cui Prodi vinse le elezioni nel ’96: non tutto ciò che per la sua finalità è pubblico deve per forza essere gestito dallo Stato. E fu sempre l’Ulivo, nel 2001, a introdurre nella Costituzione il principio della sussidiarietà: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”».

POST-GIACOBINI. La divisione all’interno dello schieramento di sinistra non può non rispecchiare quello che sta accadendo sullo scenario nazionale. A una sinistra di buon senso e pragmatica si contrappone quella che anche il primo cittadino Virginio Merola ha definito una sinistra cubana. «Nelle urne bolognesi – scrive Polito – si fronteggiano per la prima volta gli inediti schieramenti che si sono creati in parlamento, Pd e Pdl insieme da un lato, Sel e Movimento 5 Stelle dall’altro. Quello strano connubio tra statalismo e retorica dei diritti, tra post-comunisti e post-giacobini, che ha già terremotato il Pd in Parlamento, tenta ora di conquistarne il popolo nella città simbolo del riformismo. Qualcosa di molto più grande di una consultazione locale».

Tags: antonio politoarticolo 33luigi berlinguerMovimento 5 Stelleprodireferendum bolognaScuole Paritariestefano rodotàsussidiarietàvendola
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