Che cosa spinge la gente in piazza in Sudan per chiedere più sharia e meno diritti
Sono state decisamente inferiori per numero di partecipanti a quelle della fine di giugno a favore di una più rapida transizione a un sistema politico pienamente democratico, ma contro le riforme decise dal governo di transizione che abrogano le leggi più crudeli e discriminatorie dal codice penale del Sudan venerdì scorso a Khartoum si sono viste manifestazioni con centinaia di partecipanti secondo le fonti di stampa locale, con migliaia secondo l’agenzia di stampa turca governativa Anadolu.
Il 12 luglio scorso il ministro della Giustizia Nasreldin Abdelbari, un giurista che ha studiato alla Georgetown University di Washington e detiene anche la cittadinanza degli Stati Uniti, ha annunciato una raffica di provvedimenti che cancellano leggi in vigore sin dagli anni Ottanta e poi ulteriormente irrigidite nel corso del trentennio di potere del generale Omar Hasan al Bashir, deposto da un colpo di Stato nell’aprile dell’anno scorso.
LE REGOLE ABROGATE
È stato abrogato il Public Order Act del 1982 che prevedeva sanzioni come le fustigazioni pubbliche per i consumatori di alcool e per le donne che vestivano abiti attillati o succinti, la pratica delle mutilazioni genitali femminili (largamente diffusa nel paese) è diventata un reato, i non musulmani sono liberi di produrre e consumare alcool purché non in pubblico e non in compagnia di musulmani, per viaggiare da soli coi figli al seguito marito e moglie avranno bisogno entrambi dell’autorizzazione dell’altro coniuge (prima solo la donna era tenuta a chiedere l’autorizzazione all’uomo) e soprattutto l’apostasia dall’islam non sarà più considerata un reato punibile con la pena di morte.
«SIAMO PRONTI AL JIHAD»
Le leggi modificate o abrogate risalivano alle presidenze Nimeiri (mandato del 1980-85) e Bashir (1989-2019), che a loro volta le avevano sviluppate sulla base di norme preesistenti ispirate alla sharia, la legge coranica. Da qui l’origine delle pubbliche proteste che venerdì scorso hanno avuto luogo nella capitale al termine della preghiera di mezzogiorno, quando da alcune moschee note per la loro vicinanza ideologica all’area dei Fratelli Musulmani e ad alcune correnti salafite come Ansar El Sunna El Mohamediya sono uscite centinaia di persone che hanno dato vita a cortei nei quali si denunciavano le nuove norme come un tradimento della sharia e si scandivano slogan come «Siamo pronti al jihad per difendere l’islam» e «Nasreldin (il ministro della Giustizia, ndr) è un nemico di Allah».
IL PREMIER CONCILIANTE
La manifestazione si è svolta senza incidenti degni di nota e senza alcuna forma di repressione da parte delle forze dell’ordine, e con tutta probabilità sarà replicata nei prossimi venerdì. Ansar El Sunna El Mohamediya è riuscita anche a far incontrare una sua delegazione col primo ministro Abdallah Hamdok e col ministro degli Affari religiosi Nasreldin Mofreh alla vigilia delle manifestazioni per discutere la possibilità di emendamenti alle nuove leggi. Il primo ministro ha manifestato «il desiderio del governo di preservare l’eredità e i valori dell’islam» e sottolineato «il rispetto per i princìpi islamici senza pregiudizio», ma non ha promesso nulla ai salafiti che gli chiedevano di accogliere una serie di emendamenti.
IL MINISTRO A MUSO DURO
Meno concilianti le parole del ministro della Giustizia: «Abbiamo cancellato interamente l’articolo 126 del Codice penale sudanese e assicurato la libertà religiosa e l’uguaglianza civile e lo Stato di diritto. Tutti questi cambiamenti mirano a conseguire l’uguaglianza di fronte alle leggi. Abbiamo abrogato tutti gli articoli che hanno portato a qualche forma di discriminazione. Assicuriamo a tutti i nostri cittadini che la riforma legale continuerà fino a quando avremo abrogato tutte le leggi che violano i diritti umani in Sudan».
INFIBULAZIONE E APOSTASIA
Alcune delle nuove leggi saranno impossibili da implementare: secondo un rapporto dell’Unicef del 2014, il tasso di prevalenza delle mutilazioni genitali femminili in Sudan è dell’86,6 per cento, riguarda cioè la quasi totalità delle famiglie. Per quanto concerne la pena di morte per apostasia dall’islam, in Sudan è stata applicata una sola volta nel 1985, quando sotto il governo Nimeiri venne impiccato il 76enne intellettuale Mahmoud Mohammed Taha, accusato di essere un apostata per aver proposto una versione liberale e modernista dell’islam. La legge fu riformata da Bashir per stabilire che il condannato doveva essere lapidato, in ossequio a un’interpretazione più letterale della sharia.
IL CASO DI MERIAM IBRAHIM
Solo una volta i sudanesi sono stati sul punto di applicare la legge, quando nel 2014 un tribunale sharaitico aveva condannato alla fustigazione per adulterio e a morte per apostasia Meriam Yahia Ibrahim Ishag, una giovane donna figlia di un musulmano e di una cristiana che aveva deciso di abbracciare la religione materna e aveva sposato un cristiano (da cui l’accusa di adulterio, perché una donna musulmana può sposare solo un uomo musulmano). La donna era stata poi scarcerata e lasciata uscire dal paese dopo una intensa campagna internazionale a favore della sua liberazione.
IL PAESE IN GINOCCHIO
Molti commentatori osservano che l’impegno riservato dal governo di transizione a cancellare le leggi più crudeli del precedente regime non si spiegano solo con il rispetto dei diritti umani, ma anche con l’esigenza di ottenere donazioni dalla comunità internazionale che permettano al Sudan di uscire dalla grave crisi economica che lo attanagliava già prima dell’epidemia del coronavirus e che non è estranea alla caduta di Bashir. All’inizio del mese corrente i donatori internazionali si sono impegnati a fornire 1,8 miliardi di euro per rianimare l’economia sudanese, ma il primo ministro Abdalla Hamdok insiste che il paese ha bisogno di almeno 8 miliardi di dollari. Si prevede che alla fine del 2020 il debito estero del Sudan ammonterà al 258 per cento del suo Pil.
Foto Ansa
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