Tu chiamala, se vuoi, comunicazione

Di Andrea Venanzoni
03 Gennaio 2024
Da Gino Cecchettin a Chiara Ferragni, dal deputato Pozzolo alla dottoressa Viola. Zibaldone della comunicazione taumaturgica e demiurgica che ha preso il posto dell'informazione
Chiara Ferragni
Dopo il "caso Balocco" Chiara Ferragni riappare sui social in un video postato dal marito Fedez (foto Ansa)

Anni fa, l’eminente fisico John Archibald Wheeler sentenziò che “it from bit”, l’ente, l’essere, la cosa deriverebbero dall’informazione. L’universo stesso non sarebbe altro che un agglomerato iridescente di informazioni geometricamente intersecate le une con le altre.
Qualcuno deve averlo frainteso, però. Sostituendo “informazione” con “comunicazione” e prendendolo un po’ troppo alla lettera.

La ragnatela della società della comunicazione totale

In effetti, si ha ormai l’impressione che la società della comunicazione totale, trasvolata demiurgicamente oltre i punti fissati da McLuhan e Debord, si stenda come una ragnatela azzurrina che si dipana tra lanci di agenzia, televisioni, salottini, internet, di comunicato stampa in comunicato stampa, in un torrenziale, oceanico canto di parole che non hanno altro fine se non la loro autoreferenziale presenza.

L’individuo stesso sembra quasi cessare di esistere se non si ritrova nelle rassegne stampa quotidiane, e da qui deriva l’esigenza, fisiologica, metafisica e quasi sessuale, di esternare, commentare, dichiarare, prendere posizione. Su cosa? Su tutto.

Uno Zibaldone di pensieri che svolazzano con alucce angeliche fatte di paillettes, prive spesso di sostanza ma caricate di una furibonda ontologia che nella parola, nel commento, nella polemica, riafferma l’esserci dell’individuo nel mondo e nella storia.

Gino Cecchettin si affida a un’agenzia di comunicazione

Solo così si può sperare di non impazzire quando ci si sveglia la mattina e ci si imbatte nella notizia che il padre della povera Giulia Cecchettin, Gino, già asceso alle omelie laiche, ai necrologi istituzionalmente impegnati e ai palinsesti mediatici presidiati da Fabio Fazio, si è affidato a una potente, celebre e notissima agenzia di comunicazione, la Andrew Nurberg con sede a Londra.

Una volta, per i lutti e per gli istanti della perdita ci si affidava alla religione, alla poesia, alle pompe funebri, al cordoglio parentale o ai riti popolani del lutto e del commiato, già magistralmente investigati da Ernesto de Martino, oggi invece a quanto pare si accede alla scuderia comunicativa di una grande società che gestisce affari e interessi per fini comunicativi ma che è pure agenzia letteraria che rappresenta scrittori, come il giallista Donato Carrisi, la Mikhail Bulgakov Estate, Dennis Lehane, Jonathan Littell e tantissimi altri.

La prima comunicazione rilasciata per conto di Cecchettin è un capolavoro dadaista: Cecchettin è stanco e non ha voglia in questo periodo così difficile ed emotivamente drenante di rilasciare interviste. Comprensibile, ma allora perché farsi rappresentare? Si vuole comunicare di non-comunicare? L’attesa della comunicazione, sembra suggerire questa mossa, è essa stessa comunicazione.

La brandizzazione dello sconvolgente delitto

Ma c’è un’altra cosa che una tale decisione lascia intendere.
La brandizzazione dello sconvolgente delitto, la serializzazione di un dolore, di un lutto fatto e rifinito come prodotto da comunicare alle masse, la sua finzionalizzazione eternata in logica creativa e appunto da prodotto mediatico. Viene quasi, con umorismo assai nero, da parafrasare il genio assoluto di Mel Brooks quando in Balle Spaziali si prese gioco delle logiche di marketing e di merchandising, illustrando i prodotti più assurdi della saga cinematografica. Giulia Cecchettin – il cestino da pranzo! Giulia Cecchettin – fiocchi d’avena! Giulia Cecchettin – il lanciafiamme! I bambini lo adorano.

Nel momento in cui si accede alla comunicazione istituzionalizzata, contrattualizzata, si riduce tutto a industria – ogni bella parola, ogni intimità, ogni lacrima vengono ingoiate dal gorgo nero dello spettacolo e ci si espone così al mare largo del voyeurismo pubblico. A quella atroce banalizzazione di senso, contesto, emozioni che Gómez Dávila stigmatizzava nell’eccesso di comunicazione. Dovremo, si immagina, attenderci un libro, un serial, una fiction su quella vicenda. Non si accettano nemmeno scommesse su questa prospettiva.

Ferragni e “l’errore di comunicazione”

D’altronde ne sa qualcosa pure una autentica campionessa di comunicazione digitale e social, Chiara Ferragni, finita con le ossa macinate dopo l’istruttoria anti-trust, la pesante sanzione e una caduta reputazionale che l’ha relegata a un silenzio comunicativo di diversi giorni che nel lessico del digitale equivalgono a eoni lovecraftiani.
Persino lei, un tempo considerata Regina incontrastata della imprenditorialità comunicativa, si è dovuta poggiare ad una agenzia di comunicazione, per rifarsi il look comunicativo.

Una comunicazione della comunicazione. Al quadrato. Fosse stata di Roma, una comunicazione al Quadraro.
Nella sua, per una volta sincera e ingenua, comunicazione in abito grigio di contrizione si era lasciata andare a una dolente, epifanica verità.
Ha commesso un errore di comunicazione.
Formula in apparenza taumaturgica, lenitiva, ma assoluta, drammatica, totale di un mondo in cui la comunicazione è tutto e l’errore, comunicativo e di parola, è negazione dell’essere.

Il deputato Pozzolo e i colpi del mini-revolver

In fondo, fosse stato più scaltro, ne avrebbe fatto tesoro anche il povero deputato patriota Emanuele Pozzolo, protagonista di una surreale vicenda da cinepanettone a base di mini-revolver e colpi partiti a caso con tanto di ferito finito in ospedale.

La comunicazione di crisi del deputato è risultata sballata, grottesca e fuori fase, mentre gli sarebbe bastato dichiararsi vittima di un errore di comunicazione e affidarsi a qualche grossa, rispettata agenzia di comunicazione, le quali ormai risolvono molti più problemi degli avvocati, i quali sempre più spesso vanno a lezione pure loro dai comunicatori esperti perché va bene il diritto, va bene il processo, ma conta assai di più come si comunicano diritto, indagini e processo.

Antonella Viola ha iniziato a comunicare su tutto

E di questo fagocitante, assorbente, assolutizzante corso comunicativo della storia, testimoni privilegiati sono i virologi; dopo due anni di occupazione militare di palinsesti, pagine di giornale e piattaforme social, di logorrea a getto continuo, sono stati costretti dal virus in precipitosa ritirata al silenzio e all’oblio.

Li vediamo, intristiti, nelle salette provinciali, a presentare in maniera grama libri che parlano di cose trascolorate nella memoria collettiva, davanti platee disattente e svogliate, composte da poche decine di casalinghe di paese, oppure, modello ultimo giapponese resistente nel folto della giungla, eccoli a punteggiare, sottolineare ed echeggiare qualunque vago allarme di ritorno rinfocolato di pandemia, aggrappati come disperati naufraghi alla risalita dei contagi, per non finire dispersi come brina nel calore del primo mattino.

Ma proprio per ovviare a questo tramonto ingrigito, lode ad Antonella Viola che ha pensato bene di superare la fine della pandemia iniziando a comunicare letteralmente su tutto. Il digiuno intermittente, le molestie sessuali in ambito accademico, la vicinanza a Chiara Ferragni e i consigli sulla ricchezza, lei a Chiara Ferragni, sì, in una inevitabile saldatura tra fronti comunicativi, i minori effetti collaterali del vaccino covid, perché comunque anche quel tema va rispolverato di tanto in tanto, e l’inevitabile patriarcato.

Tutto, appunto.
La comunicazione è diventata più che un mero rumore di fondo. Non ci si bada nemmeno più a quel che viene detto, scritto, dichiarato.
L’importante è che ci sia il proprio nome, che si sia presenti.
Che venga comunicata la propria esistenza in vita.

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