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Cina. Musulmani e cattolici uniti dall’ecumenismo della repressione

Decine di moschee vengono rase al suolo nel Xinjiang, dove i musulmani non vanno più in moschea. Il vescovo ausiliare di Mindong rifiuta di iscriversi all'Associazione patriottica: «Meglio essere perseguitati come gli altri»

Leone Grotti
21/06/2019 - 1:00
Esteri
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Moschee rase al suolo e musulmani costretti a radersi la barba o mangiare durante il Ramadan; chiese demolite e cattolici costretti a iscriversi all’Associazione patriottica. Il registro utilizzato dal partito comunista in Cina per reprimere le religioni non cambia a seconda della fede. Uno dei tratti distintivi del socialismo con caratteristiche cinesi di Xi Jinping è proprio l’oppressione di tutte le religioni e il tentativo, quando non è possibile annientarle, di asservirle al regime.

MOSCHEE RASE AL SUOLO

In un bel reportage, la Bbc mostra attraverso le immagini satellitari come la Cina abbia raso al suolo decine di moschee e quartieri islamici nel Xinjiang. Nella provincia del nord-ovest, oltre un milione di musulmani uiguri sono stati rinchiusi in campi di rieducazione attraverso il lavoro. La sola appartenenza alla religione islamica, infatti, è vista dal regime come segno di estremismo e slealtà verso il partito.

Gli unici imam ammessi in Xinjiang sono ormai quelli che ripetono a pappagallo il verbo del partito. Così, l’imam della moschea Id Kah, parlando con l’inviato dell’emittente britannica, nega apertamente quello che si trova in centinaia di avvisi affissi dappertutto nella provincia: «I cittadini cinesi godono della libertà religiosa. Portare la barba o no è una libera scelta. In Cina non c’è mai stata la repressione delle religioni». Resta il fatto che se nel 2015 tutti i musulmani uiguri si facevano crescere la barba, ora non osa più farlo nessuno.

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Anche andare a pregare in moschea è visto con sospetto dal regime e per questo una moschea un tempo affollata come quella di Id Kah è ormai frequentata da poche decine di fedeli: «Prima venivano molte persone ma non c’era lavoro. Ora invece c’è lavoro e la gente è impegnata negli affari, per questo non ha il tempo di venire a pregare».

VESCOVI COSTRETTI A RINNEGARE IL PAPA

Cambia la religione, ma non cambia la sostanza, come testimonia monsignor Vincenzo Guo Xijin, vescovo ausiliare di Mindong (provincia di Fujian). In seguito all’accordo tra Cina e Santa Sede, il vescovo ordinario della diocesi è stato retrocesso ad ausiliario per lasciare il posto a monsignor Vincenzo Zhan Silu, la cui scomunica è stata perdonata dal Papa.

Come riporta AsiaNews, monsignor Guo non è ancora riconosciuto dal governo e l’Ufficio affari religiosi ha cercato di fargli firmare un documento «in cui si esigeva da lui obbedienza al nuovo vescovo, ma soprattutto sottomissione alle leggi del Paese e adesione ai principi di “indipendenza” della Chiesa e all’Associazione patriottica».

Quest’ultima è stata definita nel 2007 da Benedetto XVI «inconciliabile con la dottrina cattolica», perché pretende di costruire una Chiesa cattolica indipendente dal Papa e sottomessa al partito comunista. L’accordo provvisorio tra Cina e Santa Sede, il cui testo è segreto, non dovrebbe prevedere come obbligatoria, ma solo facoltativa, l’adesione all’Ap. Ma il regime sta facendo pressione a tutti i cattolici perché aderiscono, rinnegando così l’autorità del Vaticano.

«AFFRONTERÒ LA PERSECUZIONE»

Il vescovo ausiliario ha accettato l’obbedienza al vescovo ordinario e alle leggi del paese, ma si è rifiutato di aderire all’Ap. Monsignor Guo ha inviato una lettera all’Ufficio affari religiosi e a monsignor Zhan nella quale dichiara di ritirare la sua domanda di riconoscimento da parte del governo. Nella lettera si legge:

«Il governo ha già deciso di perseguitare i sacerdoti che si rifiutano di firmare la richiesta [di adesione all’Ap]. Se io non sono in grado di proteggerli, non vale la pena che io venga riconosciuto come vescovo ausiliare. Sono disposto ad affrontare la persecuzione assieme agli altri sacerdoti».

ESPIANTI FORZATI DI ORGANI

Cattolici e musulmani sono sottoposti all’ecumenismo della repressione religiosa in Cina, ma non sono certo gli unici. Il Tribunale internazionale ha infatti appena condannato la Cina per la rimozione forzata degli organi ai seguaci del Falun Gong, la pratica religiosa-spirituale più perseguitata in Cina. Secondo i giudici, c’è il rischio che anche i musulmani vengano sottoposti allo stesso terribile trattamento.

L’industria dei trapianti in Cina vale un miliardo di dollari all’anno, riporta Sky News, e le voci sugli espianti forzati di organi si rincorrono dal 2006. Le principali vittime sono proprio i seguaci del Falun Gong, pratica nata nel 1992 e che ha visto in pochi anni l’adesione di 70 milioni di cinesi, la cui persecuzione è cominciata nel 1999 per ordine dell’allora leader del partito comunista Jiang Zemin. Pechino ha dichiarato di aver interrotto la pratica degli espianti forzati nel 2015, ma secondo il Tribunale internazionale i carcerati sono ancora sottoposti a questa tortura «oltre ogni ragionevole dubbio».

@LeoneGrotti

Tags: CinaCristiani Perseguitatifalun gongIslamMusulmanipartito comunistauigurixi jinpingxinjiang
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