Che fine ha fatto lo “storico” accordo di Parigi sul global warming?

Di Leone Grotti
30 Agosto 2016
Sono passati nove mesi dall'accordo e ancora nessuna ratifica. L'ex ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius: «Siamo a meno del 2 per cento»
In this Aug. 12, 2016, a block of ice is seen in the lagoon next to Pastoruri glacier in the Huascaran National Park in Huaraz, Peru. The melting of glaciers like the Pastoruri has put cities like Huaraz, located downslope from the glacier about 35 miles (55 kilometers) away, at risk from what scientists call a “glof,” or glacial lake outburst flood. A glof occurs when the weak walls of a mountain valley collapse under the weight of meltwater from a glacier. (AP Photo/Martin Mejia)

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Se qualcuno crede ancora che la Conferenza sul clima di Parigi (Cop21), a nove mesi dalla firma dello “storico” accordo, come l’hanno definito l’Onu e i grandi quotidiani, sia servita a qualcosa, basta leggere la tribuna scritta per il Le Monde dall’ex presidente della Cop21, oggi a capo del Consiglio costituzionale francese, Laurent Fabius, per cambiare idea.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]NESSUNO RATIFICA. L’ex ministro degli Esteri francese ha suonato il campanello d’allarme e ha fatto notare che «le inquietudini sull’applicazione dell’accordo si moltiplicano e sarebbe da irresponsabili nasconderle». Il documento finale è stato approvato da 195 paesi e firmato il 22 aprile a New York da 175 paesi. Per entrare in vigore, però, deve essere ratificato da almeno 55 Stati, in rappresentanza di almeno il 55 per cento delle emissioni mondiali di gas serra. Bene, a che punto siamo? «Siamo a meno del 2 per cento!», si allarma Fabius.

«CINA, USA, UE FERMI». L’ex presidente continua sconsolato: «Le promesse sono state fatte ma la verità è che, ad oggi, né la Cina, né gli Stati Uniti, né l’Unione Europea, né l’India, né la Russia – ossia i cinque paesi più inquinanti del mondo – hanno ancora» ratificato l’accordo. «Ed è vitale che lo facciano e in fretta». Anche il presidente della Repubblica francese François Hollande, allarmato dal possibile fallimento, ha intimato a «tutti i paesi europei di ratificare l’accordo prima della fine dell’anno». Per accelerare questo processo è prevista una riunione all’Onu il 21 settembre, ma la strada è in salita.

PRONTI PER LA PROSSIMA. Dopo la ratifica, inoltre, i paesi industrializzati dovranno mantenere gli accordi non vincolanti e versare 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020 ai paesi poveri per attenuare gli effetti su di essi dei cambiamenti climatici e per assistere la loro transizione all’economia decarbonizzata (cioè senza emissione di Co2 e altri gas climalteranti). Dovranno anche ridurre, ognuno in base al proprio piano facoltativo, le emissioni di gas serra. Per ora non è successo niente e l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi rispetto a quella dell’epoca pre-industriale appare sinceramente irraggiungibile. Dal canto loro gli Stati Uniti, che non hanno ancora firmato l’accordo, sono però impegnati nella preparazione della nuova Conferenza sul clima, la Cop22 in Marocco. Per parlare c’è sempre tempo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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2 commenti

  1. Sebastiano

    Dopo 21 viene 22.
    E prima di 21 c’era 20.
    Matematicamente e inflessibilmente “storici”.

  2. Sebastiano

    “…Che fine ha fatto lo “storico” accordo di Parigi sul global warming?…”
    Che domande: è servito come base per l’accordo successivo, che a sua volta servirà come base per quell’altro ancora, ecc. ecc.
    Se avesse funzionato, allora addio ai convegnoni in grande stile e ai proclami altisonanti di “storicità”, ai quali ognuno di questi raduni pare abbia insindacabile diritto.

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