Che idea del paese vuoi avere se tutto è filtrato dall’occhio di Roma?

Di Luigi Amicone
03 Maggio 2020
Bisogna ammetterlo: in Italia la stampa non è il quarto potere all'americana, ma fa da scudo all’immobilismo dello Stato profondo e al sistema giudiziario
Telecamera davanti al Quirinale

Cronache dalla quarantena / 50

L’immobilismo di un sistema nazionale che condanna isole, Sud, Centro, Nord Italia a un disfacimento di civiltà, lento ma inesorabile, insiste lungo tre linee di faglia. O se preferite, ha una sua triplice stratificazione.

La prima è la faglia o strato anonimo, a-ideologico, inerziale del complesso di posizioni interessate esclusivamente all’ampliamento e mantenimento del proprio potere all’interno del sistema nazionale inteso come status quo, comunque vada decadendo e qualunque sia il Cinquestelle, la Rita Levi Montalcini, il papa Francesco arrivi a Roma. È il complesso delle articolazioni statali. Capi di gabinetto, direttori di ministeri, alti burocrati, amministratori di enti economici nominati dai partiti di governo… E sopra tutti, spina dorsale e occhiute garanti del sistema autoreferenziale di mandarini, le Corti e il Quirinale.

Il secondo strato – o forse sarebbe meglio dire “Stato” – è costituito dall’anello debole del complesso di poteri nazionali: la politica, diciamolo genericamente, come arte, espressione, rappresentanza e mediazione degli assetti, aspettative e interessi della società. Esclusa naturalmente la politica che si esprime nello stretto perimetro governativo e ha una sua ovvia potenza vitale in quanto àncora il sistema nazionale.

La “politica” che si esprime a livello di governo non è infatti espressione dei programmi e delle personalità dei partiti (o per lo meno lo è in maniera molto ridotta rispetto alla Prima Repubblica), ma rappresenta piuttosto un grumo di interessi e di soluzioni “per mandare avanti il Paese” (si vede benissimo con lo strampalato e oggetto di irrisione dalla vox populi governo Conte). Grumo di interessi sotto il controllo del primo Stato. E garante (quando lo sia) il mantello del Quirinale.

In questo senso si può certamente dire di Roma che è una indolente e flaccida “Saigon”. Dove tutti coloro che ci arrivano per cambiare il mondo si rassegnano poi a frequentare un comodo bordello. Politica, invece, sarebbe – per Costituzione – espressione tipica dei partiti, formazioni sociali che concorrono alla elezione delle assemblee democratiche rappresentative, che sono per l’appunto espressione della libera competizione e voto popolare. Dunque politica significa, in primis: Parlamento, Regioni e Comuni. Le quali istituzioni, come sappiamo bene, oggi soffrono di un sorta di rachitismo endemico, frutto di una delegittimazione e di uno svilimento della Politica, che hanno solide radici nel sistema con cui privilegiati del mondo mediatico e privilegiati del mondo della giustizia – essendo tale privilegio un sistema rodato ormai da quasi trent’anni – sono affratellati nell’indebolire in modo sistematico chi dovrebbe avere l’onere e l’onore – giacché gode dell’investitura popolare – di guidare l’Italia.

Naturalmente il risultato di quest’opera di demolizione della Politica è il panorama che gli italiani hanno sotto gli occhi da molto tempo: crisi della democrazia, perdita secca del benessere accumulato in oltre mezzo secolo di sviluppo economico, classi dirigenti costituite da terze e quarte linee, soprattutto gente che non ha nulla da perdere o che non fa nulla, tendenzialmente, per rimuovere l’immobilismo del sistema, onde evitare di essere colpito ed affondato dal primo e terzo Stato. Totalmente in balìa del primo e terzo Stato. Politica dunque svillaneggiata dai privilegiati e dai poteri antipopolari.

All’opposto, non è un caso che la saggia e bimillenaria Chiesa cattolica abbia invece sempre difeso la politica, esaltandola – definizione di papa Paolo VI – come «la forma più alta di carità». Da san Paolo apostolo che invitava a pregare per i governanti. A sant’Agostino che ci ha lasciato un compendio meditato della vita umana a dimensione delle due Città, Celeste e Terrena. Da san Giovanni Paolo II eroe degli eroi di ogni tempo del primato della libertà. A Benedetto XVI che nella visione ampia di “politica” come ricerca della giustizia, della verità e quindi del bene comune, ha fondato l’enciclica Caritas in veritate.

Lo stesso papa Francesco, si capisce, ha una sensibilità così spiccata per la politica, che non teme di portarla avanti in prima persona, in dichiarazioni improntate al pacifismo che chiede lo smantellamento di tutte le industrie delle armi, piuttosto che nel sostegno ai “movimenti popolari”, con la benedizione papale che essi raggiungano gli obiettivi di giustizia e cambiamento sociali.

E siamo al terzo Stato. Quello che nel nostro piccolo rappresentiamo anche noi, qui, giornalisti di Tempi. Ma che, nel sistema italiano, la parte più importante e autorevole è proiettata a far da scudo all’immobilismo del primo Stato e all’appoggio codino del sistema giudiziario. Bisogna ammettere che in Italia il giornalismo non è il Quarto Potere all’americana. O alla tedesca. È piuttosto una appendice di un antico sistema napoleonico, catena di trasmissione di un centro del sistema nazionale.

Significativamente, tutte le principali testate tipografiche, web e televisive nazionali, hanno sede a Roma. E quasi la totalità di offerta dell’intrattenimento tv politico fa base a Roma. Tant’è che è normale che gli “ospiti” della giornata siano ospiti romani. O “esperti” che gravitano su Roma. Che idea del paese vuoi avere se l’intero viene concepito e valutato con l’occhio esclusivo di Roma Capoccia?

In conclusione, oggi voglio rammentare che siamo alla vigilia di una (mezza) uscita di casa. Ma là fuori non ci aspetta il dinamismo di un paese libero e vitale. No. Là fuori ci aspettano otto milioni e passa di cartelle dell’Agenzia delle entrate. Un governo puerile che ha una testa a Londra e l’altra in oltre mille dioscuri “esperti” eterodiretti nelle cosiddette task force governative. È una religione in lotta per non essere oppio del popolo. Ma che fatica!

Foto Ansa

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