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«Cerchiamo periti tessili, ma siamo costretti a virare sugli elettrotecnici». Capito dove inizia la disoccupazione in Italia?

Alternanza scuola-lavoro. Lo strano caso di un sistema di formazione tecnica e "professionale" incapace di educare i professionisti che servono. Parlano gli imprenditori

Matteo Rigamonti
14/05/2014 - 2:00
Interni
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#sb10065775g-001 / gettyimages.com

Basta cliccare su un menù a caso di un qualsiasi motore di ricerca di lavoro online per accorgersi che in questo paese le figure più ricercate dalle aziende che ancora assumono sono i periti. Periti chimici, tessili, elettronici o meccanici. Giovani, al massimo 25enni, e con in tasca un diploma tecnico o professionale. Niente lauree né master. Serve sì gente che ha studiato, ma che l’ha fatto provando fin da subito a mettere – come si suol dire – “le mani in pasta”. Chi lavorando il legno, chi intrecciando stoffe e chi programmando circuiti.

BENE LA TEORIA, MA LA PRATICA? Eppure non è così semplice trovare le persone adatte alle posizioni aperte. Non lo è anche a motivo di un tarlo del nostro sistema della formazione tecnica e professionale. Ovvero il fatto che l’alternanza scuola-lavoro, tra le ore spese sui banchi, con una penna in mano, e quelle passate in azienda a imparare il mestiere tra le macchine e le prime indicazioni dei capireparto, costituisce purtroppo più un’eccezione che non la regola. Chi oggi in Italia sceglie l’alternanza, infatti, normalmente trascorre solo due o tre settimane l’anno in azienda, e solo dal secondo o terzo anno. Per il resto deve accontentarsi del laboratorio. Sempre che la sua scuola ne abbia uno.
Così, mentre in Germania il “sistema duale” detta legge e moltissimi ragazzi di fatto studiano in azienda (aziende top come l’Audi, che ha una scuola all’interno del suo stabilimento), passando ogni settimana, grazie all’apprendistato, dalla classe al reparto e viceversa, i nostri periti escono praticamente “zoppi” dall’esame di quinta. È quello che dice a tempi.it Nadia Barelli, responsabile delle risorse umane in Carvico e Jersey Lomellina: «La nostra impressione che i ragazzi siano ben preparati a livello teorico, meno dal lato pratico».

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IN AZIENDA SI IMPARA DI PIÙ. La diagnosi è semplice: i giovani periti italiani «mancano di praticità», sentenzia Barelli, la cui azienda è specializzata nella produzione di tessuti indemagliabili come la lycra, impiegati soprattutto nella realizzazione di costumi e altri indumenti tecnici per attività sportive. «Noi cerchiamo ragazzi diplomati da inserire in produzione, ovvero in tintoria, tessitura e finissaggio – spiega Barelli – preferibilmente con diploma di perito tessile o perito chimico tintore. Purtroppo, però, i ragazzi iscritti a questi indirizzi di studio sono veramente pochi… tanto che abbiamo cominciato a prendere in considerazione anche i periti elettrotecnici». Anche in questo caso, però, i candidati presentano spesso difetti di esperienza manuale e di lavoro in team: «Meglio sarebbe per loro abbinare alla teoria in classe più ore di prove sul campo, avendo magari anche la possibilità di utilizzare attrezzature e apparecchiature moderne. Così che, una volta inseriti nel mondo del lavoro, si sappiano destreggiare più autonomamente. Questo li spaventerebbe di meno e consentirebbe loro di affrontare il mondo lavorativo più sicuri delle proprie capacità».

L’ESPERIENZA SI VEDE. Gli stessi limiti sono constatati anche da Paolo Motta, responsabile risorse umane delle Fonderie Mario Mazzucconi, che realizzano componenti per auto come le scatole dello sterzo o le testate del motore dove si innestano i cilindri: «Ci capita spesso – confida a tempi.it – di ospitare qualche studente in brevi progetti di alternanza tra scuola e lavoro in collaborazione con istituti del territorio, e devo dire che è qualcosa che li aiuta molto nel processo di apprendimento. Infatti, si vede subito quando un ragazzo ha avuto la possibilità di stare in azienda, anche solo per poche settimane: è più pronto dei suoi colleghi ad affrontare le situazioni che gli si presentano e più incline alle dinamiche di lavoro in gruppo. Ma si tratta di un tipo di esperienze che andrebbe rafforzato».

FACCIAMO COME I TEDESCHI. Conferma Emanuela Voltini, direttore della divisione Settori e Specializzazioni di Adecco Italia, una tra le principali agenzie per il lavoro, che ricorda a tempi.it: «Stiamo parlando di periti meccanici, elettromeccanici, saldatori, manutentori, ma anche potenziali capireparto e responsabili della logistica; profili tecnici, insomma, che variano da territorio a territorio, ma che sono sempre richiestissimi dalle nostre aziende. Devono avere una predisposizione a lavori molto specializzati e automatizzati e devono saper utilizzare sofisticati macchinari come quelli a controllo numerico». E aggiunge: «Ci sono paesi in Europa, come la Germania, dove il sistema dell’alternanza scuola-lavoro è più sviluppato, e là i ragazzi capiscono prima e meglio quali percorsi possono seguire e a quali sbocchi professionali possono aspirare. L’Italia è ancora ricca di scuole che rappresentano eccellenze uniche: è nostro compito offrire quei servizi di orientamento che possono aiutare i ragazzi a conoscerle, con tutte le possibilità di cui già possono disporre». La stessa Adecco sta provando a contribuire Adecco con il tour “TecnicaMente” (qui il programma), durante il quale «i diplomandi degli istituti tecnici hanno l’opportunità di conoscere più da vicino qualche azienda».

@rigaz1

Tags: alternanzaformazione professionaleistituti tecnici superioriistituto professionaleLavoroscuola professionalescuola pubblica
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